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Il murale di Diego Rivera a San Francisco in vendita per debiti
Beni culturali
“La realizzazione di un affresco che mostra la costruzione di una città”, opera realizzata in situ nel maggio 1931 dal leggendario muralista Diego Rivera, è la protagonista dell’omonima galleria del San Francisco Art Institute, in cui vengono esibiti i progetti degli alunni dell’Istituto. Come indicato nel titolo, il murale di Diego Rivera ritrae la costruzione di una città e la creazione di un affresco, inclusi i vari soggetti coinvolti nella commissione, così come anche ingegneri, artisti assistenti, scultori, architetti e altri operai. Il ritratto centrale di un lavoratore con l’elmetto, rappresentato in proporzioni sovrannaturali, è visto come dimostrazione dello status che l’artista attribuiva alla figura del lavoratore industriale. Le opere di Rivera si concentravano infatti prevalentemente su questioni di carattere socio-politico, in particolare riguardanti la Rivoluzione Messicana, e ritraevano spesso lavoratori e artisti coinvolti in attività di rilevanza sociale o in presunte posizioni di potere.
Fondamentale nel percorso dell’artista è stata sicuramente la partecipazione attiva all’interno del Partito Comunista Messicano durante gli anni ’20 e ’30. Anche e soprattutto a causa del forte sentimento anti-comunista americano di quell’epoca, assicurarsi la commissione al SFAI nel 1931 fu estremamente difficile per l’artista. La sola presenza di Rivera a San Francisco era mal vista e il suo legame con il SFAI denunciò da subito la volontà della Scuola di lasciare completa libertà all’espressione artistica, nonostante le conseguenti prevedibili polemiche. L’affresco, considerato uno degli esempi più rilevanti all’interno percorso artistico di Rivera, ha reso il SFAI una destinazione di importanza mondiale per lo studio della sua opera. Il murale rappresenta quindi un elemento identitario di fondamentale importanza per l’Istituto ed è per questo che, quando la facoltà ha ipotizzato di venderla per ripagare i suoi debiti, si è scatenato il tumulto generale.
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Da più di quattro anni, il SFAI si trovava infatti in una situazione di grave crisi economica: il debito accumulato per aprire il nuovo campus californiano si è aggravato enormemente durante il 2020 a causa della pandemia e del conseguente calo di iscrizioni, portando la Scuola a un passo dalla chiusura. La University of California si è quindi attivata per andare in soccorso al SFAI con prestito da 20 milioni di dollari da restituire in sei mesi, pena la riscossione del campus. Per saldare il debito e assicurare un budget di 19 milioni in vista del successivo anno scolastico, l’Istituto aveva quindi esposto l’intenzione di vendere il suo più importante asset, ossia il murale di Rivera, per un totale di 50 milioni di dollari – tra gli interessati, al primo posto era stato fatto il nome del regista e produttore George Lucas, che sarebbe stato interessato ad acquistarlo per il suo Museo delle Arti Narrative in apertura a Los Angeles. Tra i cittadini, gli studenti e i docenti della Scuola californiana, è nata quindi una gigantesca mobilitazione per impedire il distacco dalla parete del capolavoro e la sua vendita, definita dalla quasi totalità come «uno scempio, un insulto».
Qualsiasi futuro tentativo di vendere l’opera è stato però recentemente bloccato dal voto unanime delle autorità pubbliche per iniziare un processo in grado di rendere ufficialmente il murale di Rivera un monumento di rilevanza storica. Tutto è bene quel che finisce bene, sembra. Intanto la ex presidente Pam Rorke Levy si è dimessa dal SFAI, lasciando la posizione al fotografo Lonnie Graham, il quale ha rivelato al New York Times che «Con il passare del tempo vorrei vedere l’istituto di nuovo in grado di coltivare e sostenere la sperimentazione e l’innovazione artistica in un ambiente educativo inclusivo e collaborativo. Il SFAI ce la metterà tutta per risollevarsi».
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