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Una particolare concomitanza ha caratterizzato il debutto dello spettacolo Enigma di un abbraccio della Compagnia Bellanda (al Teatro Rossetti di Trieste per la stagione Scena contemporanea del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia), con la notizia del giorno prima, della scomparsa del regista cinematografico David Lynch. Il nesso, inconsapevole, tra i due eventi sta nel climax visivo e drammaturgico che caratterizza la nuova creazione di danza del coreografo e danzatore Giovanni Leonarduzzi, e l’ispirazione che lo ha nutrito. La suggestione nasce infatti dall’esplorazione da parte di Leonarduzzi dell’universo surreale e metacinematografico di Lynch, nello specifico del cortometraggio Rabbits, dove tre conigli umanoidi rappresentati all’interno di una sitcom, si scambiano battute di dialogo criptico in un salotto dove vivono con un mistero spaventoso.

L’atmosfera surreale e onirica di Enigma di un abbraccio, è scandita dalla presenza di una grossa testa di lepre – animale lunare, attivo all’alba e al crepuscolo, le ore in cui si aprono varchi tra sogno e realtà – indossata da una performer, Caterina Luciani Messinis, che silenziosamente e lentamente entra ed esce di scena in alcuni momenti, determinando la tensione della danza di tre donne – le brave Lia Claudia Latini, Ludovica Ballarin, Arianna Silvestri -, il loro muoversi, relazionarsi, assumere ruoli di prevaricazione e di sottomissione, di unione e di divisione, di condivisione e distanza. La coreografia, tra sonorità cupe e telluriche, ruota attorno al gesto del loro abbraccio.

«Nel mondo onirico – spiega Giovanni Leonarduzzi – esso indica il bisogno di tener ferma una situazione o una persona che si avvertono come sfuggenti. Il sogno travalica le funzioni cerebrali di spazio, tempo, causalità e coglie una realtà più vera, non provvisoria». Un segreto sembra legare queste figure, reso ancora più inestricabile dal tempo sospeso e senza regole razionali, che le vede muoversi immerse in una nebbia costante e in una quasi penombra rischiarata a tratti di rosso e di blu, con fissi due segnali luminosi indicanti Uscita e Applausi.

Siamo, come in Rabbits, dentro il set di una sitcom, con la frequente incursione di risate e di applausi da parte di un pubblico preregistrato, e i dialoghi che udiamo nell’etere. Sono gli stessi pronunciati dai personaggi lynchiani del cortometraggio, con le frasi completamente scollegate l’una dall’altra, e che rifuggono da ogni principio di consequenzialità.

Non segue una narrazione nemmeno la scrittura coreografica, la quale, concettualmente, procede per accumulo di gesti, di intrecci, di azioni ripetute, di stacchi e riprese, rotolamenti a terra con busti inarcati, mentre gli abbracci si susseguono tra le strette dei corpi e le gambe che s’alzano e ondeggiano, lottano come piante al vento, si separano in attesa di un atto liberatorio. Un’atmosfera di spaesamento, di alienazione e di un mistero pervade lo spettacolo, sciolto infine dalla lepre, qui simbolo di trasformazione e di rinascita, riunendo le tre donne.

Spettacolo ancora da rielaborare per una maggiore coerenza stilistica e drammaturgica, ma foriero di un segno di crescita e di ulteriore ricerca autoriale della compagnia Bellanda.
