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Il caso 5Pointz: dalle origini alla memorabile sentenza (II PARTE)
Diritto
di Novelio Furin e Valentina Franchin
Ci eravamo lasciati con la sentenza del Tribunale Distrettuale di New York che, in data 12 febbraio 2018, aveva sancito che 45 su 49 opere appartenenti a “5Pointz” fossero dotate di “recognized stature” e che Gerald Wolkoff le avesse intenzionalmente distrutte, riconoscendo agli artisti un risarcimento a titolo di danni legali, nella misura massima di 150.000 dollari per ciascuna delle 45 opere, per un totale di 6,75 milioni di dollari (qui potete recuperare tutte le premesse della I PARTE).
In data 21 febbraio 2018 Wolkoff presentò ricorso in appello contro tale decisione, sostenendo che il giudice avesse abusato della propria discrezionalità e fosse giunto a conclusioni errate. Il punto cruciale discusso nuovamente in appello fu se le opere appartenenti a “5Pointz” fossero di “recognized stature”.
La definizione di “recognized stature”
Al riguardo la Corte ribadì che «un’opera è di statura riconosciuta quando è di alta qualità, status o calibro ed è stata riconosciuta come tale da una comunità pertinente» citando i casi “Carter v. Helmsley-Spear, Inc., 861 F. Supp. 303,324-25 (SDNY 1994)” e “Martin v. City of Indianapolis, 192 F.3d 608, 612 (7° cir. 1999). La Corte proseguì affermando che «la componente più importante della statura» è «generalmente la qualità artistica» e la comunità pertinente a rilevarla è «tipicamente la comunità artistica, composta da storici dell’arte, critici d’arte, curatori di musei, galleristi, artisti di spicco e altri esperti». Aggiunse la Corte che «poiché la statura riconosciuta è necessariamente un concetto fluido» si possono verificare casi «in cui, ad esempio, un’opera “povera” di un artista molto stimato – per esempio qualsiasi cosa di Monet – nondimeno merita protezione dalla distruzione attraverso il VARA», quest’ultimo infatti protegge «l’interesse pubblico a preservare la cultura della nazione». Ciò assicura che non sia il giudizio personale della Corte il fattore determinante per stabilire se un’opera sia dotata di “recognized stature”, ma lo sia «la testimonianza di un esperto o una prova sostanziale del riconoscimento di un non esperto».
Secondo i giudici di appello i ricorrenti hanno dimostrato l’importanza delle opere di 5Pointz in quanto «hanno addotto una tale pletora di reperti e testimonianze credibili, inclusa la testimonianza di un esperto altamente stimato, che anche secondo gli standard probatori più restrittivi quasi tutte le opere […] si qualificano facilmente come opere di statura riconosciuta». I giudici di secondo grado esclusero pertanto ancora una volta che le opere, per la loro natura temporanea, non trovassero tutela nel VARA e non accolsero la tesi di Wolkoff secondo cui il requisito della “recognized stature” avrebbe dovuto essere valutato al momento della distruzione dell’opera e non durante il processo, nonché il fatto che gli esperti avrebbero dovuto basare le proprie conclusioni dopo aver visto effettivamente le opere e non solamente delle semplici fotografie.
Wolkoff non si arrende
Ancora, furono rigettate anche le difese di Wolkoff sulla base delle quali egli considerò irrilevante, affinché fosse riconosciuta l’importanza delle opere, il lavoro di curatore di Cohen nella scelta degli artisti e delle opere da far dipingere sulle mura di “5Pointz”, in quanto questi avrebbe valutato i lavori prima che fossero dipinti (e non dopo) e il fatto che il Tribunale Distrettuale avrebbe dato importanza alla fama del luogo più che ai lavori in esso esposti. Wolkoff contestò ovviamente anche la concessione della misura massima del risarcimento del danno a titolo di danni legali sostenendo che gli artisti non avessero subito alcuna “perdita effettiva”.
Al riguardo la Corte ritenne che la decisione del Tribunale Distrettuale fosse corretta in quanto Wolkoff decise di imbiancare le opere senza che questo fosse necessario ai fini della successiva demolizione. Lo stesso infatti «avrebbe potuto consentire all’opera d’arte di rimanere visibile fino all’inizio della demolizione, dando agli artisti il tempo di fotografare o recuperare il proprio lavoro». La Corte affermò che lo stesso Wolkoff ammise di aver imbiancato le opere per impedire agli artisti di recuperarle e sostenne che tale comportamento fosse un «atto di pura rissa e vendetta» di cui lo stesso, ad oggi, non si è ancora pentito. Occorre sottolineare che la Corte elogiò invece i ricorrenti per aver fatto tutto il possibile per salvare le loro opere, offrendo addirittura di acquistare “5Pointz” prima di agire in giudizio.
Street Art: «una delle principali categorie di arte contemporanea»
Sulla scorta di tutto quanto sopra esposto in data 20 febbraio 2020 tre giudici federali, l’On. Barrington D. Parker, l’On. Reena Raggi e l’On. Raymond J. Lohier, confermarono in toto la decisione del Tribunale Distrettuale. Secondo questi il riconoscimento dell’importo massimo a titolo di danni legali «potrebbe incoraggiare ulteriormente altri proprietari di edifici a negoziare in buona fede con artisti le cui opere sono incorporate nelle strutture e a rispettare la disposizione di preavviso di 90 giorni stabilita dal VARA» vista la rilevanza riconosciuta all’arte di strada come «una delle principali categorie di arte contemporanea».
Non contento Wolkoff, nel luglio del 2020, impugnò dinnanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti anche la sentenza di secondo grado ritenendo che fosse stato violato il “giusto processo” e che il termine “recognized stature” utilizzato dal VARA fosse troppo indefinito e incostituzionalmente vago, tale da non consentire di comprendere quando un’opera d’arte sia da considerarsi protetta e quali siano i comportamenti richiesti alle parti. Tuttavia la Suprema Corte in data 5 ottobre 2020 rigettò il ricorso confermando, indirettamente, quanto deciso dai giudici di secondo grado.
– Studio Legale Furin Grotto
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