26 maggio 2023

Other Identity #63. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Irene Gittarelli

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a Irene Gittarelli

Irene Gittarelli, RITRATTO
Irene Gittarelli, RITRATTO

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistata è Irene Gittarelli.

 

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Other Identity: Irene Gittarelli

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Di solito mi hanno spesso definita la ragazza che fa le foto con i colori tenui curati e i contrasti bassi, che gioca sovente e spesso con il corpo femminile, nei difetti, nelle cose belle e soprattutto nel far trasparire l’emotività. Devo dire grazie soprattutto all’immaginario realistico della pittura, sarebbe probabilmente scontato dire che i primi punti luce e le prime zone d’ombra che mi hanno fatto emozionare sono quelli dei dipinti, dalle “Battaglie del Museo del Risorgimento” ai i ritratti della scuola Olandese. Mi hanno sempre attratto le luci teatrali, l’iconografia della morte e gli sguardi tristi, adesso a 30 anni le mie foto sembrano più che altro tributi alla femminilità e all’accettazione di se stessi, forse appunto nel ricreare questo paradosso alla fine ho trovato la vera cura per me stessa. Occorre poi ricordare che la percezione di un’immagine è fortemente condizionata dalla cultura e dalle emozioni di chi guarda appunto, quindi per parte del pubblico le mie foto possono addirittura sembrare dipinti per altri possono essere banalissime copertine di libri Harmony».

Irene Gittarelli, Daysleeper n°5, 2018, stampa fotografica
Irene Gittarelli, Daysleeper n°5, 2018, stampa fotografica

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«Mi identifico sicuramente in un corpo di donna, magari molti saranno in cerca di simbolismi e di perché nascosti sotto le righe, la verità è che uso la fotografia egoisticamente come cura per me stessa o come altoparlante per dire cosa penso. Insomma lascio da parte reportage e “attimo fuggente” e mi limito a riprodurre scenografie, a volte appunto queste scenografie sono semplicemente mentali, e mi rendo conto che chi vede i miei scatti dalla giusta prospettiva le percepisce benissimo, un po’ come se fossero dei segreti sussurrati all’orecchio tra me e l’osservatore. Otto Steiner diceva che la creazione fotografica, nel suo aspetto più libero, rinuncia a ogni riproduzione della realtà.

L’altro elemento che mi definisce è la creazione di un punto di congiunzione con la persona ritratta, un po’ come se rubassi anche la sua anima e ricreassi un essere unico nato dalla nostra fusione, ed è anche per questo che mi trovo male a fotografare oggetti inanimati. Quindi non documentare ma interpretare cosa vivo, cosa sento, e cosa mi circonda».

Irene Gittarelli, Mimetism n°2, 2017, stampa fotografica

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«L’immagine che traspare di me attraverso i social rappresenta sicuramente un qualcosa di più reale di quello che traspare dal mio lavoro. In precedenza un certo tipo di fotografia così disinibita e femminile ti metteva inevitabilmente a immaginare la fotografa come una donna fiera e sicura, affascinante e affabile. Nella vita reale mi guardo film sul divano in pigiama con i gatti, sono goffa e faccio figuracce con una facilità snervante, e in un mondo più social, che concede la possibilità a tutti di entrare in contatto con il dietro le quinte del mio lavoro e dentro la mia vita, mi sento di giocare completamente a carte scoperte. Questa trasparenza mi ha portato sicuramente più tranquillità e meno ansia, paura di giudizi esterni o critiche».

Irene Gittarelli, Tale of a Friendship, 2019, stampa fotografica

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Se stiamo parlando della continua e affannosa ricerca del nuovo e del diverso non è assolutamente nelle mie priorità. Mi è capitato di realizzare fotografie, metterle da parte e accorgermi dopo che altri fotografi hanno pubblicato sui social network lavori simili, mai uguali. Insomma siamo figli degli stessi telegiornali e dello stesso caffè al bar, mi sembra abbastanza ovvio arrivare a concepire rappresentazioni simili se si vive anche solo minimamente sulla stessa lunghezza d’onda dal punto di vista sociale e politico.

Le grandi opere del passato sono parte della nostra cultura generale e del nostro percorso di crescita fin da bambini, possiamo allontanarci, possiamo fare innovazione ma saremo sempre ossessionati dal passato perché banalmente è l’unica cosa che conosciamo alla perfezione e che può darci riscontri reali su come si sono evolute le cose.

Ad esempio nella storia della fotografia quando obbligati da macchine fotografiche voluminose e non potendo ritrarre qualsiasi cosa, la fotografia era pensata, studiata, un po’ distante per non avere problemi di messa a fuoco. In questa descrizione ci ritrovo anche molti fotografi degli ultimi anni, magari con attrezzatura che può stare comodamente in tasca e a due cm dal soggetto ritratto. Siamo tutti semplicemente messaggeri del bello della nostra epoca».

Irene Gittarelli, Metamorphosis, 2019, stampa fotografica

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Credo ci sia un enorme confusione tra il definire una persona creativa e un artista, soprattutto in un epoca dove tutti i mezzi e gli strumenti sono accessibili a tutti e non ci vogliono anni in bottega per imparare a far funzionare questo meccanismo e no, studiare nelle migliori scuole di arte figurativa, musica, scrittura creativa e teatro non farà comunque di voi degli artisti. Credo che un artista con la A maiuscola deve concepire e comprendere l’enorme peso che porta su di sé questa parola e rispettarlo e no, non ci si può definire artisti, è il sistema dell’arte a definirti un artista e soprattutto l’impatto che avranno i tuoi lavori nella società, nella storia e nelle generazioni future. Mi limito quindi a definirmi una persona creativa che ha trovato il suo mezzo per esprimersi».

Irene Gittarelli, Dressed with Flowers, 2020, stampa fotografica

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Mi sarebbe piaciuto essere una direttrice della fotografia, nel mio percorso di crescita ho assorbito tantissimo dal cinema e dall’utilizzo delle luci nel cinema, tuttora è uno degli elementi che mi colpisce di più nelle pellicole. Non escludo quindi che magari un giorno mi piacerebbe mettermi alla prova in ambito cinematografico».

Irene Gittarelli, Back to Crimson Peack , 2021, stampa fotografica

Biografia di Irene Gittarelli

Nata nel 1991 e cresciuta a Torino ma attualmente residente a Padova, Irene Gittarelli è un artista visiva e fotografa professionista di moda e ritratto. Da fedele amica della penombra e delle luci soffuse fin dai primi lavori, muove i primi passi nel 2005 imparando le basi nello studio dell’artista Plinio Martelli, successivamente frequenterà gli studi all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino e all’Accademia di Brera.

La sua ricerca artistica, influenzata dalle scienze umane, dall’arte e dal cinema affronta i temi della fragilità umana e della relazione tra uomo e paesaggio, mettendo da sempre in scena il suo mondo onirico e surreale attraverso immagini cinematografiche che rivelano scene impossibili e fotogrammi di racconti sospesi. Il corpo come mezzo per creare immaginari profondamente ispirati al concetto di rinascita infinita e metamorfosi, e agli archetipi del femminile e del maschile, identificati da un senso di delicatezza, eleganza e mistero.

Irene Gittarelli, Tales of Times and Other Waterways n°8, 2020, stampa fotografica

Nelle sue opere, Irene vive uno scambio profondo e personale tra l’artista e il soggetto ritratto creando una dimensione estetica senza tempo e senza spazio, dove i personaggi danno vita al loro Io interiore nelle sue forme di espressione più varie e fluide, una collezione di momenti con il leitmotiv di un crepuscolo fioco eppure persistente come a simboleggiare un positivo barlume di speranza che riscatta il malinconico senso di perdita.

Partecipa a diverse collettive in giro per l’Europa come ARCOS – Museum of Contemporary Art of Benevento, Fondazione Opera Campana dei Caduti in Rovereto, Museum of Resistance in Turin, Phest, China International Photographic Art Festival, Espace des arts sans frontières in Paris.

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