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Un attimo da cui sfuggire: la poetica fotografica di Guido Guidi in mostra a Milano
Fotografia
«A me interessa una bellezza più difficile, che sfugge: il momento della trasformazione
nello sguardo che è un momento di comprensione delle cose. Osservi una cosa e in
qualche modo la vedi, e nel vederla la comprendi, la afferri: questa è bellezza, ma dura
solo un momento, subito dopo l’hai già vista. L’accademia del bello e del visibile
codificato, che ancora perdura, è una stupidaggine, perché una cosa che hai visto e
afferrato è subito una cosa morta, ha perso la sua bellezza, e devi ricominciare da
capo».
Guido Guidi, Quello che resta. Conversazione con Antonello Frongia, in Dialoghi
Internazionali Città nel Mondo n.6, Milano, Bruno Mondadori, dicembre 2007, p.160.

In queste righe Guidi parla di Ronta, una serie datata 1999, forse una delle più iconiche della sua produzione. Anche se, a ben vedere, l’uso di un aggettivo così lapidario non rende giustizia alla sua poetica.
Non c’è icona nella pratica di Guidi, non c’è stasi né fissità, né tantomeno la volontà di elevare un unico scatto a risolutivo attribuendogli una condizione di privilegio.
Non esiste immagine prima inter pares ma tante sorelle: a volte si distinguono appena l’una dall’altra, altre invece sono complementari nella loro difformità. Ciascuna comunque descrive qualcosa di diverso 一 magari un leggero mutamento nelle condizioni ambientali o nel sentire di chi avvicina cautamente il volto alla superficie del vetro smerigliato e decreta, dopo aver aggiustato il fuoco, che quella è una tra tante versioni del reale destinate a depositarsi sulla carta fotografica.

Nell’impossibilità di prevedere l’esito finale e con lo sguardo teso a recepire ogni minimo
dettaglio imprevisto, Guido Guidi (Cesena, 1941) utilizza la camera come uno strumento di raccolta. Come un geologo intento a esaminare un carotaggio, procede all’esame di ciò che emerge dallo scatto, senza la pretesa di conoscerne ogni singolo aspetto ma piuttosto con la volontà di apprezzarne, volta dopo volta, quel tanto che basta per iniziare una nuova ricerca visiva.
Presso 10 Corso Como Galleria Da un’altra parte, mostra personale a cura di Alessandro Rabottini, traccia un percorso libero attraverso la produzione di Guidi dai primi anni Settanta a oggi. Esposta, una selezione nella quale emerge evidente il fraseggio costante di luce e ombra, il cui avvicendarsi codifica sequenze visive in forma di singole immagini (talvolta anche estrapolate dal proprio insieme originario) o serie di due, tre o più esemplari.
Lo spazio espositivo è diviso da una lunga partizione rettilinea: un gesto di cesura non
strettamente finalizzato a delimitare le opere entro quadranti tematici. Il risultato è tuttavia
interessante e regala scorci prospettici che omaggiano l’interesse di Guidi per lo spazio
architettonico inteso come rilevazione fenomenologica del succedersi di pieni e vuoti, luci e
ombre in costante mutamento.

Incentrata su quella che il curatore definisce “poetica dell’attenzione”, ovvero l’esercizio della fotografia mediante uno sguardo libero da sovrastrutture, la mostra racconta con chiarezza l’approccio di Guidi, che delega all’occhio e all’inconscio la responsabilità di trovare un senso all’immagine prima ancora che la mente sia in grado di assolvere questo compito. Poco importa se dall’altra parte del banco ottico si trovi un paesaggio rurale della sua Romagna, il dettaglio di un rudere a Treviso o un ritratto mediato dall’interferenza di un elemento disturbante: ciò che resta delle immagini di Guidi è un sentire intimista, che restituisce con efficacia l’approccio del fotografo 一 e prima ancora dell’uomo 一 timido e misurato, che con discrezione attende ai margini dell’azione il momento dello scatto, inteso come frazione minima ma essenziale dell’accadere temporale.
Forse Da un’altra parte parla proprio di quell’altrove nel quale Guidi stesso si ritrova attimi dopo il primo scatto. Poco importa se il luogo è lo stesso e sul quadrante dell’orologio la lancetta più lunga non ha ancora avuto modo di avanzare nella posizione successiva: le coordinate sono ormai cambiate, la condizione è mutata e l’immagine inevitabilmente irripetibile.