22 maggio 2025

La storia particolare di un disegno a carboncino di Andy Warhol in asta da Bozner

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Tra le opere protagoniste della prossima asta di Bozner a Bolzano, un raro disegno di Andy Warhol del 1978, riferito al sodalizio con il gallerista Lucio Amelio: ne ripercorriamo la storia

Nella sua quarantasettesima edizione, in programma il 3 giugno 2025 nella suggestiva cornice di Castel Mareccio, a Bolzano, la Bozner Kunstauktionen propone un disegno a carboncino del 1978 di Andy Warhol, Omaggio a von Gloeden. L’opera proviene dalla Galleria Lucio Amelio di Napoli e parte da una base d’asta di 30mila euro. Fu proprio il 1978 l’anno in cui il gallerista Lucio Amelio affidò a tre artisti – Joseph Beuys, Michelangelo Pistoletto e, appunto, Andy Warhol – il compito di realizzare delle opere che reinterpretassero le fotografie realizzate a Capri, agli inizi del Novecento, dal fotografo Wilhelm von Gloeden.

Warhol e Amelio: il legame con Napoli

Nel 1983, in occasione della mostra Latitudine, Amelio scriveva: «C’è una linea che congiunge Napoli e New York, quella che sull’atlante segna la latitudine, ma ben al di là di questa collocazione geografica, di questa liaison imaginaire, esiste soprattutto il filo di una stretta somiglianza, di una reale affinità». Il gallerista napoletano fu capace di trasformare il capoluogo campano in un vero e proprio snodo per artisti di risonanza mondiale, tra cui Robert Rauschenberg, Keith Haring, Jannis Kounellis, Cy Twombly e lo stesso Warhol.

Quest’ultimo, in particolare, trovò in Napoli un contesto inaspettatamente fertile: una città intrisa di contrasti, decadenza e, al contempo, di una fortissima vitalità, capace di sollecitare un immaginario visivo estremamente affine alla sua poetica. Warhol si avvicinò alla città partenopea negli anni Settanta, grazie alla figura del cineasta Mario Franco e, soprattutto, proprio per via dell’amicizia con Lucio Amelio.

Il primo impatto di Warhol con la “città bazar”, che tanto gli ricorda New York «Specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada», fu documentato proprio da Mario Franco: «Warhol amava Napoli, il fuoco creativo che ha nelle viscere, il convivere fatalistico con la morte. Non c’è una Parigi, una Londra di Warhol, c’è la Napoli Warhol, col suo sterminator Vesuvio, la cui immagine replica ossessivamente in colori diversi». Il rapporto tra Warhol e Napoli si sviluppò essenzialmente sotto l’egida di Amelio, che non si limitò a esporre le opere dell’artista ma ne divenne interlocutore, promotore e, in un certo senso, curatore concettuale.

Per l’artista di Pittsburgh, “A’ Muntagna” era «Molto più di un mito, una cosa terribilmente reale». Vesuvius rimane una delle serie più emblematiche dell’artista, un simbolo non più pop ma arcaico e mitologico, archetipo dell’imprevedibilità e impresso nella memoria collettiva come forza distruttiva ma anche estremamente amata: un’icona. Con i suoi colori accesi, quasi psichedelici, e i contorni netti e scuri, Vesuvius porta avanti la lunga tradizione iconografica dell’artista, ma introduce allo stesso tempo i temi della forza distruttiva della natura e della coscienza della catastrofe. Non viene operata un’estetizzazione del disastro, ma una forza potenzialmente distruttiva diviene celebrazione, ergendo il famoso vulcano a allegoria pop della morte ma anche della rinascita. I

l Vesuvio diventa quindi il simbolo di tutta la fragilità dell’uomo dinnanzi alla natura; un tentativo di far sì che le immagini trattengano l’informe, incapsulino la violenza in una superficie visiva. Il tema dell’indagine di una spettacolarizzazione della morte, già fortemente ravvisabile in Death and Disaster, come anche – più sottilmente – in alcuni dei celebri ritratti di celebrità defunte, assume nel rapporto con la città di Napoli una valenza quasi metafisica, trattandosi di un evento ciclico, con una sua fortissima tradizione letteraria e culturale già innestata, inscritto nella storia e nella geologia. Un destino, in definitiva, che sembra gravare sulla città, che ne alimenta l’identità culturale e visiva e che Warhol condensa e allo stesso tempo fa esplodere fra i colori accesi delle sue opere.

Vesuvius, 1985
Andy Warhol, Vesuvius, 1985. Foto Paola Pulvirenti

In uno dei ritratti che Warhol realizza di Amelio, possiamo vedere il gallerista con lo sguardo diretto verso l’osservatore, quasi indagatore, le sopracciglia impercettibilmente sollevate, la bocca serrata e la mano sul mento, stereotipicamente associata al pensiero e alla riflessione e propria dei filosofi. Amelio si fa, in questo ritratto, mecenate rinascimentale, attento scrutatore dei movimenti artistici del momento, punto di convergenza di incontri e fautore di un’analisi attentissima dell’arte contemporanea internazionale. A lui, infatti, si deve fra le altre cose l’incontro tra Warhol e Beuys, che costituirà un vero e proprio momento storico e che lo scrittore David Galloway descriverà così: «Per chi li ha visti avvicinarsi attraversando il pavimento di granito lucido, il momento aveva tutta l’aura cerimoniale di due papi rivali che si incontrano ad Avignone».

Sarà lo stesso Amelio, a seguito del terribile terremoto dell’Irpinia del 1980, a dare vita alla mostra Terrae Motus, documento di un’epoca che ha riunito i più grandi nomi dell’arte di quel tempo, fra cui gli stessi Warhol e Beuys. Bauys scriverà per Il Mattino di Napoli un editoriale mai pubblicato perché considerato troppo eversivo, Warhol si servirà dello stesso quotidiano per realizzare la celebre opera Fate presto, un trittico che è una prima pagina, un’epigrafe, un grido d’aiuto e la cristallizzazione di una tragedia. Il linguaggio visivo di Warhol, tipicamente fondato sull’iconografia americana, viene rielaborato e riadattato allo stile serigrafo dei quotidiani, ponendo l’accendo su ciò che divenne l’emblema del disastro e sulla sua mediatizzazione.

La frequentazione napoletana di Warhol, dunque, non fu episodica né meramente espositiva: rappresentò piuttosto un’esperienza di scambio culturale e di contaminazione linguistica. Napoli, con il suo carico di storie, miti, tragedie e ritualità quotidiane, fornì a Warhol una materia estetica nuova, che egli metabolizzò attraverso i codici della Pop Art, rendendola universale. Lucio Amelio, d’altro canto, fu proprio il catalizzatore di questo incontro, offrendo non solo uno spazio espositivo, ma un terreno fertile per la riflessione e la produzione artistica.

Warhol e i ragazzi di Taormina

In questo contesto di riflessione e contaminazione si colloca anche Omaggio a von Gloeden, opera in cui Warhol riprende e rielabora l’immaginario fotografico del barone Wilhelm von Gloeden con un tratto asciutto ma estremamente permeo di potenza espressiva. Von Gloeden, attivo in Sicilia a cavallo tra XIX e XX secolo, è noto per i suoi scatti di giovani modelli nudi in pose neoclassiche, interpretati in epoca contemporanea come precursori di una rappresentazione estetizzante e omoerotica del corpo maschile.

L’interesse di Warhol per il fotografo, acceso e incoraggiato proprio da Lucio d’Amelio, si rifà a elementi presenti in Warhol e ravvisabili anche nelle opere del fotografo, in particolare se si guarda alla convergenza tematica intorno alla costruzione dell’icona, alla serialità del desiderio e alla sublimazione della bellezza giovanile. Una tensione tra eros e rappresentazione che pone al centro della ricerca artistica l’immagine del corpo.

Le immagini “proibite” di Von Gloeden hanno sicuramente tracciato una pietra miliare, dal punto di vista artistico, nell’ambito di un processo di “storicizzazione del desiderio”. All’interno del contesto di una cultura visiva postmoderna, dominata dalla pubblicità e dal consumo, Warhol si appropria dell’archivio fotografico vongloedeniano e sceglie di non esaltarne l’estetica decadente, quanto piuttosto il destino iconico del corpo. La nudità dei giovani modelli di von Gloeden, una volta espressione di un’ideologia classicheggiante e quasi queer ante litteram, viene da Warhol convertita in immagine serigrafica. Questo passaggio dall’analogico al pop implica una trasformazione di significato: il corpo ideale, arcaico, mitologico, si fa corpo consumabile, estetizzato, spogliato della sua carica sacrale e inserito in una logica di produzione seriale.

Andy Wharol, Omaggio a Von Gloeden. Foto Ochsenreiter

Warhol non celebra l’opera di Von Gloeden in chiave nostalgica o sentimentale, ne sottolinea invece la dimensione fittizia, la composizione artificiosa, quasi pubblicitaria, anticipatrice della visualità contemporanea. In questo senso, von Gloeden non è solo un fotografo del passato ma un produttore di immagini già costruite per essere diffuse, ammirate, consumate.

La scelta di Warhol di realizzare Omaggio a von Gloeden durante la sua permanenza in Italia e, più specificatamente, nel contesto del soggiorno napoletano orchestrato da Lucio Amelio, non è affatto priva di significato. Napoli e la Sicilia, con la loro stratificazione culturale, offrono a Warhol un palcoscenico ideale per rimettere in scena una vera e propria traduzione in immagine dell’intersezione tra desiderio, morte e bellezza.

Il Vesuvio incarna la potenza distruttiva della natura che diviene icona mediatica; allo stesso modo, le immagini di von Gloeden incarnano l’erotismo idealizzato dell’antichità che sublima una necessità consumistica del Novecento, che traduce un bisogno in opera d’arte. In entrambi i casi, Warhol agisce da alchimista visivo: trasforma la memoria in superficie, il mito in segno ripetibile, la soggettività in oggetto d’arte.

L’asta Bozner, non solo Warhol

Il disegno a carboncino di Warhol non sarà l’unico lotto degno di nota dell’asta altoatesina. Nella sessione Arte moderna e Design, che prenderà il via alle 15 e sarà tutta dedicata al Novecento italiano, figurano infatti anche un’opera di Piero Dorazio del 1962, Pilota XV, già appartenuta alla famosa collezione di Ewy Garzteckiej, e Aerei tricolori al tramonto sulla periferia di Tullio Crali, dipinto futurista del 1933.

Per la sessione dedicata al design, saranno messe all’asta le lampade dell’Hotel Bristol di Merano, che negli Anni Cinquanta ospitò il jet set internazionale con arredi e finiture davvero moderne per l’epoca. Tra le lampade Calimaco, la piantana di Ettore Sottsass per Artemide, il modello Shogun, realizzato da Mario Botta, e la lampada da tavolo in alluminio di Philippe Starck.

La sessione pomeridiana, con inizio alle 18, sarà invece dedicata all’arte tirolese, con opere dal XVIII al XXI secolo e con un focus su Alto Adige, Vienna e il Trentino. Di particolare interesse, un dipinto del 1985 di Rudolf Stingel, artista di origini meranesi ma newyorkese d’adozione, quotato con una base d’asta di 33mila euro. Una sessione a parte è rappresentata dai disegni di Paul Flora: Paesaggi, Documenti storici e Ironia.

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