31 agosto 2020

Caso Dadamaino, l’opinione legale

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Dopo la sentenza dello scorso 8 luglio e le relative motivazioni, ecco un'analisi giuridica sulla vicenda dei Volumi di Dadamaino

Undici le persone imputate nel caso Dadamaino: galleristi, uno dei quali con un ruolo preponderante, che chiameremo A.E.T.; asseriti intermediari d’arte; tre componenti dell’Archivio Dadamaino, compreso il Presidente; la Presidente di una Fondazione milanese che promuoveva attività artistiche anche espositive, che chiameremo G.C., poi “uscita” dal processo a seguito di un malattia totalmente invalidante nel frattempo sopraggiunta. Novantanove opere d’arte quelle sequestrate a seguito dell’esposto che ha dato avvio alle indagini nell’ambito delle quali sono state anche effettuate intercettazioni telefoniche e perquisizioni. Diciannove i capi d’imputazione e due i reati contestati: l’associazione per delinquere e la contraffazione.

All’imputato A.E.T. e all’imputato R.M., anch’esso gallerista, è stata pure contestata la recidiva specifica: ciò significa che costoro in precedenza avevano già riportato una sentenza di condanna passata in giudicato per un reato della stessa indole. All’imputato F.B., anch’egli gallerista, era stata invece contestata la recidiva reiterata: in altre parole allo stesso, con sentenza passata in giudicato, era già stata riconosciuta in precedenza la recidiva. Fra coloro che si sono costituiti parte civile anche un importante gallerista italiano. La conclusione: un’assoluzione con la formula più ampia – il fatto non sussiste – pronunciata dal Tribunale di Milano l’8 luglio del 2020 per tutti gli imputati.

Le indagini e le motivazioni della sentenza

Le indagini penali sono seguite alla denuncia sporta da un parlamentare, storico dell’arte e frequentatore del mondo artistico. Racconta il denunciante che tra il 2009 e il 2014 sono state immesse nel mercato alcune centinaia di opere di Dadamaino della serie Volumi, che l’artista in realtà avrebbe realizzato in numero esiguo e in un periodo molto limitato – dal 1958 al 1960 – per poi dedicarsi ad altri ambiti di ricerca. L’esponente ha indicato anche i nomi di alcuni degli asseriti responsabili, tra i quali il gallerista A.E.T. e la Presidente della Fondazione milanese sopra indicata.

Le indagini hanno presto confermato che tra il 2009 ed il 2014 erano comparsi sul mercato centinaia di Volumi che sarebbero rimasti custoditi per decine di anni nel deposito della Fondazione milanese e nello scantinato “buio e spazioso” della casa ligure della Presidente G.C. Secondo l’accusa i Volumi apparsi sul mercato sarebbero stati 642, di cui 462 di provenienza Fondazione/Gallerista A.E.T. e ulteriori 180 di altra provenienza. Ad onor del vero la quantificazione dei Volumi appena riportata ed effettuata dalla Polizia Giudiziaria è stata contestata dal Presidente dell’archivio, il quale li ha indicati in 538 (circa un centinaio in meno), di cui 346 di provenienza Fondazione/Gallerista A.E.T. e 192 con provenienza diversa. Ha altresì precisato il Presidente dell’Archivio che dei Volumi sequestrati (99) solo tre erano stati archiviati e autenticati, insieme ad altri 18, che però non era certo rientrassero nel numero di quelli sequestrati (99 appunto) e oggetto dell’imputazione; insomma, sarebbe stata fatta un po’ di confusione sul punto. Lo stesso Tribunale, è giusto che la circostanza venga evidenziata, ha dato atto al Presidente dell’Archivio che solo tre dei Volumi sequestrati sono stati autenticati con certezza.

La sentenza contiene l’analitico esame delle prove raccolte: le testimonianze, le dichiarazioni dei consulenti tecnici e i loro elaborati, la documentazione acquisita durante le indagini e, infine, le dichiarazioni degli imputati che hanno scelto di essere sentiti. La sentenza, inoltre, soprattutto nella parte finale, dà conto delle ragioni per le quali il Tribunale è pervenuto all’assoluzione piena di tutti gli imputati rigettando le richieste di condanna dell’accusa, limitate al solo reato di contraffazione, in quanto, all’esito del dibattimento, il reato di associazione per delinquere è stato ritenuto insussistente anche dal Pubblico Ministero, che inizialmente lo aveva contestato.

I testimoni dell’accusa hanno riferito che i Volumi prodotti da Dadamaino fossero nell’ordine di alcune decine e comunque non superiori al numero di 90 o 100, e tutti realizzati nel breve periodo già indicato (1958-1960). Il Tribunale ha preso atto che, alla luce degli elementi raccolti dall’accusa, si sono certamente evidenziati margini di contraddizione e incertezza circa la mancanza di una storia espositiva delle opere sequestrate. Anche le risultanze emerse in ordine alla provenienza dei Volumi (la Fondazione e il Gallerista A.E.T.) sono state oggetto di evidenti contraddizioni: infatti, la stessa Presidente della Fondazione dapprima ha dichiarato che i Volumi erano nella disponibilità della Fondazione, oltre che sua personale (il deposito presso la propria abitazione), per poi ritrattare quanto già detto negando quindi ogni sua disponibilità e negando addirittura di averli mai posseduti. Il Tribunale sul punto ha giustamente ritenuto di non poter fare affidamento sulle contraddittorie dichiarazioni della signora G.C. in quanto ella, all’epoca, era già probabilmente malata e in procinto di assumere la veste di indagata e poi di imputata.

A dire il vero, pure altro testimone, già Presidente della Fondazione e consigliere della stessa, ha dichiarato di non avere mai avuto nella disponibilità della Fondazione le opere in questione. In merito al numero delle opere possedute dalla Fondazione (anche diverse dai Volumi) tra le varie testimonianze non c’è stata univocità: secondo un testimone erano duemila o tremila, secondo altri circa duecento.

Altri dubbi sono legati al timbro della Fondazione direttamente consegnato dalla Presidente al gallerista A.E.T. per essere apposto sul retro delle opere, per dare un segno di provenienza delle stesse. Anche alcune intercettazioni telefoniche, direttamente riportate dalla sentenza, evidenziavano che molti galleristi e operatori manifestassero grande perplessità per l’ingente presenza di Volumi nel mercato. Proprio per tale motivo uno dei testimoni, che svolgeva la professione di avvocato, ha riferito al Tribunale di aver chiesto e ottenuto una riunione con la Presidente della Fondazione e con il Gallerista A.E.T. a cui parteciparono anche tre altri galleristi (a loro volta clienti di A.E.T.). Questi ultimi, infatti, avevano acquistato numerosi Volumi dal gallerista A.E.T. e, preoccupati della comparsa nel mercato di numerosi altri di cui non conoscevano l’esistenza, pretendevano chiarimenti. In tale occasione, sia il Presidente della Fondazione che il Gallerista A.E.T. confermavano che tutti i Volumi provenivano dal deposito della fondazione e dall’abitazione privata della signora G.C. e che erano autentici, giustificando così la gran mole di Volumi presenti sul mercato.

Per contro i testimoni della difesa hanno evidenziato che Dadamaino potrebbe avere fatto realizzare i Volumi anche da assistenti e dopo il 1960; che la loro produzione avrebbe potuto essere eseguita anche presso terzi e non necessariamente nel suo studio-abitazione, e, inoltre, il fatto che queste opere fossero firmate sul retro con la dicitura “Dadamaino” in stampatello anziché in corsivo, indicava che quei Volumi erano realizzati in epoca successiva al 1963. Infatti, Dadamaino fino al 1963 firmava sempre le proprie opere in corsivo e solo successivamente sempre in stampatello. Anche Dadamaino, come molti artisti purtroppo sono soliti fare, avrebbe retrodatato le proprie opere. Ben poteva infine essere che i Volumi fossero stati custoditi per lungo tempo presso dei depositi, circostanza che non può costituire indice di falsità.

Dato il quadro probatorio conseguente alle risultanze testimoniali e agli elementi raccolti, il Tribunale affermava espressamente: «da tutto quanto sin qui esposto può evincersi, quindi, che se erano emersi dalle indagini elementi obiettivamente non tranquillizzanti circa provenienza ed autenticità delle opere, gli stessi tuttavia non assumevano valenza decisiva nel senso ipotizzato dall’accusa». In altre parole gli elementi probatori esaminati fino a lì dal Tribunale non consentivano di concludere per la falsità delle opere sequestrate.

La valutazione tecnica: accusa e difesa a confronto

Fondamentale importanza per la decisione giudiziaria veniva quindi ad assumere la valutazione tecnica condotta sulle opere sequestrate dai consulenti dell’accusa e dalla difesa. E qui le note per l’accusa sono dolenti. Il giudizio del Tribunale nei confronti dei consulenti del Pubblico Ministero è stato, in effetti, critico. Sono solo tre i Volumi autentici esaminati dai consulenti dell’accusa per stabilire se quelli in sequestro erano “genuini” o “falsi”. Uno dei quali, peraltro, neppure appartenente alla serie Volumi. Diverse incertezze sono state inoltre riscontrate circa il tempo impiegato per gli accertamenti sulle opere. Una settimana o due giorni? La sentenza inoltre evidenzia che «i consulenti di difesa spiegavano le modalità utilizzate per l’ispezione delle opere in sequestro, ovvero sottoponendo le stesse ad indagini diagnostiche non invasive sul fronte, retro e bordi effettuando analisi con la luce diffusa e radente, la fluoroescenza ultravioletta (per l’individuazione di sostanze organiche), fluorescenza a raggi X (per le determinazioni degli elementi inorganici e la preparazione della tela) ed inoltre, per i volumi bianchi, mediante uno studio in riflettografia infrarossa, attraverso una telecamera a luce infrarossa, Apollo 1700 nm, analisi a loro dire più sofisticate di quelle effettuate dai consulenti del PM (ndr Pubblico Ministero) tramite osservazione fronte-retro in luce naturale, diffusa e radente e in luce UV, senza però effettuare le analisi delle fibre, ritenuta… “un’analisi distruttiva».

Il Tribunale evidenzia poi che i consulenti della difesa hanno operato un raffronto con una quarantina di Volumi certamente autentici, uno dei quali collocato presso il museo Pompidou di Parigi. Le conclusioni a cui sono pervenuti i consulenti dell’accusa sono che le opere sequestrate (con l’esclusione di 7 o 8, un po’ di confusione anche qui) sono contraffatte. Di tutt’altro avviso sono stati i consulenti della difesa che hanno invece stabilito che i Volumi certamente autentici e quelli sequestrati presentano caratteristiche realizzative e materiali molto differenti tra loro, pertanto era impossibile ricondurre il modus operandi dell’artista entro schemi precisi e dunque discernere, con assoluta certezza, le opere vere da quelle false.

Il Tribunale ha ritenuto di condividere le conclusioni di questi ultimi e, infatti, il Collegio giudicante ha respinto la richiesta del Pubblico Ministero di disporre una perizia ai sensi dell’art. 507 del codice di procedura penale (norma che consente al Giudice di raccogliere d’ufficio elementi di prova indispensabili al giudizio), proprio perché ha ritenuto che un’ulteriore perizia non avrebbe comunque permesso di accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’autenticità o meno dei Volumi di Dadamaino, non essendo riscontrabili elementi tecnici omogenei sia con riferimento alle tecniche che ai materiali realizzativi. Da qui l’assoluzione con la formula più ampia perché il fatto non sussiste per tutti gli imputati.

Dalla lettura della sentenza emergono l’eterogeneità del mondo economico dell’arte e alcune prassi non così trasparenti

Sotto l’aspetto dell’eterogeneità notiamo che i collezionisti e appassionati d’arte esercirebbero le professioni più disparate: dal venditore ambulante di biancheria intima, a un dipendente di un’impresa di movimentazione terra, dal dirigente d’azienda al commercialista. Per taluno è sorprendente il numero di opere acquistate, circa una ventina.

Tra le cattive prassi si evince quella di non accompagnare sin da subito, come invece richiesto dalla legge, la consegna dell’autentica al momento della vendita dell’opera. Purtroppo, infatti, l’obbligo legislativo non è accompagnato da alcuna sanzione (nemmeno pecuniario-amministrativa); ci si augura perciò che il legislatore possa introdurre, a fianco del mero obbligo di consegna dell’autentica, anche una sanzione quantomeno pecuniaria in modo da rendere più effettivo e maggiormente cogente l’obbligo già esistente.

 

 

 

 

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