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Caterina Silva, l’esperienza viscerale della pittura: la mostra a Roma
Mostre
Come si racconta qualcosa che non ha forma, né nome? L’arte astratta, sebbene non sia certo una novità, ancora oggi fatica a essere compresa, interpretata, accolta. Le immagini riconoscibili hanno un’altra armonia: parlano più in fretta, arrivano con immediatezza, si depositano nella mente senza sforzo. Forse il segreto è proprio quello di smettere di vedere l’arte astratta come un enigma da risolvere e abbandonarsi all’idea di viverla come un’esperienza, di qualcosa da subire più che da capire.
Caterina Silva, nella sua prima mostra in galleria, ci invita a farlo con una pittura che in concreto non rappresenta nulla ma, piuttosto, si pone come obiettivo quello di comunicare attraverso delle sensazioni. Non a caso, entrando nella Galleria Delfini di Roma, ci si trova immersi in un dialogo silenzioso fatto di tensioni, gesti e colore, nel quale le opere di Silva non provano a parlare al nostro sguardo ma, anzi, lo sfidano.

In Things that will never become objects, l’artista romana si muove tra gesto pittorico e atto performativo. Non illustra, non rappresenta: evoca. I suoi dipinti sono attraversati da un’urgenza fisica, viscerale, che cerca di tradurre i pensieri in forme e colori, prima che in parole.
La mostra, in galleria fino al 30 luglio, si articola in due cicli pittorici, entrambi dimostrazioni di uno studio attento e di una ricerca meticolosa per la costruzione di una grammatica personale, fatta di supporti, formati e tecniche diverse, e che compongono una lingua che possa comunicare il non-detto.

Nel ciclo Le cose non mi hanno aspettato (2014), grandi tele sono tagliate in strisce e applicate su tubi di cartone, in una sospensione tra pittura e scultura; mentre nel ciclo Divide et impera, in particolare nell’opera Green, la tensione si gioca tutta nella composizione. Masse gialle gravano su forme serpentine, leggere, in bilico. È un equilibrio instabile, che si riassesta man mano che l’occhio scorre. Qui Silva sembra abbandonare ogni schema armonico, abbracciando una dissonanza contemporanea: non una melodia ma una conversazione caotica tra persone dalla bassa soglia dell’attenzione, con continue interruzioni e repentini cambi di argomento.
L’artista, inoltre, dimostra il suo forte legame con la storia dell’arte. Tra i lavori più potenti in questo senso, troviamo Oh-lym-pia; non una banale citazione ma una tappa aggiuntiva al percorso di rottura che questo soggetto ha rappresentato. Se l’opera di Manet ribalta l’ideale classico del nudo, Silva compie un ulteriore passo in questo processo di rottura con la tradizione, abbandonando del tutto la figura e conservandone soltanto la tensione. In questo modo anche se le forme svaniscono, restano lo squilibrio, la provocazione e, pur mancando il corpo, se ne può percepire l’eco.

Things that will never become objects, quindi, si dimostra, oltre che un titolo, una dichiarazione; le proposte di Silva non nascono come prodotti destinati al consumo, ma come necessità di incarnare la pluralità percettiva dell’artista e attraverso essa instaurare un dialogo con l’osservatore, una conversazione amichevole senza fini particolari.
Le sue opere quindi esistono nel momento in cui vengono guardate, percepite, sentite. Sono fugaci come pensieri prima che si cristallizzino in discorso, forse proprio per questo vale la pena vederle dal vivo. Per provare a toccare con lo sguardo qualcosa che non si lascia afferrare.


La mostra di Caterina Silva alla Galleria Eugenia Delfini di Roma sarà visitabile fino al 5 luglio 2025.