-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Libero! Jacopo Benassi senza freni a Genova
Mostre
E d’un tratto “lui” suona la grancassa per richiamare i presenti, visto che ognuno se ne sta per i fatti suoi a osservare – o meglio schivare – ciò che ha intorno. Sullo schivare ci torniamo più avanti. Ora restiamo su quel “lui”, nome e cognome Jacopo Benassi (La Spezia, 1970), seduto alla batteria istallata nella Loggia degli Abati. Che con la sua improvvisata performance ci avrà pure fatto prendere un colpo, però è riuscito nell’intento: tutti a raccolta, “scomodamente” ad ascoltarlo. Francesco Zanot, curatore della mostra, Ilaria Bonacossa direttrice di Palazzo Ducale e Giacomo Montanari assessore alla Cultura del Comune di Genova, a introdurre Jacopo Benassi Libero!.

Benassi d’après Montanari
Magari poche, ma qualche riga vorremmo rubarla a Benassi per dedicarla a Montanari, neo assessore con l’idea di «proporre un modello di residenza per i giovani artisti». L’esposizione di Benassi si svolge infatti a seguito di un periodo di residenza presso Palazzo Ducale: l’assessore, dichiarandosi lui stesso fuori contesto e precisando più volte il suo background da storico dell’arte moderna, finisce per citare Aby Warburg e l’atlante Mnemosyne come termine di paragone di un allestimento carico di stimoli visivi d’ogni tipo. Fuori contesto? Altroché, qui abbiamo finalmente la testa giusta al posto giusto.

Le opere? «Le state scontrando»
Da curatore, Zanot è molto pratico nell’affrontare il tema clou di un allestimento non proprio apollineo, puntando sul «senso di una mostra che si apre il giorno prima», sulla scelta di creare «una mostra imperfetta», ma soprattutto dove chi guarda si trova «sullo stesso piano delle opere». Un “sullo stesso piano” che si traduce in ammassi di lavori ingombrantemente a contatto col visitatore. E qui siamo tornati sullo “schivare” e lo “scomodamente” lasciati in sospeso all’inizio. Non per niente, delle sue opere Benassi dice: «Le state scontrando». Lui che così vorrebbe «Far incazzare il pubblico», afferma, tanto da lanciare un provocatorio «Spero che ne parlino male» riferito alla mostra.

Padre Pio, cruising e ciabatte
Sulla quantità di opere esposte c’è confusione: 100, 120 forse, relative comunque agli ultimi 7 anni di produzione. E non è certo il caso di sindacare sui numeri, anche perché sì le foto, sì la pittura, ma pure qualsiasi altro elemento potenzialmente estraneo/casuale è realmente parte di un allestimento che è opera in sé, dal santino con Padre Pio allo stesso Benassi che parte e si siede alla batteria, alle ciabatte abbandonate in giro. A proposito di ciabatte, di Passeggiata estiva ai giardini pubblici in ciabatte – serie Cruising e anno 2024 – avremmo voluto vedere più del solo titolo scritto sul retro della foto incorniciata, ma già abbiamo capito: la fotografia non è certezza, e le immagini sono della stessa materia dell’immaginazione. E, trattandosi di cruising, la sfacciataggine di un lato b potrebbe essere anche la migliore delle rappresentazioni.

Jacopo Benassi: precarietà e mutazione
Non sappiamo se possa essere considerato parlar male, ma questa mostra è un gran casino. È quel casino (proprio casino, non caos) che immagineremmo di veder frullare nella mente di Jacopo. Per dirla alla Dadamaino, e in maniera decisamente più raffinata, l’intervento di Benassi è un Universo della mente, fatto di immagini non solo fotografiche, messe insieme in maniera finto-precaria (le cornici poggiate a terra sono comunque fissate al muro); di vernici spray con cui lanciare messaggi, cornici tagliate in maniera approssimativa e lampade alogene prese d’assalto dalla creta, quasi in via di mutazione come una Dafne berniniana. Tutto in regola, è proprio il Benassi che ha «Solo perfezionato l’imperfezione» di questa intervista.

Spiegarsi, in un tunnel, guardando Villa Croce
Chiamato direttamente in causa, Benassi risponde «Mi sento ridicolo a spiegare il mio lavoro». Ma caro Jacopo, chi meglio di noi può capirti, che pretendiamo a nostra volta di raccontare il tuo lavoro, millantando almeno un briciolo della tua coerenza, quella che ti fa trovare di tergo un Autoritratto mentre piango dopo che hai affermato «Non piango quasi mai». Tu che sei uno dei pochi a trattare la realtà in maniera realistica, e noi abbastanza dei contemporanei smaliziati da non scomporci a parlarne quando tratta di cruising, lati b e feticismi, così come di testicoli penzolanti che ben incarnano un Autoritratto durante il montaggio di questa mostra, all’inizio dell’installazione chiamata Tunnel. Tunnel che termina nell’antibagno con la serie di lavori dedicata a Villa Croce. È che ci sembra tutto talmente chiaro che l’unica domanda è: ma Jacopo, cosa vuoi spiegare?


















