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Sono quasi rebus surreali i dipinti di Zhang Zhaoying (Guangzhou, 1988) che oggi occupano le sale al secondo piano del Museo di Palazzo Grimani. Un granchio che si libra su un cielo terso, tracce di colore sciolto su paesaggi ben definiti, un gambero gigante, personaggi di Hollywood e del teatro dell’assurdo: queste suggestioni si susseguono e si coagulano nelle opere presentate in Lifelong Beauty. L’esposizione, a cura di Lü Peng, Li Guohua e Carlotta Scarpa, sarà visitabile fino al prossimo 3 agosto.
Zhang, riconosciuto come una delle figure di spicco tra gli artisti cinesi della generazione post-1985, non può essere propriamente categorizzato, poiché nei suoi lavori fonde non solo diverse cifre stilistiche, ma anche simbologie e personaggi provenienti da contesti completamente differenti tra loro. Come fa infatti notare Lü Peng: «Sebbene influenzato dal Rinascimento, dal modernismo europeo e dalle avanguardie, Zhang Zhaoying ha evitato di aderire rigidamente a schemi pittorici predefiniti, creando una sintesi straordinaria tra la tecnica libera e la pittura controllata, esplorando le trasformazioni culturali e le nuove dinamiche sociali della globalizzazione, per interrogarsi infine sulla bellezza e la verità universale».

Proprio la bellezza — e la sua possibilità — è il nucleo concettuale attorno a cui ruota tutta la produzione dell’artista. Una bellezza instabile, mai compiuta, che non risiede nell’equilibrio ma piuttosto nel corto circuito visivo: nella coesistenza, all’interno di un’unica tela, di immagini che non dovrebbero condividere lo stesso spazio. Lifelong Beauty è allora un’esplorazione di questa tensione continua, dove la pittura si fa campo di attrito tra ordine e caos, tra la seduzione dell’illusione figurativa e la sua costante perturbazione.
Lavori come l’olio su tela Life as Vibrant as Ketchup (2023 – 2024) sono un perfetto esempio di ciò. In un paesaggio bucolico, dove si staglia una lussuosa villa, tracce di colore violaceo increspano la superficie e un uomo concentrato sulla sua confenzione di ketchup volteggia nell’aria. Il risultato è dunque una realtà in cui tempo e spazio non esistono, dove tutto è possibile e proprio in questa continua possibilità Zhang trova la sua visione di bellezza.

Sono sempre identificabili, perciò, due livelli nella pittura di Zhang: una di fondo, coerente e ben leggibile, un’altra creata da elementi di disturbo, incomprensibili nella più ampia narrazione proposta. Sono anomalie che galleggiano sulla superficie del quadro e che fatichiamo a giustificare, ma che, al tempo stesso, sono esattamente ciò che rende la pittura di Zhang così attraente.
Nel suo insieme, perciò, la mostra ci restituisce un linguaggio pittorico stratificato, che affianca al rigore tecnico un’innata libertà immaginativa. Le opere di Zhang alternano leggibilità e spaesamento, tradizione e invenzione, lasciando emergere una visione della bellezza fondata più sulla sovrapposizione che sulla sintesi: una pittura che invita lo spettatore a restare nel dubbio, senza cercare risposte immediate.
