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Luke Morrison e la pittura dell’anonimato: la mostra alla Ceravento di Pescara
Mostre
Vive e la vora a Providence, Rhode Island, il primo autore del programma di residenza organizzato da Ceravento, galleria d’arte di Pescara. Luke Morrison, questo il nome dell’artista, porta nello spazio adriatico atmosfere e mood esistenziali tipici della cultura statunitense, spesso anonima, massificata e caratterizzata da una routine che a volte cresce le persone in condizioni annichilenti. La dimensione un po’ claustrofobica e asfittica è rintracciabile nello stesso titolo che accompagna tutto il progetto (residenza e mostra), ovvero Photo Booth – cabina fotografica -, espressione di quell’approccio voyeuristico usato dall’autore americano nelle sue pitture e sintesi di quella dimensione un po’ impersonale dichiarata nelle tematiche affrontate.


Morrison è stato in Italia per 15 giorni, una stanza della galleria è stata riconvertita in studio, qui l’artista vi ha prodotto nuove opere intervallate da viaggi nella capitale, studio-visit e scoperta di un territorio, quello abruzzese, molto diverso da quello di appartenenza. Il programma è nato con lo scopo di rendere Ceravento un luogo dell’esperienza, uno spazio di produzione rendendo di fatto la galleria una vera e propria factory. In questa condizione Morrison si è sentito assolutamente a suo agio e la residenza ha permesso all’artista di accorciare notevolmente le distanze tra due mondi, quello americano e quello italiano.

In mostra opere di piccolo formato realizzate principalmente in acrilico su tavola e su tela, i soggetti sono per lo più persone anonime immortalate in gesti ordinari. L’artista narra di abitudini giornaliere che, attraverso una pittura semplice ma mai scontata, diventano paradossalmente sofisticate. La materia pittorica è stesa sulle superfici perdendo ogni guizzo coloristico, ogni brillantezza, per prediligere un azzeramento della vivacità tonale che enfatizza la dimensione piatta e monocorde delle scene riprodotte. A offrire un po’ di ritmo, la giustapposizione di campiture neutre ben armonizzate tra loro. Colori asciutti, forme “elementari”, azioni semplici in ambientazioni quotidiane e notturni in luoghi non ben definiti, narrano di vite cariche di silenzio, di persone senza identità e di situazioni che solitamente appartengono alle nostre esistenze, a cui però raramente diamo importanza.

Morrison ci consegna uno spaccato della società fondata sul banale, o meglio sulla banalità del mediocre, dove l’ordinario diventa straordinario e l’eccezionalità scivola in spazi sempre più ristretti. In questo modo l’artista comunica quanto si riduce sensibilmente l’interesse verso il perseguimento di mete ambiziose e l’esclusione dell’eccezione perché il quotidiano incredibilmente appare più interessante.

L’autore americano, attraverso una pratica artistica molto personale, sguazza nell’appiattimento presociale, ossia individuale, prima, e poi sociale, dopo, e dunque collettivo, verso ogni forma di avanzamento. In questo modo ci mostra quanto la mediocrità risulti più accessibile, alla portata di tutti, perché non richiede fatica. Per dirla alla Heidegger le figure sono silenziosamente livellate, ogni originalità proposta è subito dissolta nel risaputo perché appare decisamente più rassicurante. Si, la pittura di questo artista è molto rassicurante, non chiede troppi sforzi, ma allo stesso tempo suscita nell’osservatore attento maggior coscienza sul valore del disordine e sulla capacità dello straordinario di destabilizzare gli equilibri. Attraverso in non detto, infatti, Morrison ci dice molto di più di quanto emerge in superficie.


La mostra, accompagnata da un testo critico di Miriam Di Francesco, sarà visibile fino al 29 marzo 2025, dal martedì al giovedì dalle 17 alle 19, mentre il venerdì e il sabato su appuntamento. Per informazioni: info@ceravento.it.