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Dopo La lama dei tuoi capelli dischiude dolci crudeltà, opera esposta nell’ambito del progetto “Relazioni nomadi nell’arte”, Francesca Tulli torna alla Kou Gallery di Roma con la mostra “Mutanti”, curata da Massimo Scaringella, visitabile fino al 9 gennaio.
Placate l’aggressività delle sue figure acuminate e la fame creativa dei suoi esseri antropofagi, l’artista romana approda a un’indagine rasserenata del corpo umano, che non dissimula le sue inquietudini. In un dialogo tra segno, materia e luce, “Mutanti” testimonia una ricerca al contempo conciliante e straniante, che sembra nascere da una profonda accettazione della precarietà dell’esistenza e arricchirsi, nelle possibili evoluzioni delle forme, di turbamenti e contraddizioni che stravolgono il consueto immaginario dell’osservatore.

Esili sagome umane in bronzo svettano su alti piedistalli neri, aggrappandosi con le braccia a tasselli di legno chiaro e allo sguardo di chi le osserva. Sulle pareti, evanescenti orbite verde acqua conciliano il loro equilibrio, circondando enormi disegni di figure mutanti e volti in ceramica assorti in contemplazione.
I piccoli bronzi rappresentano corpi in stato embrionale, essenziali e universali. Sembrano agili ombre di cariatidi che, liberate dai vincoli del tempo e dello spazio, si arrampicano sui capitelli delle loro colonne minimaliste, si inarcano e si allungano trasformandosi in germogli protesi verso il cielo.
In bilico tra reale e surreale, l’unico equilibrio possibile è mutevole, dinamico e fluido. Nelle molteplici forme della loro metamorfosi, questi esseri umani, sorretti da un ordine geometrico, si fondono in un’armonia organica con la natura. I volti privi di lineamenti sembrano intercettare lo sguardo dell’osservatore, che si addentra in questa selva di corpi flessuosi prendendo parte a una conversazione magnetica e inquietante.

Intanto, una folla opaca di undici teste, illuminata da una miriade di punti luce, rivela un dualismo antico quanto l’umanità. I volti diversamente caratterizzati, dalla pelle ruvida e accidentata, sembrano emergere da una massa di terracotta informe, stratificata e violentemente manipolata dall’artista. I loro occhi non vedono: sono serrati o inesistenti, sostituiti da sottili fessure o da buchi come alveari, cancellati da grumi impastati di materia o da un’unica densa ditata di argilla. L’aspetto visivo si annulla in quello gestuale, essenzialmente tattile.
Questi esseri privi di sguardo sembrano assorti nella luminosa ricerca di un altrove interiore che si manifesta fuori di sé. Una luce calda, fissa, accesa nella sede del pensiero, attraversa piccoli fori disseminati sulla superficie dei volti e li smaterializza, unendo i corpi in una relazione intangibile.

Accade lo stesso nei disegni dei profili che emergono da una sottile trama intrecciata. Delineati a matita, sono illuminati da piccoli cerchi color ocra e sommersi da una nube di grafite impastata e sfumata, pressata e tormentata con le dita. Uno di questi profili si concretizza in una testa in terracotta nera, accompagnata da due figure in bronzo che sembrano proiettare sul parallelepipedo bianco che le sostiene un vivissimo fascio di luce gialla.

Al termine della mostra, il misterioso coinvolgimento del visitatore reclamato dai mutanti si fa perentorio e quasi brutale nella versione ridotta di Umana Natura, l’opera monumentale che si erge nel parco “Sculture in Campo” di Bassano in Teverina (VT). Un corpo proteso verso l’alto al principio di una trasfigurazione naturale, le braccia avvinghiate al suo piedistallo, improvvisamente si volta, convocando gli occhi dell’osservatore in uno sguardo muto e profondo che invita a percepire il mondo con la sua stessa intensità.
mostre ed eventi

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