-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Trent’anni senza Alighiero Boetti. Apre a Torino una delle ultime mostre curate da Luca Beatrice
Mostre
Rivelare. Trent’anni senza Alighiero Boetti: impossibile non partire dal fatto che questa esposizione, all’interno della Galleria Accademia a Torino, ha una particolarità che lo rende speciale, e in certo senso imperdibile, perché si tratta dell’ultima mostra in una galleria curata dal compianto Luca Beatrice, che la realizzò e studiò insieme con il gallerista Luca Barsi pochissimi giorni prima della sua prematura e improvvisa scomparsa.
Il percorso espositivo si snoda attraverso una serie di lavori tipici e interessanti. Non mancano certo gli immancabili arazzi con le scritte in verticale, ci sono diversi dipinti e disegni. E c’è anche qualche gustosa chicca storica, come una mappa della città di Torino sopra cui sono segnate, con diversi colori, le abitazioni degli amici dell’artista (praticamente tutti i protagonisti dell’Arte Povera) e un elenco numerico apparentemente incompressibile, che poi scopriamo essere un sistema per misurare la lunghezza dei fiumi, che in natura, alla foce varia al variare delle maree.
Ma in mostra c’è anche uno degli esemplari del celebre Manifesto del 1967, dove all’elenco dei nomi dei colleghi dell’Arte Povera, Alighiero Boetti affiancava una serie di misteriosi e giocosi segni in codice. E una sala della galleria è dedicata a un altro lavoro su carta edito negli anni Ottanta per le scuole elementari e composto da dieci diversi disegni dove. con una serie di mani e numeri in successione crescente, Boetti aiutava gli scolari a imparare a far di conto.

Tra gli arazzi ci sono, poi, alcuni gioiellini, come una delle prime tele fatte realizzare dalle ricamatrici di Kabul nel 1971, in pura seta e con fili colorati artigianalmente secondo l’antica tradizione afghana del ricamo, e poi alcuni altri arazzi realizzati in Pakistan.
Nel complesso dell’esposizione, la mano curatoriale di Luca Beatrice è leggibile nel desiderio, riuscito, di sottolineare la parte giocosa, divertente e divertita, del lavoro di Alighiero Boetti. Eppure, dall’elegante carrellata di lavori, non può non emergere anche la complessità del lavoro e della ricerca del Maestro torinese. I riferimenti all’alchimia, alla filosofia e all’esoterismo, quasi ovunque si mescolano al tono divertito delle opere. L’insieme induce, così, il fruitore a tentare un salutare mutamento di prospettiva, uscendo dalle idee standardizzate della mentalità comune e dei clichés, per provare a leggere il mondo in modo diverso, lasciandosi meravigliare da ciò che può scoprire. Proprio come per leggere il testo di uno dei suoi tipici arazzi dobbiamo fare lo sforzo di girare il capo e cambiare direzione, leggendo nel verso verticale, anziché come facciamo di solito da sinistra a destra, così nei confronti dell’esistenza siamo invitati da Boetti a cambiare sguardo, a tentare una lettura alternativa, non scontata, sorprendente, di tutte le cose.

Cercare la misura per la lunghezza dei fiumi o provare a far stare un numero limitato di quadrati in un quadrato più grande, risolvendo intuitivamente e in modo creativo un problema matematico, significa allora anche cecare un modo diverso di guardare il mondo e di fare i conti con quello che l’esperienza ci pone di fronte. Viene in mente il filosofo presocratico Anassagora, secondo il quale l’essere umano è misura di tutte le cose. Boetti, in questo senso, è profondamente e massimamente umano, al punto di provare a cercare sì una misura, ma secondo una logica inventata, alternativa a quella tradizionale, ogni volta creativa, intelligente, capace di muoversi su un altro piano con sapiente ironia.
La mostra alla Galleria Accademia è, insomma, un’ottima occasione per riscoprire, attraverso alcune opere interessanti, il lavoro di un grandissimo artista la cui arte ancora ci parla in maniera viva e vivace. In modo intelligente, ma sempre con quel tono di gioco leggero nel senso di Calvino, che non disdegna affatto la profondità.
