13 dicembre 2024

Tutte le volte che gli Etruschi sono tornati nella storia: la grande mostra al Mart di Rovereto

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Fino al 16 marzo 2025, il Mart di Rovereto ospita la mostra Etruschi del Novecento, prima tappa di una collaborazione che proseguirà alla Fondazione Luigi Rovati di Milano il prossimo aprile. Tra antichità e contemporaneità, il progetto mette in luce il doppio lato della cultura etrusca

Veduta della mostra Etruschi del Novecento, Ph Mart

Un antico proverbio popolare – che probabilmente affonda le sue radici proprio nell’antichità etrusca o romana – recita “l’unione fa la forza”, a sottolineare l’importanza della cooperazione per il raggiungimento di uno scopo comune. È questo il caso della collaborazione nata tra il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, e la giovane, solo anagraficamente, Fondazione Luigi Rovati di Milano. Etruschi del Novecento è il risultato finale di un lungo processo scientifico di studi e ricerche, che vede il suo primo capitolo allestito nell’istituzione trentina, per spostarsi poi in primavera nella Fondazione milanese che affaccia su Corso Venezia. L’unione (che fa la forza) è data anche dal variegato, in termini di professionalità, team curatoriale: le storiche dell’arte Lucia Mannini, Anna Mazzanti e Alessandra Tiddia e l’etruscologo Giulio Paolucci.

Veduta della mostra Estruschi del Novecento, Ph Mart

Etruschi al Mart

Sebbene il progetto si sviluppi secondo un andamento tematico ben orchestrato, non viene a mancare l’inquadramento storico, definito da una timeline che esplode nello spazio. Tre le date fondamentali da ricordare, illustrate anche attraverso le pubblicazioni dell’epoca, il 1916 con il ritrovamento dell’Apollo a Veio, il 1955 con la Mostra dell’arte e della civiltà etrusca e il 1985 con l’anno etrusco tenutosi in Toscana. A fornire coordinate più precise, gli oggetti rinvenuti e debitamente protetti da teche, che segnalano su una mappa geografica calpestabile, i luoghi dei ritrovamenti. Coperchi di urne cinerine, figure votive e volti, come la Testa raffigurante il Dio Hermes/Turms risalente al 510-500 a.C., non vivono qui solo della loro sustanziale bellezza e ambiguità, ma si presentano come prima controparte di un coro che include le voci di artisti a noi più vicini nel tempo: gli Etruschi del Novecento.

Testa raffigurante il dio Hermes/Turms, 510-500 a.C., Proveniente da Veio, Santuario di Portonaccio, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia in Roma

“L’etruscomania” tra gli artisti del Novecento

La mostra parte infatti dal presupposto di capire chi siano questi Etruschi del Novecento. Ed è quello che sembra chiedersi l’Etrusco di Michelangelo Pistoletto, che apre il percorso espositivo. Un “Narciso” togato è catturato dalla sua immagine riflessa nello specchio, che intrappola e coinvolge anche il visitatore rivolgendogli la stessa domanda. A partire dal ritrovamento dell’Apollo nasce infatti una vera e propria fever tra gli artisti, un’etruscomania che li spinge a intraprendere un personale Grand Tour, declinato in chiave etrusca. Artisti come Arturo Martini, Marino Marini, Massimo Campigli, ammaliati dall’espressività e dall’anti-classicismo di queste figure, vengono qui posti in continuità con i padri tutelari antichi a cui guardano con rinnovato interesse, tanto da portare Marini a dire «io sono il vero etrusco».

Veduta della mostra Etruschi del Novecento, Ph Mart

I sorrisi enigmatici della figurazione etrusca, che ricordano un po’ quelli della Gioconda, ritornano quindi nella Marinella o nella Testa di Dicomana di Martini, nelle maschere di Andrè Derain, così come nelle Teste di Roberto Sebastián Matta e nei quadri essenziali di Campigli. La terracotta, tangibile nelle sculture antiche e moderne, è anche visibile metaforicamente nei dipinti caratterizzati da quella che il pittore chiamava «una pagana felicità». Al di là del velo di Maya del puro godimento estetico ed estatico, velo che in un dipinto una fanciulla di Campigli scosta serena, sussiste l’architettura storico-scientifica. Nell’allestimento infatti la forbice temporale viene ulteriormente segnalata attraverso l’utilizzo di due distinti colori, il giallo pastello e l’ottanio, per raccontare e ricordare al visitatore chi è l’Etrusco e chi l’artista del Novecento.

La moda alla maniera etrusca

È sempre un velo che separa una delle sezioni della mostra che viene dedicata all’influenza dei canoni estetici etruschi sulla moda. Un esempio è la modella Ivy Nicholson, considerata una bellezza dai tratti etruschi, che in abiti Gattinoni, viene immortalata al Museo Etrusco di Villa Giulia. Un abito plissé di Gattinoni, è proposto anche dal vero, così come i gioielli, alcuni etruschi altri di artisti del Novecento, tra cui spicca un bellissimo bracciale di Afro Basaldella appartenuto a Palma Bucarelli.

 

Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998), Amare chimere (La Chimera), 1985. Collezione privata

La chimera

Sorpassate le ceramiche di Gio Ponti e Picasso, tra le altre, la protagonista indiscussa dell’ultimo atto è la chimera, che in chiusura compare più volte: dalla piccola Statuetta di Chimera del V secolo a.c., ai leoni-chimera di Arturo Martini, dalle sculture di Mirko Basaldella fino alla grande e maestosa tela di Mario Schifano. Nell’omonimo film del 2023 di Alice Rohrwacher, la chimera è un sogno, un abbaglio continuo che divide labilmente il mondo dei vivi da quello dei morti, soglia di cui gli etruschi erano gli interpreti, grazie alle loro figurazioni sorridenti e piene di vita poste sopra i sarcofagi funerari. Allo stesso modo l’animale mitologico aleggia simbolicamente nel dipinto di Schifano, che chiude liricamente l’esposizione senza aver nulla di etrusco, se non l’essere l’incarnazione di un sogno «metafora della superiorità della fantasia sulla realtà»: si è inaugurato il nuovo anno degli Etruschi.

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