12 ottobre 2021

Di armi e galanterie: al Museo di Capodimonte riaprono due sezioni storiche

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Al termine di una campagna di digitalizzazione, al Museo e Real Bosco di Capodimonte riaprono due sezioni: le Armerie Farnesiana e Borbonica e la collezione d'arte applicata De Ciccio

Armi da fuoco e da taglio e galanterie, fucili, pistole ma anche tessuti e ricami, ventagli, tabacchiere, astucci e orologi. Collezioni eterogenee e pulsanti di vita, costruite attraverso le epoche e testimonianza “parlante” di gusti personali e mode condivise, tendenze e stili oltre che simboli politici. Dopo la campagna di digitalizzazione, al Museo e Real Bosco di Capodimonte riaprono al pubblico due sezioni: l’Armeria Farnesiana e Borbonica, tra le più significative in tutta Europa di questo particolare settore, e la collezione De Ciccio, che comprende 1300 oggetti d’arte applicata di differenti tipologie.

Le Armerie di Capodimonte

Costituita dalle armi che appartenevano alla famiglia Farnese tra la fine del XV e il XVII secolo, fu ricevuta in eredità da Carlo di Borbone, che vi aggiunse nel Settecento la sua raccolta di armi da fuoco, alcuni doni diplomatici e altre armi prodotte dalla Real Fabbrica di Napoli. Nell’Ottocento, Ferdinando IV arricchì la collezione con alcuni pregiati manufatti cinquecenteschi, recuperati durante il suo esilio a Palermo.

Come nelle regge di Dresda, Torino o Madrid, la funzione di un’armeria era più di rappresentanza che militare. Considerate oggetti di lusso, simbolo di potere e ricchezza da sfoggiare durante le cerimonie di parata e i tornei, le armi ricoprivano, per gli uomini, una funzione sociale simile a quella dei gioielli per le donne. Come un abito simbolico, un’armatura rifletteva il casato, il gusto e lo status sociale del suo proprietario, nonché le abilità artigianali del suo creatore.

L’armeria Farnese conta oggi circa 600 pezzi provenienti dalla cosiddetta “armeria secreta” del palazzo Farnese di Parma. Questo nucleo è composto da armi realizzate dalle più importanti botteghe d’Europa: armi da fuoco, taglio e difesa, armi bianche, spade e pugnali, risalenti tutte tra la fine del XV e quella del XVII secolo. Le armature più pregiate di casa Farnese erano commissionate a Pompeo della Cesa (1537-1610), uno dei più abili armorari italiani del XVI secolo. L’abile artigiano creò un insieme omogeneo di pezzi intercambiabili che potevano trasformare un’armatura da piede in armatura da cavallo o da giostra. La sua mano è riconoscibile dall’intaglio estremamente raffinato della decorazione ricca di simboli, come nelle armature dette “Volat” e “del Giglio”, capolavori della sezione.

I pezzi dell’Armeria Borbonica risalgono invece a dopo il 1758, quando Carlo III di Borbone istituì la Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata, nella periferia a sud di Napoli. Dal 1782 venne fondata inoltre la Fabbrica degli Acciai, per la produzione di oggetti di uso comune ma anche di armi bianche, ubicata nella Palazzina dei Principi all’interno del Bosco di Capodimonte. Le fabbriche borboniche erano sorte per le esigenze dell’esercito, ma in parallelo crearono raffinate armi da caccia per la corte, arricchite da intarsi in avorio e foderi in pelle. La sezione conserva inoltre le armi da fuoco madrilene portate a Napoli da Carlo di Borbone e quelle donate a Carlo e Ferdinando di manifattura sassone, viennese, spagnola e francese. Infine, sono presenti un nucleo importante di armi orientali e una serie di modellini da guerra ad uso della scuola di artiglieria.

La Collezione De Ciccio

Donata da Mario De Ciccio allo Stato italiano nel 1958, la collezione è costituita da 1300 pezzi, soprattutto oggetti d’arte applicata di differenti epoche e tipologia, raccolti dal collezionista nell’arco di oltre 50 anni prima a Palermo, sua città natale, poi a Napoli, sua patria d’adozione dal 1906, oltre che sui più quotati mercati d’arte internazionale. Dipinti, sculture, smalti limosini del Cinquecento, ventagli, tabacchiere, astucci e orologi, vetri, bronzetti, avori e smalti medioevali, paramenti sacri, tessuti e ricami, argenti di uso liturgico, ceroplastiche, una importante selezione di oggetti archeologici e uno sceltissimo gruppo di maioliche e di porcellane. Questa variegata raccolta di oggetti riflette un gusto ancora tardo ottocentesco, d’altra parte De Ciccio, nato nel 1868, aveva avviato fin da giovane la sua carriera di collezionista e antiquario.

Tra i pezzi più interessanti, i fastosi piatti “da pompa” in ceramica ispano-moresca decorata a lustro metallico, le ceramiche persiane due e trecentesche, le preziose maioliche italiane decorate con scene “istoriate”, a “quartieri”, a grottesche, i fragili vetri veneziani o “alla façon de Venise”, lo sceltissimo gruppo di porcellane cinesi e giapponesi, di Meissen, Vienna, Ginori, soprattutto di Capodimonte e di Napoli.

I ventagli e gli orologi da taschino, gli smaglianti parati d’altare ricamati ma anche gli oggetti di fattura più corrente come i mortai in bronzo e i piatti da elemosina in rame sbalzato costituiscono, con la loro scenografica e variegata esposizione nelle vetrine, un utilissimo completamento delle raccolte storiche del museo – la cui collezione d’arte va da Raffaello e Tiziano ad Alberto Burri e Andy Warhol, passando per Caravaggio e Luca Giordano – e delle porcellane di provenienza borbonica con una componente di matrice collezionistica e antiquariale.

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