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Il corpo mutevole del Museo Nitsch di Napoli, nel nuovo volume di Massimo Maiorino
Musei
di Diego Osimo
«[…] L’opera e la forma museo s’intersecano nel discorso di Nitsch come un’endiadi inscindibile e preziosa, entrambe sono determinate da un cerimoniale che lascia affluire e defluire, come nella meccanica cardiaca scandita da sistole e diastole, il sangue-colore/la folla-partecipanti; entrambe sono animate dall’alternarsi di spinte dicotomiche e vitali, da un’azione costante e da movimento continuo, come provano in modo flagrante le stanze del museo napoletano». Respiro rovente di un diaframma urbano, pulsante museo «Necessario», nel volume di Massimo Maiorino Il Museo Hermann Nitsch. Archivio e laboratorio di museologia (Editori Paparo, 2023), la Kult/Kunststätte dell’azionista austriaco diventa la ribalta capace di trasgredire «Le recinzioni strette ed anguste che pure oggi attanagliano l’istituzione museale» o autenticare interi ensemble anelati nel discorso museologico tra ieri e oggi, manifestandosi come un preciso sistema instabile, che l’autore esplora in ogni dimensione, interrogando i «Relitti» materiali e «Per_formativi» — per usare l’efficace titolo di un celebre progetto ideato da Andrea Viliani per il Museo Madre — di Hermann Nitsch, tra brillanti ispezioni teoriche che risalgono fino all’origine e alle ragioni del collezionismo, e rimandi che producono prospettive assolutamente inedite, rese note offrendo tutte le variabili di questa geometria, osservata da ogni angolazione possibile.

Massimo Maiorino, docente di Museologia all’Università degli Studi di Salerno e storico dell’arte contemporanea, compie un attraversamento critico che verifica, problematizza e inspessisce i significati di quanto espresso finora sull’opera-museo nata nel 2008 dal sodalizio tra Hermann Nitsch e il gallerista Giuseppe Morra, situata nel centro storico di Napoli nella struttura della Stazione Bellini, ex centrale elettrica riqualificata. I contorni di questo luogo dalla «Geometria variabile» — espressione ideata dall’artista Tony Grand per indicare lo spazio mutevole dell’atelier, puntualmente ripresa nel volume da Maiorino — trovano un felice riscontro nella costruzione del volume, che procede nei diversi capitoli ripercorrendo delle “triadi vettoriali” — Artista, opera, museo; Studio, fondazione, laboratorio; Castello, centrale elettrica, città; etc. — rilette in luce e controluce come le facce tinte di un poligono vitreo, la cui traslucenza permette di indagare sincronie e sovrapposizioni tra tempi diversi e spazi uguali, confini in movimento e condivisi tra tutte le unità che definiscono la gestazione e la discendenza del museo; un brillante sistema interferenziale dal perfetto tricroismo, dove l’uno può essere effetto e premessa dell’altro.

L’autore del volume impagina accuratamente queste vitali reciprocità: se il museo «dissemina un’individualità nel tessuto collettivo», le fibre contratte di questa macchina muscolare si intridono di umori, odori e colori che sono violentemente restituiti, impregnando lo spazio, la folla e la città attraverso le aktion, i cerimoniali che depositano nell’«impermanenza del permanente» allestimento napoletano un paradossale reliquiario, vivo e redivivo, composto dai relitti dei rituali nitschiani, che «Rappresentano la conclusione e il ricominciamento dell’opera d’arte».
Sono le origini e gli esiti di questa pratica totalizzante, ciclica e a tratti paradossale, che Massimo Maiorino decostruisce, districando anche il serrato nodo del Gesamtkunstwerk (l’opera d’arte totale), sogno ossessivo di Hermann Nitsch, trovando nella teoria freudiana un innesco fondamentale che genera «Una messa in opera dell’inconscio come drammaturgia». Una nascita inevitabile — secondo lo stesso artista — quella dell’opera d’arte totale, ma dal compimento impossibile; visione di un mondo concepito sinesteticamente e irrimediabilmente intriso dalle azioni, che mediante il coinvolgimento e l’attivazione di tutti i sensi straborda nella vita reale, senza mai dissolvere, però, l’esistenza primaria e fondativa del linguaggio; un presupposto inviolabile riproposto da Massimo Maiorino a partire dalle avvertenze di Angelo Trimarco, tracciando uno spazio di contenimento compenetrabile, una membrana capace di avvolgere l’indomabile esperienza di Nitsch, «Artista e museologo totale», che in ogni eccedenza, «Non tracima il perimetro del linguaggio […] trovando nella pittura la forma, il sangue e la vita».

La questione del linguaggio rappresenta un solo esempio tra le limpide chiarificazioni presenti nel volume, funzionali a redigere una serie di annotazioni a margine di una partitura — elemento ricorrente nella pratica dell’artista — da cui ricavare un’esecuzione metodologicamente scandita: collezione, pittura, allestimento ed esposizione diventano formule capaci di riportare lo sconfinato e «vertiginoso» progetto di Nitsch a una dimensione straordinariamente museologica, fatta innanzitutto di elementi essenziali; sintagmi che, insieme, definiscono delle soglie critiche oltre cui non sarebbe possibile comprendere le ragioni del museo e del suo artefice. Comuni denominatori che Massimo Maiorino registra per disegnare delle coordinate, entro cui si muove «L’Organismo mobile e cangiante» del Museo Hermann Nitsch.

Una «Macchina pensante» il cui profilo psichico-museale è restituito dall’autore riconoscendo la ristrettezza di alcuni contenimenti, superando, ad esempio, lo statuto lapidario della definizione tassonomica di museo monografico e considerando «Per punti esemplari la parabola di Hermann Nitsch (1938-2022), di cui il museo al di là di qualsiasi linearità cronologica appare stazione di partenza, passaggio e di approdo», piuttosto che rinchiudere l’artista in un coloratissimo tumulo commemorativo e terminale. Un testo che dispiega una vivida traiettoria critica, dunque, di un’opera in continuo divenire, di cui Maiorino riconosce la duplice capacità di rilancio e riscrittura dei paradigmi museologici, risolvendo o capovolgendo laddove i margini delimiterebbero una sistemazione definitiva.