27 novembre 2021

Tentativi di decolonizzazione al Royal British Columbia Museum

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Ritenute offensive e discriminatorie, alcune sezioni del Royal British Columbia Museum verranno chiuse, per rendere il museo canadese un luogo più accogliente e inclusivo

A distanza di qualche mese si torna a parlare della Royal British Columbia Museum, uno dei musei più antichi del Canada, contenente 7 milioni di oggetti, tra cui esemplari di storia naturale, manufatti archeologici e documenti d’archivio. Prima le avvenute dimissioni dell’ex amministratore delegato dell’istituzione, accusato di razzismo, e ora la notizia di chiusura definitiva di alcuni spazi del terzo piano dedicati ai “Primi Popoli” – “First Peoples Gallery” – ma incentrati unicamente sulla storia del colonialismo europeo.

Come è ben noto, i territori degli USA e del Canada hanno subito nel corso delle epoche una serie di terribili incursioni tese a marginalizzare le popolazioni indigene, relegarle in territori sempre più piccoli e finalizzate a distruggerne il tessuto storico e culturale con veri e propri genocidi e deportazioni in massa. Tuttavia la non avvenuta estinzione indigena ha generato una forma di resistenza identitaria che gli attuali governi non possono più evitare o sottostimare.

Espressione di questa volontà d’ascolto è la decisione di chiudere le collezioni incriminate del Royal British Columbia Museum e ricostruirle gradualmente, rivedendo la cronologia, i reperti, le didascalie e il percorso espositivo. Come recentemente dichiarato dal neo CEO Daniel Muzyka, «La decolonizzazione delle gallerie del museo è importante e attesa da tempo. La chiusura comporterà una grande quantità di consultazioni con i popoli indigeni, voci sottorappresentate da troppo tempo, al fine di riaprire con il loro consenso». La riapertura prevista per il 2 gennaio «Fa parte dell’impegno del governo a rimediare a queste mancanze protratte nel tempo. È necessario che i musei non siano più istituzioni coloniali che escludono gli altri dal raccontare le proprie storie. Capire dove sei, chi sei, la tua identità, e chi erano i tuoi avi, aiuta a pensare al futuro», ha affermato il Ministro del Turismo, delle Arti, della Cultura e dello Sport Melanie Mark. Tuttavia per completare la ristrutturazione da cima a fondo ci vorranno anni, intanto però si assiste a un dichiarato impegno delle istituzioni a cambiare rotta.

Particolarmente entusiasta di questa sorta di uscita dall’oblio delle comunità native è Troy Sebastian, ex curatore della Collezione Indigena e membro della Ktunaxa Nation, che a febbraio in una serie di tweet descriveva il museo come «Una capsula di atteggiamenti razzisti in grado di dipingere gli indigeni come privi di voce». All’interno degli spazi espositivi infatti, non sono tanto le didascalie errate o cancellate a gravare sull’opinione pubblica, quanto la mancanza di interi capitoli di storia canadese. Una storia purtroppo densa di vessazioni, umiliazioni, processi di assimilazione forzata, confinamento, abusi sessuali e fosse comuni.

La decisione di riorganizzare le esposizioni è dunque un chiaro tentativo di riconciliazione, oltre che la speranza verso nuove narrazioni lontane da ogni logica suprematista. Del resto, in Canada vige il concetto di “riconoscimento reciproco” – definito nel “Report of the Royal Commission Aboriginal Peoples” – che si basa sulla relazione reciproca e paritaria fra indigeni e non indigeni, sulla coesistenza degli uni accanto agli. Vale a dire eguaglianza e abbandono di ruoli egemoni, come prerequisiti essenziali per relazioni durevoli e pacifiche. I popoli indigeni hanno infatti il sacrosanto diritto di manifestare la propria cultura, praticare, preservare e insegnare le loro tradizioni spirituali e religiose, i loro costumi e cerimonie; hanno il diritto accedere ai propri siti archeologici e di vedersi rappresentati nei musei in ottica comunitaria, al pari dei “bianchi”. Ristrutturare un museo a tal fine significa ripensare la struttura sociale e valutare questi luoghi come zone neutrali, accoglienti, rispettose e dalle traiettorie e prospettive unite e intersecate. Vedere le cose dal punto di vista del “contatto reciproco” significa considerare le persone e le vite, a prescindere dall’essere colonizzati o colonizzatori, visitatori o “visitati”, usurpatori o assoggettati.

Durante la chiusura del terzo piano, il personale del museo continuerà tuttavia a offrire webinar, approfondimenti e tour virtuali online. Melanie Mark ha affermato inoltre che il Royal BC Museum provvederà a restituire centinaia di oggetti della sua collezione, rimettendoli nelle mani di tribù depredate generazioni fa, e che sarà impegnato con una serie di iniziative di sensibilizzazione affinchè l’area canadese sia individuata da tutti come un intreccio di genti, conoscenze e fenomeni.

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