22 aprile 2010

decibel_festival Sonic Acts

 
Lo spazio inteso nella sua dimensione soggettiva, mutevole, esperienziale. È il cuore dell’ultima edizione del festival di Amsterdam. Partendo dalle teorie di Bachelard sull’architettura, il tema della “poetica dello spazio” è stato affrontato da artisti e intellettuali...

di

All’apertura delle conferenze, De Kerckhove ha ricoperto
l’usuale ruolo di maestro delle cerimonie, ricordando alcune note teorie
mcluhaniane. “From point of view to point of being è la frase con la quale riassume
la sua idea per cui la cultura umanistica, con la prospettiva centrale
fiorentina e la parola stampata di Gutenberg, avrebbe creato un’umanità “spettatrice”. Il predominio della visualità
avrebbe portato alla separazione tra individuo e contesto, mentre l’udito di
contro tenderebbe al superamento delle distanze e i suoni a fare da collante
tra luoghi, oggetti e persone. De Kerckhove ipotizza che – con l’avvento del
digitale, della multimedialità e del virtuale – si stia tornando a una modalità
esistenziale pre-storica, nella quale la totalità dei sensi è il canale
attraverso cui l’uomo si situa nell’ambiente piuttosto che un mezzo per
separarsene.
Brandon LaBelle
, artista e autore di alcuni dei più recenti saggi sulla
sound art, ha proseguito questo discorso con una curiosa performance di
ventriloquismo, Q & A (domande e risposte). Proiettando la sua voce a turno tra
quattro altoparlanti posizionati ai lati opposti della sala, LaBelle recita un
monologo schizofonico sul rapporto tra suono, memoria e costruzione dello
spazio sociale. Agendo contemporaneamente da oratore, moderatore e pubblico, dà
una prova brillante, ma esautorando il pubblico reale (nel pezzo c’erano anche
gli applausi registrati) colonizza completamente lo spazio sociale a cui
fa riferimento.
Derrick De Kerckhove
Il discorso sul suono dei luoghi è stato ripreso da alcuni
membri del World Soundscape Projet assieme ad altri attivi nel campo del field recording.
Assistere al confronto fra tre generazioni di artisti che lavorano su questo terreno
è stata un’esperienza da non dimenticare. Annea Lockwood, portando i due lavori sul fiume
Hudson e sul Danubio nei quali emerge la sua sensibilità naturalistica, ha
ricordato che quando ha incominciato a fare registrazioni ambientali per lei
era solo un modo come un altro di fare musica sperimentale, che negli anni ‘60
non c’era bisogno di limitarsi all’interno di una nicchia come accade oggi e
che, anche se è rimasta famosa per i suoi lavori fluviali, non ha mai smesso di
comporre per ensemble strumentali.
Hanno proseguito Barry Truax e Hildegard Westerkamp, quali paladini dell’ecologia
acustica ed esponenti di una corrente storicamente importante, ma che oggi
sembra in declino per via di un portato ideologico tendente al riduzionismo.
D’altronde, Yolande Harris con Fishing for Sounds, Gilles Aubry con Grrounding ed Eric La Casa con Les Pierres du Seuil hanno dimostrato come il field
recording rimane una pratica attuale che si presta a interpretazioni, modalità
di lavoro e finalità ancora originali.
Oltre allo spazio del registrato, anche quelli
dell’esecuzione o dell’ascolto hanno avuto l’attenzione dovuta. Daniel
Teruggi
del GRM ha rappresentato la musica
acusmatica tradizionale, dimostrando come con impianti multicanale si possa
creare l’impressione di sorgenti sonore in movimento. La forma più avanzata di
proiezione del suono oggi però non viene adoperata a Parigi. Il sistema Wave
Field Synthesis sviluppato tra Delft e Leida utilizza una diffusione a 192
canali per creare spazi sonori olofonici incredibilmente realistici e
dettagliati. Durante il festival sono state eseguite composizioni per questo
sistema di Ji Young Kang e Alo Allik.
Dirk Hebel & Jorg Stollman - Blur Building
Un approccio diverso si è rivelato nei lavori di Maryanne
Amacher
e di Jacob
Kirkegaard
. Plaything, l’ultimo dono della recentemente
defunta compositrice statunitense, gioca sul contrasto tra i suoni diffusi
nell’ambiente e quelli che si producono all’interno dell’orecchio umano. Jacob
Kirkegaard, nel suo Labyrinthitis, si concentra su quest’ultimo fenomeno, già osservato da Giuseppe
Tartini
nel XVIII
secolo: l’accoppiamento di due suoni periodici a intervalli determinati provoca
la percezione di un terzo suono localizzato direttamente all’interno del
timpano. Questi suoni sono totalmente privi di spazio, non hanno nessuna
distanza dall’ascoltatore e possono creare effetti di disorientamento.
Sui limiti della percezione sono intervenuti anche una
serie di esponenti della cultura psichedelica degli anni ’60 e ’70, muovendosi
tra concetti di sinestesia e aspirazioni all’arte totale. Trace Reddel ha riportato l’esperienza dei Vortex
Concerts
, un
progetto avanguardistico condotto da Henry Jacob e Jordan Belson tra il ’57 e il ’60, che usava
gli apparati del planetario Morrison di San Francisco per creare complesse
esperienze audio visuali.
Fred Worden
ha parlato di teorie della percezione della Gestalt e ha
mostrato un suo lavoro basato sull’alternanza di due o più sequenze filmiche
nel medesimo tratto di pellicola. Alternando rapidamente i fotogrammi delle
diverse sequenze si ottiene un effetto di sovrapposizione spazio temporale tra
i soggetti filmati che riproduce uno spaesamento simile a quello già ricercato
dai surrealisti. Un montaggio più rapido dell’occhio umano è adoperato dal più
giovane Makino Takashi in Still in Cosmos, con colonna sonora di Jim O’Rourke. Qui tecniche subliminali rendono
unica l’esperienza di ciascuno spettatore, che si trova lanciato in un mondo
onirico di luci e suoni di cui è impossibile ricostruire l’unità.
Makino Takashi - Still in Cosmos
Proseguendo, in Conflux Yutaka Makino ha immerso il pubblico in una
luce abbagliante, in una densa cortina di fumo e in suoni ad alto volume, in
modo da annullare i suoi riferimenti spaziali, riportandolo in una dimensione
quasi intrauterina. Infine, gli architetti Dirk Hebel e Jorg Stollman hanno raccontato la loro
esperienza con Blur Building, un costruzione di vapore realizzata sul lago Neuchatel
in Svizzera nel 2002, che ha posto l’accento sulla natura immateriale
dell’architettura, nonostante i costi esorbitanti dell’operazione.
Seppure il territorio sondato da Sonic Acts può apparire
denso di tecnicismi e di saperi specialistici, il fine ultimo di queste
pratiche, per riprendere le parole di Chris Salter, è quello di allargare il campo
dell’esperienza, ricercando stati di eccitazione vitale fuori dal comune. Ne
derivano linguaggi complessi ma di impatto immediato, in cui la potenza
dell’immaginazione accomuna autori e pubblico nella sua forma più primordiale
ed effimera.

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matteo marangoni


decibel – suoni e musica
elettronica
è un
progetto a cura di alessandro massobrio

[exibart]

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