11 maggio 2007

decibel_talenti laterali Intervista a Stephen Vitiello

 
La versione completa dell'intervista apparsa su Exibart.onpaper n.38. Stephen Vitiello, compositore, musicista elettronico e sound artista ci racconta il suo percorso creativo. La sua carriera e la sua idea di suono...

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Che cosa spinge un artista a scegliere il field recording? In che relazione è il puro field recording –ad esempio la fonografia– con la musica?
Non è facile dire perchè c’è un così ampio interesse per il field recording oggi. Seguo diverse liste di discussione sul web, ne parlo con amici, colleghi e studenti. In alcuni casi gli specialisti arrivano da un retroterra scientifico, professionisti, semplici bird watchers o ascoltatori dilettanti della rana. In altri casi c’è chi è interessato a un’estetica della purezza sonora, isolata dalla forza esteriore dell’inquinamento acustico sempre in crescita. Niente di tutto questo è una novità, ma le offerte a basso costo di registratori portatili e microfoni ha sicuramente aiutato le varie community. Sono in contatto con un sacco di persone che hanno smesso di fare i musicisti, gente che ha smesso di suonare nelle band, fino a chi abbandona la chitarra e ricorre a field recordings da aggiungere alla sua tavolozza di materiale sonoro. Campionatori e laptop di certo permettono infinite possibilità di riproduzione, spazializzazione e manipolazione.
Quando mi sono focalizzato di più sulle installazioni e meno sulle performance e sui CD, ho cominciato ad ingranare con gli spazi in cui stavo lavorando e questo mi diede la possibilità sia di registrare il suono di quegli spazi, sia di portare il suono di altri spazi nella galleria. In generale si trattava di un lavoro basato sulla città. Nel 2003 la Fondazione Cartier di Parigi mi invitò a partecipare ad una mostra, Yanomani: Spirit of the Forest. Fino ad allora avevo fatto delle registrazioni con microfoni a contatto e biauricolari (o binaurali), ma niente he fosse ad un livello di qualità tale da non sentrire il bisogno di imparare ancora. Circa un mese più tardi mi chiesero di andare in Amazonia con l’antropologo Bruce Albert. Trascorsi sei giorni con Bruce in un piccolo villaggio presso gli Yanomami registrando nella foresta e la gente. Fu un’esperienza fantastica. Mi sono ritrovato ad ascoltare più attentamente e con maggiore pazienza di quanto facessi prima. Cominciai ad apprezzare di più tutto questo, il valore di starsene immobili ad ascoltare, in attesa di cambiamenti e sorprese. Fui conscio di quanto fossi piccolo in quell’immagine gigantesca. Mi sentii anche fortunato e desideroso di riprovare ancora questa forma di contatto con la natura anche se non c’è nessun posto al mondo così esotico come la foresta fluviale brasiliana.
19-Feb-2007 18:22 972k --S.Vitiello nell
Che cosa cerchi nelle tue riprese audio? Voglio dire, ti focalizzi su una prospettiva storica o sociale piuttosto che estetica o scientifica? O nulla del genere?
Non sono sicuro ci sia una cosa che cerco in particolare. A dire il vero dipende dall’ambiente nel quale sto per addentrarmi e dagli obiettivi del progetto. Forse quello che spero di più di catturare è un senso di presenza. Non è una cosa semplice da spiegare, ma sappiamo che ci sono certi attori che prendono tutta la nostra attenzione una volta sullo schermo. In qualche modo penso di cercare quello stesso tipo di suono. Suoni che sono più grandi della vita anche se sono piccoli. La scorsa estate visitai più volte un Parco in Virginia, vicino a dove abito. Posizionai il mio microfono più o meno nella stessa posizione ogni volta ma ci sono delle registrazioni che mi soddisfano più di altre. Per qualche motivo il suono è più voluminoso e forse solletica il mio orecchio in un modo che trovo appagante e indiscutibile. Sono informato dei diversi modelli storici di composizione con found sounds e field recording, sia del lavoro e degli scritti di John Cage o delle diverse attitudini e filosofie di Pierre Schafer e Pierre Henri. A volte desidero che i suoni si reggano in piedi da soli, con pochissime elaborazioni. Altre volte utilizzo semplicemente quel suono originale come punto di partenza. Ho un nuovo CD su Sub Rosa dal titolo Listening to Judd. È stato registrato a Marfa, in Texas, una città molto calma del deserto. Il mondo placido di quella città è interrotto violentemente un paio di volte al giorno dal passare di un treno che sembra scuotere le travi delle case. Nel CD ho iniziato con quel suono di treno, registrato limpidamente, per poi spostarmi verso l’astrazione per i restanti 50 minuti. Per la maggior parte le informazioni sull’origine di questi suoni è importante nel mio lavoro. So che ci sono svariati argomenti pro e contro una simile opinione.

Quanto conta la sound art nel mondo delle gallerie d’arte?
Non posso dire che conti molto. Ma ci sono certe gallerie che stanno cominciando a riconoscere il suono come una forma d’arte contemporanea. Le gallerie supportano i lavori non commerciali solo fino a un certo punto e il suono non è una cosa facile da vendere. Altrettanto, ci sono gallerie gestite da artisti (Bruce Nauman, Vito Acconci) i cui lavori sonori hanno preteso un mercato molto tempo prima che queste nuove generazioni di artisti cominciassero a lavorare col suono. Non sono così informato come dovrei su come funzionano le cose in Europa. So che ci sono grandi compositori/artisti come Christina Kubisch, Rolf Julius o Terry Fox che sono una vecchia generazione di cui conosco ampiamente le esposizioni. Solo non sono al corrente del grado in cui i collezionisti, le gallerie e i musei supportino il loro lavoro. Direi molto bene! Mi sento abbastanza fortunato di poter lavorare con alcune gallerie commerciali che devono essere state molto solidali oltre che (nel caso della mia galleria di New York, The Project) pazienti ad aspettare che il mercato si interessasse a quello che faccio. Anche Steve Roden ha una galleria a Los Angeles. Michael J. Schumacher ha il suo spazio non commerciale a New York, Diapason, ma sta elaborando un sistema di vendita per le opere sonore, comprese le sue.
19-Feb-2007 18:15 2.3M --foresta di Cypress Bridge in Virginia. credit: Rachel Hilton
In alcune tue installazioni utilizzi il suono come un mezzo, come il tuo attrezzo artistico. In alcune altre il suono sembra essere l’oggetto e lo spazio il mezzo. Che cosa ti interessa di più del suono?
In genere è la fisicità del suono. Come lo senti. È ciò che influenza cosa senti e anche cosa vedi. Passo continuamente da lavori basati principalmente sul suono (6 diffusori in una stanza, una sedia, una luce) a lavori che sembrerebbero più visivi ma in realtà implicano la presenza del suono molto più di quello che appare. Trovo che il sonoro sia molto più aperto alle interpretazioni del visivo. Inoltre penso che sia molto più emozionante. Anche attraverso i pezzi muti spero di rendere la gente consapevole dello spazio sonoro in cui si trovano mentre stanno guardando.

Che rapporto hai con la performance live?
Non suono spesso dal vivo. Mi piace molto ma non mi sento sempre sicuro delle mie qualità di performer. Se lo faccio è in una specie di duetto improvvisato con una persona del gruppo di quelli con cui ho lavorato negli ultimi sette anni: Scanner, Andrew Deutsch, Pauline Oliveros. Pauline mi ha insegnato più di chiunque altro a cogliere il momento, ascoltarsi a vicenda, lo spazio, me stesso. É una maestra dell’ascolto performativo. Non è facile da spiegare ma se ascolti uno dei suoi set solisti (in particolare) lo capisci immediatamente. In genere quando suono da solo allestisco qualche sistema tipo un feedback che posso esplorare e manipolare esclusivamente nello spazio della performance. Non è mai collaudato e allora ci sono momenti buoni e a volte fallimenti (e tutto quello che sta in mezzo).

Come sono cambiati i tuoi lavori dagli anni Novanta ad oggi?
Durante quasi tutti gli anni Novanta mi sono concentrato sulla creazione di colonne sonore per video artisti. In un modo o nell’altro erano basati sulla chitarra e ho sempre cercato di concepire il suono come sistema di supporto per l’immagine. Dal 1999 ho smesso di essere solo un supporter. Cosa è cambiato oggi è che, quando presentai per la prima volta le mie installazioni sette anni fa incorporai elementi cinetici nel pezzo, muovendo gli altoparlanti o il microfono. Avevo amici che potevano aiutarmi nella costruzione di questi aggeggi.
21-Aug-2006 17:58 720k --S.Vitiello durante una performance a Malaga, Spagna. credit: Victoriano Moreno
Dopo questi pezzi che penso furono dei buoni lavori, ma davvero molto laboriosi scelsi di ottimizzare orientandomi su sistemi più semplici. In genere uso il DVD-Audio, un formato che consente una riproduzione non compressa a 24 bit (meglio di un CD) su sei canal senza nessuno dei piccoli disturbi o dei problemi di manutenzione dei circuiti fatti in casa o dei computer. In termini di contenuto c’è stato definitivamente un cambiamento dopo che nel 2004 ho lasciato New York e sono venuto in Virginia. Buona parte del mio condizionamento al rumore e al chaos di New York si è ridotto da quando mi sono spostato in un posto generalmente tranquillo dove la principale ragione per cui non riesco a dormire la notte è che i dodici beagle da caccia nel cortile del mio vicino stanno ululando.

Secondo te, quanto è importante la tecnologia nel campo della sound art?
Mi piace pensare che non sia importante ma di certo è vitale. C’è così tanta pura bellezza in 4’33 di Cage o nei pezzi di Akio Suzuki dove semplicemente viene fatto un segno nella città dove puoi fermarti e ascoltare, ma la realtà è che la tecnologia permette a tutti noi di creare molto di quello che facciamo.

biografia
Stephen Vitiello, sound e media artista New York 1964, vive e lavora a Richmond, in Virginia, e NYC. Compositore di colonne sonore per video artisti tra cui Tony Oursler, Nam June Paik, Jem Cohen ed Eder Santos, emerge verso la fine degli anni novanta sviluppando una propria linea di ricerca orientata all’utilizzo del suono come materia e all’esplorazione delle sue potenzialità nello spazio. Nel 1999 Vitiello vince sei mesi di residenza al 91° piano del WTC dove, nel contesto del progetto World Views, realizza un’installazione basata sull’esplorazione dei suoni emessi dalla struttura dell’edificio. I suoi lavori – sculture, dipinti, ma soprattutto installazioni e proiezioni sonore – sono oggi esposti nelle gallerie di tutto il mondo. Ha pubblicato CD e DVD con Sub Rosa, Room 40, New Albion, JDK Produtions. Collabora con diversi artisti, musicisti, coreografi e film maker tra cui Scanner, Pauline Oliveros, Dara Birnbaum, Yasunao Tone, Julie Mehretu. È assistente universitario al dipartimento di video-animazione-suono dell’Università della Virginia. Lavora con la galleria d’arte Museum 52 a Londra, The Project (di cui è curatore) a New York e Almine Rech a Parigi.

link correlati
sito di Stephen Vitiello
sito di The Project

decibel – Sound art e musica elettronica – è un progetto a cura di alessandro massobrio

[exibart]



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