01 marzo 2005

Ad Harald Szeemann

 
Leggendario, in tutti i sensi. Con una grande, assoluta passione. Quella per il mostrare. Lo scorso 17 febbraio è morto Harald Szeemann. Dalla Kunsthalle di Berna, alla mitica When Attitudes Become Form, dalla Documenta del ’72, alla Biennale Aperto. Forse il primo curatore nel senso più contemporaneo del termine. Se ne va un grandissimo del mondo dell’arte. E con lui se ne vanno una serie di intuizioni profonde e di “intenzioni intensive”...

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L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla Biennale di Venezia e fin da subito avvertita come una perdita gravissima per il mondo dell’arte.
Ed è forse impossibile riassumere in poche righe la vita di un intellettuale che più di molti altri ha saputo far confluire i sui sogni e le sue ossessioni in un progetto culturale costante e mai monotono.
Aveva 71 anni Harald Szeemann, era nato a Berna da una famiglia cattolica e da più di trent’anni viveva nella sua Tegna, in Ticino.
Aveva intrapreso studi di giornalismo, archeologia e arte. Accanto a questi si sviluppò l’amore per la rappresentazione, la poesia e il “mostrare”. Nel 1956 mise in scena e recitò da solo un lavoro teatrale per il quale fece tutto: testi, musiche, scenografie: “Era un modo per rendere pubblica la mia età.” disse “ Mettere tutto assieme. Dopo questoteatro da soloho cercato il suicidio. Credevo che non sarei mai più riuscito ad avere tutto così assieme, che non ero abbastanza in gamba”.
Poi, giovanissimo diventò direttore del Kunsthalle di Berna, carica che abbandonò per dedicarsi alla ideazione di mostre, tra le quali la fondamentale When Attitudes Become Form(1969), quasi un manifesto di una tensione artistica e sociale del tempo.
E’ nel 1972 che arriva la consacrazione, con la nomina di direttore generale della 5a edizione di Documenta. A Kassel Szeemann propose la sua idea, non accettata, di Opera d’Arte Totale:“perché sento dappertutto questo bisogno dell’artista di diventare completo”.
Pensò così al tema delle Mitologie Individuali, tra adesioni e tensioni di chi lo vedeva “troppo autore” della mostra, tra cui l’artista Daniel Buren che si rifiutò di partecipare con un’opera ed inviò un testo molto critico rispetto al progetto curatoriale. Eppure, ad oggi, quella Documenta viene ricordata come una delle più memorabili, con protagonisti di un fremito artistico e sociale che non si registrò più successivamente. Una lunga serie di Performance, happenings, e poi opere simboliche di artisti come Paul Tehk che presentò la sua “piramide”, l’amatissimo Beuys che distribuì i manifesti del suo partito per la “democrazia diretta”, la monumentale macchina volante di Panamarenko, la performance di James Lee Byars il “visitatore ideale” secondo Szeemann. Ed ancora: Acconci, Nauman, Serra, Brakhage, Broodthaers e molti altri artisti che da allora Szeemann seguì sempre con passione.
Attento a tutte le forme di rappresentazione, il progetto di Szeemann comprendeva anche sezioni sul kitsch, sulla fantascienza, il cinema sperimentale, la propaganda politica e l’arte dei malati di mente dove vennero esposti i lavori da Lui molto amati dello svizzero Adolf Wölfli.
Dopo l’impegno di Documenta Szeemann progettò mostre pensate per altri spazi e per l’esigenza di mostrare un’idea dell’arte differente: “ho un’altra maniera di vedere la storia dell’arte. Per me è una storia delle intenzioni intensive. Perché se si prende di nuovo la strada già battuta, che conosciamo tutti, pubblicatissima, non si vede più il dramma sotto l’arte”.harald szeemann
Concepì così Monte Verità(1978) individuando nel genius loci i motivi della mostra: “cercavo un posto già mitologico non più il museo.” spiegò “Poi sono rimasto più a lungo qui, nel Ticino, e ho pensato a questo possibilità di Monte Verità. Questo piccolo villaggio che ha richiamato già dal 1869 gli anticonformisti riformatori rivoluzionari di tutta europa: anarchici, vegetariani, teosofi, psicanalisti, dadaisti, architetti del Bauhaus, danzatrici e baronesse.”
Poi, la storia di Harald Szeemann è conosciuta: curò il primo Aperto alla Biennale di Venezia del 1980 oltre ad un centinaio di mostre tra personali, collettive e biennali: quelle di Venezia del 1999 e 2001, la Biennale di Lione(1997) e la neonata Biennale di Siviglia (2004), pensata da Szeemann con il titolo La alegria de mis suños dichiarando in quella occasione: “credo che dopo l’11 settembre e lo stato attuale delle cose, le tematiche che attraversano l’arte debbano tramutarsi in sogni meravigliosi, critici e poetici. L’arte non deve essere un commento all’attualità ma al contrario ha il compito di offrire una aspettativa pur radicata nell’intensità del presente.”
Era membro di importanti organi culturali quali l’Academy of Arts di Berlino e la European Academy of Sciences and Arts di Salisburgo e recentemente fu premiato al Bard College di New York, uno tra i più prestigiosi luoghi della cultura mondiale.
In questo momento storico in cui sugli altari più celebrati dell’arte campeggiano mostre con temi manichei come il bello e il brutto, odio amore, il buono e il cattivo, inferno e paradiso, a testimonianza di un vuoto spirituale oltre che culturale, i progetti di Szeemann ed il suo sguardo sempre obliquo, se possibile, costituiranno la sua più bella eredità di intellettuale anarchico. Che viaggiava interrottamente per tutto il globo alla ricerca della mostra ideale, geniale.

riccardo conti

[exibart]

3 Commenti

  1. ..per fortuna qualcuno si è degnato di spendere qualche parola e qualche ricordo per il grande Harald, ma dove sono tutti i “vip”del mondo del’arte? perchè così pochi hanno parlato della morte di Szeemann?

    carlo

  2. ..già, era proprio un grandissimo, ed è vero che i titoli e gli spunti di queste mostre recenti fanno proprio pena,

    viva szeemann

  3. Davvero un bel ritratto di Harald Szeemann, non è stato detto che ha fatto anche una bellissima mostra sugli artisti dei balcani a Vienna, (Blood-Honey) e si è occupato degli arstisti della Cina prima che diventasse una moda. Ci mancherà il saggio svizzero,

    Paolo Cogorno

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