03 dicembre 2019

Da che parte del mare sei nato? Pagine di quaderno e totalitarismo

di

Adrian Paci e Cesare Pietroiusti, in quaderni di scuola e lettere a Babbo Natale. Pagine d’infanzia che raccontano la percezione della differenza tra chi è nato su una sponda o l’altra di un mare comune. E di due differenti regimi

Adrian Paci, Cesare Pietroiusti, Tirna, Galleria Nazionale d'arte, Novembre 2019

Visitando le mostre di Adrian Paci (PROVA, Galleria Nazionale d’Arte di Tirana) e di Cesare Pietroiusti (Un certo numero di cose, MAMbo, Bologna) si assiste all’inaspettata coincidenza espositiva di fogli di quaderni scritti/compilati dai due artisti in giovanissima età.

A Bologna, nella sala centrale della mostra di Cesare Pietroiusti (una retrospettiva nella retrospettiva giocata dall’artista con 64 oggetti – anno che ne raccontano la vita secondo un processo narrativo e relazionale aperto) sono immediatamente visibili due sgabelli e una piccola scrivania rossa sulla quale poggiano dei fogli scritti a matita e con particolare cura dal bambino Pietroiusti. Sono le lettere del 1960 a Babbo Natale e alla Befana, la prima delle quali ha questo testo: Caro Babbo Natale io sono stato abbastanza buono perciò portami un trenino tedesco con 4 gallerie e con 4 vagoni e una locomotiva. Un ping-pong, i soldatini di ferro e il libro della bella addormentata nel bosco anche il film, la pista delle macchinette. Ringrazio. Cesare Pietroiusti.

A proposito di questo oggetto – anno 1960, nel ricordarne le aspettative, Pietroiusti introduce nella sua didascalia una critica al sistema occidentale, all’oscuro incrocio del 25 dicembre tra cristianesimo e società dei consumi, scrivendo, tra le altre osservazioni “… Tutti – i genitori ndr- a dicembre si piegano, come nelle manifestazioni di massa del totalitarismo di cui parla Hanna Arendt, a un rito collettivo di accumulazione di oggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, saranno già rotti o noiosi pochi minuti dopo l’apertura dei pacchi”

Nell’ultima sala della sua mostra personale alla Galleria Nazionale d’Arte di Tirana, Adrian Paci espone invece un nuovo lavoro dal titolo Bukurshkrimi: sono le fotografie in scala 1 a 1 di otto pagine dai suoi primi quaderni di scuola (1974) che si contrappongono spazialmente al video A Real Game del 1999 nel quale la figlia dell’artista narra, come in una fiaba, la sua storia di bambina emigrante.

Nelle pagine esposte da Paci la pratica della scrittura e l’apprendimento del linguaggio si rivelano il passaggio obbligato che va dai segni lineari a precisi dettati di propaganda politica: alle piccole linee e stanghette che si mescolano con le macchie di inchiostro, suscitando in noi un sorriso di memoria, seguono infatti pagine dalla scrittura larga e faticosamente curata i cui testi in albanese, tradottami da Adrian, recitano: “Tirana è la nostra capitale. A Tirana lavorano i nostri cari leader. Tirana sta diventando ogni giorno più bella” … seguiti poi dalle ripetizioni di nomi di città e villaggi albanesi come Shkodra, Elbasani o Bushat …

Pagine da cui emerge con chiarezza l’ineludibile compresenza di pratica ortografica e dottrina politica in un Paese sotto regime.

Parole tra desideri e dittattura

Adrian Paci (Scutari, 1969) e Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) sono due artisti distanti per origine, pratica e poetica artistica: amici oltre che colleghi, si distinguono per esiti che si basano su presupposti e quotidianità strutturalmente diversi, forse anche per questo le pagine comuni “di scrittura elementare” possono diventare un’opportunità di lettura e confronto. La data di nascita degli artisti giustifica per entrambi una pratica che, rivolgendosi al futuro, è capace di collegarsi al passato con una ricerca spontanea sul concetto di identità e di storia personale. A ciò può sommarsi la circostanza che specifiche opportunità di lavoro, come quelle di mostre di particolare rilievo, spinge gli artisti verso dinamiche che, con strategie ed esiti diversi, raccolgono e mescolano opere e stralci di vita. Ma se nella lettera di Cesare Pietroiusti a Babbo Natale l’attenzione è puntata sul concetto di dono e sull’evidenza della sua strumentalizzazione nella società dei consumi occidentali, nelle pagine di Adrian Paci l’accento si muove verso una dichiarazione di origine in stretta relazione con la specifica condizione storica e sociale dell’Albania, una dichiarazione che trasforma le stesse in testimonianze silenti.

Differenze significative che possono essere interpretate anche dai distinti set di presentazione: la letterina a Babbo Natale di Pietroiusti è appoggiata su mobili a misura d’infanzia appositamente cercati e allestiti in mostra, le pagine di quaderno di Paci sono fotografate, incorniciate e disposte a parete come disegni.

Entrambi gli artisti – per via indiretta il primo, per via diretta il secondo – fanno riferimento a forme di totalitarismo, ai loro riti e pratiche di diffusione, alle loro dottrine e pratiche di propaganda, inserendosi a pieno titolo nell’eredità storica e politica del XX secolo. Ma la distanza reale, oggi di attualità globale, che viene restituita dalla semplice e inaspettata compresenza di queste pagine d’infanzia, è la netta e inalienabile percezione della differenza tra chi è nato su una sponda o sull’altra di un mare comune.

 

pietroiusti paci
Adrian Paci, Bukurshkrimi, 2019 Courtesy the artist, Peter Kilchmann Gallery, Zurich, Kaufmann Repetto, Milan, New York
pietroiusti paci
Adrian Paci, Bukurshkrimi, 2019 Courtesy the artist, Peter Kilchmann Gallery, Zurich, Kaufmann Repetto, Milan, New York
pietroiusti paci
Lettera di Cesare Pietroiusti a Babbo Natale. Inverno 1960. Matita su carta, un foglio, cm 31 x 21

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui