29 aprile 2004

Siamo tutti voyeur?

 
Una conversazione con Francesco Vezzoli, dopo la sua personale alla Fondazione Prada. Un progetto dal taglio fortemente sociale indaga il fenomeno del voyeurismo mediatico. Ela Weber conduce la sguaiata carovana ideata dall’artista. Per raccontare un pezzo di mediocre quotidianità televisiva. E a fianco, un austero memento mori...

di

La sensazione più forte, trovandosi dentro a questo tuo lavoro, è quella di sentirsi sdoppiati. Mentre si sta da una parte, a guardare il reality show, si può sentire il proprio doppio immateriale dell’altro lato, così lugubre e silenzioso. La chiave è in quella sedia, su cui prende posto il voyeur contemporaneo…
Si, è come un circo accanto a un obitorio. Esistono due teoremi sul voyeurismo. Nei miei primi video mi rifacevo spesso a una teoria del voyeurismo “invertito”. Quando chiedevo a Lina Wertmüller, a John Maybury, a Carlo Di Palma di filmarmi, o a Scavullo di fotografarmi, davo voce al mio desiderio di essere spiato. Viceversa, questo progetto è una specie di teorizzazione del guardare l’altro.
Era per me fondamentale dare al ricamo una tridimensionalità. E la prima idea che mi è venuta è stata quella di riportare questa pratica alla sua origine, la copertura per sedute. Combinando le due intuizioni, era necessario individuare la sedia assoluta del voyeurismo, della storia del cinema e del mondo. Un trono. Pensando così a Salò di Pasolini, che era già il territorio di questa ricerca, ho capito che la sedia di Mackintosh, da cui i torturatori guardavano le sevizie più crudeli, poteva essere considerata il trono per eccellenza del voyeurismo.

Il trono del voyeur sadico, pasoliniano, che ricondotto ai nostri giorni…
…diventa il divano di casa da cui guardiamo una trasmissione reality. L’idea così centrale di questo trono del voyeur doveva essere rafforzata, reiterata, per renderla comprensibile. Da qui la scelta concettuale e fisica di utilizzare 120 sedie, facendo in modo che questa presenza diventasse ossessiva, greve, mortuaria…Francesco Vezzoli Comizi di non amore 3

La sensazione di morte che si respira in questo lavoro è preponderante.
Tutto il mio progetto potrebbe essere considerato un memento mori. L’idea che la morte esiste. La morte vera, un qualcosa di assoluto. Nella società mediatica la morte viene vissuta come un fatto apparente, mai reale. La morte viene accantonata. Io, in entrambi i cinema, ho desiderato fortemente di ricreare un’atmosfera grave, oscura, e di trasformare la malinconia dei lavori precedenti in cupezza. Anche nel contesto di uno show televisivo, in cui esiste una dimensione tragica: la morte viene schivata, eppure in qualche modo è presente.

Nella reality TV il ruolo del pubblico è strategicamente cambiato: diventa sempre più uno spettatore-protagonista. E così è il pubblico dei tuoi Comizi. Ma la gente era preparata? Seguiva un canovaccio? E il tuo ruolo, tra il pubblico? Hai detto di esserti emozionato parlando in studio…
Il pubblico in questo progetto riprende il ruolo che aveva nella tragedia greca, è un coro. Ma non sapeva nulla, era tutto naturale. Se mi dici che sembrava il contrario mi fai un grande complimento. Ricordo l’esatto momento in cui, dopo avere pensato lungamente al modo in cui essere presente nel video, ho deciso che sarei stato tra il pubblico, un testimone tra gli altri. Appena sono salito su quel palcoscenico televisivo ho sentito il cuore che batteva fortissimo. In una situazione in cui ero l’unico a fingere, mi sono emozionato. Questa assenza di autenticità, la necessità di interpretare un ruolo, mi mandavano in crisi. Invece per gli altri no, erano autentici, erano se stessi, semplicemente…
Frencesco Vezzoli Comizi di non amore 3
Come se quasi, paradossalmente, l’emozione autentica diventasse quella esibita davanti alle telecamere…
L’idea alla base del progetto era proprio questa: creare un territorio psicologico in cui le persone potessero sentirsi come si sentivano gli intervistati nei Comizi d’amore originari. Pronti a svelarsi. Il problema è che il mondo è completamente cambiato. Se giri per le strade con una telecamera e un microfono la gente non si sente più in uno scacco emozionale, non si sente portata a rivelare qualcosa di sé. E’ solo all’interno di un’arena televisiva, con tutte queste telecamere, e con un repertorio umano di storie e di eventi da commentare, platealmente, è qui che le persone si espongono, si mettono a nudo. Questa credo sia una struttura psicologica che sta per diventare assoluta nel nostro sentire, senza che ne accorgiamo.

Un altro degli strumenti tipici del reality è la rottura del tabù.
La televisione sta rompendo questi tabù collettivi, certo. I reality show si stanno lentamente sostituendo alle parrocchie, agli oratori, alle sedi di partito. Sono i luoghi in cui le persone comuni e meno comuni portano in scena le discussioni sulla vita e sui sentimenti. Zone franche, in cui questo diventa possibile. Francesco Vezzoli Comizi di non amore

Tu non hai esagerato nulla nel tuo show. Nessuna parodia o estremizzazione. Pare più un’operazione di registrazione.
Ti sono estremamente grato per questa osservazione. Io non volevo assolutamente giocare con la parodia, la parodia esiste già. E questa vorrei mi venisse riconosciuta come precisa scelta stilistica. Io ho guardato proprio al Verismo… Ela Weber parla per proverbi come ‘Ntoni dei Malvoglia… è esattamente Verga, Visconti, La Terra Trema… E’ un’operazione di linguaggio. Ho voluto registrare il modo in cui le persone parlano questo nuovo lessico, la lingua delle emozioni televisive.. Ho cercato di dar vita a un progetto mimetico, che potesse essere proposto come puntata pilota a una televisione generalista. La televisione si fa già la parodia da sola!

Anche le icone del mondo dello spettacolo sono cambiate. L’istigazione al cinismo gioca ad umiliare i vip, per umanizzarli, e intanto dare sfogo al sentimento di invidia delle masse…
Francesco Vezzoli Le 120 Sedute di Sodoma dettaglioE’ come un contrappasso dantesco. Il paradosso è proprio questo: il pubblico ha reagito favorevolmente a Terry Schiavo, mentre la diva che ha preso meno applausi è stata Catherine Deneuve. La televisione sta progressivamente cancellando la Nouvelle Vague, che è anche Buñuel, la De Neuve, la Moreau… Io ero come un virus, mimetizzato fra la gente, e sentivo che all’arrivo della Schiavo le persone gradivano parecchio. Come all’arrivo del travestito, che veniva dalla trasmissione di Alda D’Eusanio: io volevo un travestito da reality show. Evidentemente questi personaggi toccano delle corde, e il loro linguaggio ha modificato i parametri della celebrità. La Deneuve è oggi un’icona lontanissima, troppo algida. Mentre per me è la donna più simbolica della storia del mondo. Questo è un progetto un po’ proustiano, c’è davvero un po’ di recherche. E’ come catapultare delle pepite d’oro dentro un minestrone…

Molti si saranno sentiti irritati da questo tuo lavoro. Essere sottoposti a un’ora di spettacolo alla Maria De Filippi…
Era quello che volevo… Qualcosa di irritante, esattamente quanto irrita la realtà. Poi è da qui che si parte per ogni analisi sociologica, antropologica, linguistica. I ragazzi del mio reality sono i nuovi ragazzi d vita: sono persone del ceto medio-basso che lottano per emergere. E la lotta per emergere oggi passa attraverso l’accesso alla televisione e al mondo dello spettacolo, è un dato di fatto.

Nel tempo cambiano le forme del potere. La nostra è una violenza effimera, occulta, quella sadica dell’informazione manipolata…
Non voglio che risulti un discorso banalmente antiberlusconiano. Ma che sembri una operazione di studio, come analizzare al microscopico i linguaggi della persuasione televisiva. A questo punto, se stiamo provando a combattere il nemico, cerchiamo allora di vivisezionarlo, di capire. In America è stato eletto Schwarzenegger, vuole provarci pure George Clooney… E ora i democratici vogliono candidare Jerry Springer, il re del reality show. Più parodia di così…

helga marsala


FRANCESCO VEZZOLI
Fondazione Prada – Via Fogazzaro 36, Milano
da mart a dom, ore 10- 20; chiuso lun
www.fondazioneprada.org
0254670515


[exibart]

2 Commenti

  1. Il bello dell’arte è che si gioca sempre in una zona dove la valenza energetica è molto alta.
    Questa zona è però pericolosamente vicina ad un limite, valicato il quale tutto questo dispendio di energie assume la forma di una grande stronzata di cui si è perso completamente il controllo.

    Non conosco Vezzoli, ma guardando i lavori mi sono fatto l’idea che nel suo caso la situazione sia ancora più triste.
    Niente energia, niente limite da non valicare, lui semplicemente finge e costruisce merda di plastica che non puzza neanche.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui