22 aprile 2020

Una vita onirica, un’arte indomita: in ricordo di Janet Mullarney

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Janet Mullarney si è spenta nella sua casa nel Valdarno, dopo una lunga malattia che non è riuscita a fiaccare la sua arte: il ricordo di due amici

Janet Mullarney era un’artista fuori dell’ordinario e una donna di estrema forza, allegria e coraggio. Una grande amica, per noi e per le molte persone che l’hanno conosciuta, con ognuna delle quali aveva stabilito legami profondi. È morta lo scorso 4 aprile, nella sua casa nel Valdarno.

Forse anche per la sua costitutiva insofferenza a ogni conformismo, e per la noncuranza verso le regole del sistema dell’arte, Janet non ha ricevuto in Italia il riconoscimento che avrebbe meritato. Poco meno di un anno fa, l’IMMA – Irish Museum of Modern Art di Dublino, la sua città natale, le ha dedicato l’ultima grande e sorprendente retrospettiva, “Then And Now”. In quell’occasione, è stato pubblicato un ampio catalogo, con la partecipazione di molti studiosi, critici, amici.

Per ricordarla, riproduciamo qui di seguito un estratto del testo che le avevamo dedicato.

Un'opera di Janet Mullarney

«Il linguaggio verbale è particolarmente inadeguato ad afferrare il mondo di Janet Mullarney: donna e artista matura, Janet ha infatti il dono di saper attingere all’“immaturità”, di compiere una catabasi nelle regioni del gioco, dei sogni e degli incubi infantili, di restituire figure catturate in quelle regioni incoerenti e beffarde, dove una cosa è anche il suo contrario, l’interno è l’esterno, la mano che protegge è anche quella che colpisce.

Ogni sua figura, infatti, ha un segreto, e bisbiglia le sue consolazioni e le sue minacce, indossa una maschera o getta un’ombra. Il linguaggio viene dopo, a sistemare le cose nel tessuto di forme e ragioni che ciascuno di noi edifica intorno a se stesso.

Sogni, fiabe, miti possono essere incantevoli e maligni: ma i miti elettivi di Janet non sono quelli elaborati dalla tradizione della Grecia classica. La mitologia celtica e il lussureggiante politeismo indiano – i suoi colori, i suoi animali, le sue continue trasformazioni – le sono molto più congeniali.

Janet Mullarney, come una novella Billy Pilgrim, viaggia avanti e indietro nello spazio e nel tempo. Non solo riesce a vivere simultaneamente in due paesi diversi (l’Italia e l’Irlanda) e ad accogliere influenze e suggestioni di luoghi lontani – dove, per lungo o breve tempo, si è sentita a casa (l’India, l’Egitto, il Messico…) -, ma si nutre di passioni molteplici, dall’arte antica a quella vernacolare, dal cinema al teatro…

Animata da un’energia indomabile, da un’attrazione imprescindibile per le qualità intrinseche della materia e per la specificità del contesto in cui opera, si muove sempre in uno spazio libero e insieme circoscritto: sa fare proprio, liberamente, lo spazio trovato, il luogo peculiare di volta in volta assegnato; trasforma inconfondibilmente mondi eterogenei riuscendo a rivelarne la peculiarità.

Janet attinge spesso alla dimensione del gioco e alle sue molteplici valenze. Il luogo del gioco non è né interno né esterno, e il suo tempo è quello in cui l’interno e l’esterno diventano indistinguibili: “per controllare ciò che è al di fuori uno deve fare le cose, non semplicemente pensare o desiderare di fare”.

È forse questo il suo rapporto con il mondo, la chiave per capire la sua capacità di muoversi fra tempi e spazi diversi, cercando se stessa in ciò che è estraneo e lontano, riconoscendo l’estraneo come il compagno di sempre, come parte di sé».

Un'opera di Janet Mullarney

 

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