12 novembre 2002

opinioni Anni Ottanta e dintorni

 
Il ritorno dei transavanguardisti con la mostra di Rivoli ha reso scottante l’argomento. Ma Milano era davvero la regina di quegli anni ? E la Transavanguardia era l’unica corrente artistica? Non è di questo parere il critico Marcello Carriero che qui risponde in una lettera aperta a Luca Beatrice che a riguardo ha scritto sul corrente numero di FlashArt…

di

A Luca Beatrice,

Non mi permetterei mai di contraddirla, tanto meno desidero minare la sua consolidatissima fama di critico, vorrei solamente farle notare delle piccole omissioni, sicuramente volontarie, che affiggono il resoconto della cultura e del costume degli anni Ottanta apparso, sotto il titolo Formidabili quegli anni, un decennio postmoderno, nel numero d’ottobre – dicembre della rivista milanese Flash Art (A. XXV, n. 236.).
La mia attenzione è stata carpita dall’inaspettata celebrazione della città simbolo di quel duplice lustro, Milano, quasi fosse la matrice e la motrice di un fenomeno socio – culturale in verità più diffuso. In altre parole che fine hanno fatto le situazioni romane, bolognesi, Amaro Ramazzottitoscane? Sono d’accordo con lei quando decide di dare alla città della Madonnina il ruolo di perno centrale intorno al quale ruotava e, debbo dire, continua a rotare, il cosiddetto “sistema dell’arte” ma, secondo me, la città lombarda non ebbe eguale importanza per la creatività. Il boom del modello italiano vacillava su un’ipocrisia di fondo: faceva passare per post modernità un’accelerazione eccessiva dei consumi in favore di un illusorio innalzamento dello standard di vita che prescindeva da una profonda maturazione dell’individuo nella condizione moderna. In altre parole: in quegli anni s’è passati da una pseudo – modernità ad un a post – modernità, saltando a piè pari, una serie di tappe, che vanno dall’uso diffuso della tecnologia alla comunicazione tra nord e sud del paese, e del paese col resto del mondo. Tutte deficienze che, con un rigurgito, sono riapparse dopo Tangentopoli.
Per quanto riguarda il “campo” dell’arte debbo convenire con lei che la Transavanguardia è stato il fenomeno più evidente, anche se, ma non l’unico. Certamente è stato ed è il movimento più noto, dal momento che è costantemente corroborato dalla somministrazione di ricostituenti “editoriali”, ma non dobbiamo valutarlo di là dalla sua connessione con un’idea relativamente “passiva” di progetto moderno, in altre parole dobbiamo considerarlo sia quale fase anaforica dell’arte, sia come un palese disimpegno dalle pratiche comportamentali e dalle analisi post – concettuali. In definitiva, in Italia l’arte a quei tempi, al pari della società in genere, anelava ad un rifugio edonistico pronto ad esorcizzare un passato prossimo di terrorismo e di “anni di piombo”. Se mi consente, vorrei ricordare, la mostra Anniottanta, tenutasi nel 1985 a Bologna – Imola – Ravenna e Rimini, che fu un tentativo di avviare ad una mappatura dell’arte di quel periodo, dal quale s’evinsero tratti distintivi quali il “citazionismo” ed il “decorativismo”, ma anche singole volontà di dare all’arte una funzione Tirelli, Senza titolo, 2002d’indicatore di una progettualità che abbandonava l’idea di una realizzazione collettiva e neo razionalista ed approdava ad un disegno sentimentale per cui il singolo ammetteva sia all’aspetto magico – occulto, sia un lato fenomenologico della realtà. I Nuovi Nuovi, con Salvo e Ontani che precedettero Barbera, Benuzzi, Jori, Salvatori, Levini, furono un movimento presente e rilevante, anzi, nel caso di Luigi Ontani, non sono certo io a dirlo, non possiamo non ammetterne l’importanza per l’arte dei nostri giorni. Gli Anacronisti di Maurizio Calvesi, furono un altro drappello di “citazionisti”, questa volta più colti e raffinati, pronti a riscoprire nella stratificazione storica della pittura, una tradizione ormai errante, frammentata sul tavolo autoptico delle analisi linguistiche. Quasi a contraddire questa tendenza, in una dimensione evidentemente diversa ci furono gli artisti del magico – primario di Flavio Caroli, basta citare Gianfranco Notargiacomo, che all’epoca risistemava il dato emotivo ed immediato sulla tela accendendo un faro agli esuli della figurazione. La situazione “romana” è caratterizzata da fenomeni eterogenei, in alcuni casi, di palese rivalsa, nel tentativo di ricollocarsi al centro della scena nazionale ed internazionale. Uno di questi fenomeni è quello del “Pastificio Cerere” in cui operavano: Nunzio, Pizzi Cannella, Ceccobelli, Dessì, Gallo, Tirelli concentrati su una forma in disfacimento materico, in cui precarietà e deriva del portato simbolico veniva a coincidere con una ri – definizione del quadro o della scultura.
Un portato più radicale e problematico, lontano da ogni ritorno, fu, in quegli anni, l’astrazione povera di Filiberto Menna ed indicò una strada alternativa, deviante dai percorsi più comuni. Menna impostò un riduzionismo cromatico che faceva leva sul limite estremo tra pittura e non pittura, una condizione di confine tra inerzia e azione che portò la pittura nel campo del’auto – definizione, in mancanza di referenti. Le “figure astratte” di pittori come Gianni Asdrubali, tensionarono lo spazio tela in maniera basica e sostanzialmente ostile ai compiacimenti delle tendenze coeve, ripudiando la narrazione, la citazione. Nello stesso periodo, sul lato della scultura “oggettiva” si stava preparando il campo al neo – pop degli anni Novanta con le opre d’artisti indipendenti, a metà tra Oldenburg e Depero, operavano per esempio: Abate, Echaurren, Innocente, Palmieri e Plumcake. Quest’idea dell’arte italiana Transavanguardistica è vera dal momento che si vuole approssimare per difetto, ma sarebbe più lecito, e secondo me più onesto, analizzare più profondamente l’Italia di vent’anni fa dal momento che, oltretutto, ciò che lei ha ricordato, mi sembra, avviene nello stesso periodo in cui si cominciò a diffondere la psicosi (e la malattia) dell’AIDS, si cominciò a parlare di centrali Nucleari, nacquero i partiti “verdi” e ci furono, proprio nei primi anni Enzo Cucchi ItalianaOttanta due stragi ancora oscure e, solamente per dirne una, le televisioni commerciali divennero il polo d’opinione alternativo alla Rai e la piattaforma formativa di una cultura oggi dominante. A metà degli Ottanta morirono due figure simbolo de due altrettante tendenze dell’arte, ciò sono Joseph Beyus e Andy Warhol, quest’ultimo rappresentante di una visione tipicamente americana e l’altro europeo, continentale. Con loro sono sparite due visioni dell’arte: una pragmatica, l’altra idealista.
La rinnovata attenzione per quel periodo (gli anni Ottanta), di cui lei ha dimostrato di avere una giusta conoscenza, ha dei significati che vanno al di là della riflessione contestuale che questo numero di Flash Art ha voluto fare sulla Transavanguardia, esiste una tendenza ormai avviata da anni a ripensare agli anni Ottanta come un periodo storico più da affrontare come un intimo ricordo emotivamente annebbiato. L’inizio di un’analisi storica, in alcuni casi, persino documentaria, ha rinvenuto, in quel momento, le cause di una differenziazione tra due tipologie di esistenza: un’appartenente ad un “tempo storico” e l’altra facente capo ad un “tempo relativo” di un eterno presente. Negli anni Ottanta abbiamo assistito all’uso incondizionato dell’altrui lavoro, del ragionamento e delle forme di pensiero, uso che ha fatto sì che si diffondesse la prassi del Taglia – Incolla, così come quella della babelica germinazione di rimadi.

Cordiali Saluti

marcello carriero

[exibart]

7 Commenti

  1. Condivido pienamente quanto asserito da Marcello Carriero.La storia dell’arte (o presunta tale) procede per semplificazioni e la stella del mercato è sempre l’unico riferimento.
    gianfranco

  2. Sono daccordo con Gianfranco di Milano quando dice che la stella del mercato è l’unico riferimento, come penso che strategie di mercato siano alla base della nascita della transavanguardia.
    La bella mostra di Paladino a Prato, ci regala un percorso artistico semplice e lineare, che ci riconcilia con l’arte contemporanea, superando d’un balzo il magma delle problematiche della critica.

  3. caro massimiliano,
    ho letto la bella lettera aperta di carriero a cui mi permetto di inviare
    alcune brevi precisazioni.
    cordiali saluti
    luca beatrice

    caro carriero,
    intanto vorrei ringraziarla della sua lunga lettera perché ritengo
    essenziale e vitale per la cultura tentare di offrire occasioni di
    dibattito. Con il senno di poi forse è stata fuorviante la citazione da Pier
    Vittorio Tondelli in apertura del mio articolo che ha eccessivamente
    spostato il baricentro creativo di quegli anni su Milano. In verità io
    allora vivevo a Torino, piccola metropoli o grande provincia ancora non mi è
    chiaro, dove ai margini dell’arte povera, della fiat, del terrorismo, si
    andava sviluppando una cultura sotterranea e marginale (dalla musica al
    festival cinema giovani, dalle fanzine a teatro d’avanguardia) che nutrì
    profondamente la mia generazione. Quel che ho tentato di rivendicare al
    quarantenne di oggi (al ventenne di allora) è l’importanza dell’altro
    rispetto al fenomeno italiano di cui tanto si parlava all’epoca e di cui la
    Transavanguardia rappresenta in arte la punta di diamante. L’altro giorno
    sono stato a Rivoli alla grande celebrazione de Fab. Five e di ABO e ho
    provato un sentimento contrastante: da una parte mi ha molto rassicurato il
    fatto di constatare la buona salute e l’ottima tenuta di quelle opere,
    dall’altra parte mi sono sentito un po’ più vecchio, perché per la prima
    volta ho visto una retrospettiva di una cosa che ho vissuto in prima
    persona. Comunque rimane l’impressione dei tempi che furono: grande arte da
    museo, un po’ reazionaria, lontanissima dagli stimoli dei miei vent’anni,
    diversamente dal Graffitismo, dalle proposte critiche di Levi e Alinoivi,
    dai primi topolini piegati di Arienti (1986), dalla no wave italica e
    internazionale, dai gruppi di teatro di ricerca, dai giovani scrittori, da
    tante altre cose che si facevano a Milano come a Roma, a Torino, a Napoli, a
    Bologna. Rispetto ai fenomeni artistici che lei cita con precisione, da San
    Lorenzo ai Citazionisti, dai Nuovi Nuovi ai Neo Ludici ecc…, non riesco a
    non vederli come consequenziali del fenomeno Transavanguardia, senza per
    questo attribuire un difetto di qualità, ma indubbiamente di originalità e
    di tenuta questo sì. Infine, mi permetta di dissentire sull’iscrizione di
    Salvo e Ontani agli anni ’80, in quanto loro sì artisti germinali che già
    riassumonoe includono le contraddizioni anche drammatiche del decennio
    precedente.
    In ogni caso mi ha fatto molto piacere leggere la sua e le propongo di
    incontrarci, o quanto meno di risentirci, per discuterne ancora
    cari saluti
    luca beatrice
    —– Original Message —–
    From:
    To:
    Sent: Tuesday, January 13, 2004 12:00 AM
    Subject: http://www.exibart.com – notizie del 12/11/2002

  4. caro luca,
    grazie per la tua risposta che ho letto con attenzione. e grazie per aver partecipato al dibattito. un saluto.

  5. Caro Massimiliano Tonelli, anche se con ritardo(un anno dopo),invio un mio pensiero. Sa sono in vacanza “forzosa”,ed ho tempo di consultare le rubriche di Exibart.

    Questo..quello che capitava nel sistema dell’arte,che faceva capo ai vari teorici e critici “militanti”.Ha fatto bene Carriero a ricordarglielo… a Luca Beatrice…il quale non può dire che all’epoca era un ragazzino. Se fa ,e vuol fare il critico d’arte,penso che come minimo si debba informare, verso chi ha vissuto quei momenti(certo qualcuno è morto,ma c’è una infinità di gente che è ancora viva,per fortuna) altrimenti,pare che si dia adito ad omissioni culturali,quando ci si avventura in certi testi e su fatti di non conoscenza personale.E questo,proprio non sarebbe un’azione felice,sia per quanto riguarda un’etica professionale, e sia per quanto riguarda una verità.
    Per continuare:da un lato abbiamo visto Achille Bonito Oliva,con la “sua” Transavanguardia (che ha predominato per oltre un decennio),Maurizio Calvesi con l'”Anacronismo”,Barilli con i “Nuovi Nuovi” (a proposito Marcello Carriero ha dimenticato l’artista tarantino,Antonio Faggiano,che secondo me è stato tra i più validi e convincenti dei nuovi nuovi), Flavio Caroli con “Magico Primario”e dall’altro lato Filiberto Menna,con la sua “Astrazione minimale”…”Per una linea analitica dell’arte moderna”…il resto, pare, che sia “acqua” e cronaca passata…tutto quell’esercito di gregari che aderì a queste,definiamole “istanze progettuali di quel momento” (anche se con motivazioni valide,alcune…e”nostalgiche” altre).
    Ma nessuno,dico,nessuno,dei cosiddetti critici(anche per dignità)…che si sia presa la briga di guardare un pò al di fuori del “ghetto” del sistema dell’arte…di spaziare,affacciandosi appena un pò,all’esterno della “propria finestra”(per pigrizia?),per sentire gli umori e gli odori di certe situazioni e di certi artisti(“cestinati” dai vari “progetti dominanti”) e vedere che cosa capitava…in una certa area geografica “periferica”…la stessa (kilometro più,kilometro meno..che sta emergendo dopo venti anni, Napoli…Salerno), e in un certo momento, e in un certo posto ai margini, in un luogo “inventato” dell’arte contemporanea…nel momento in cui a Milano si occupava l’ex fabbrica della Brown Boveri,in Via De Castillia (di fronte allo studio, in quegli anni, di Pier Paolo Calzolari).”Grande Gesto Simbolico” per fare “sperimentazione”…Solo che Milano era “Milano”…e la provincia di Salerno era “Tunisi”…con l’Happening degli Happenings, del Fiume deviato lungo le strade di un centro storico…dove artisti,italiani e stranieri(“Trasversali”) si sono misurati con le acque di un fiume,e con il luogo storico, e in alcune insule sconvolte dal sisma, con le loro azioni,performances, interventi vari, interdisciplinari,laboratori,ambientazioni sonore e scenografiche, installazioni scultoree e multimediali…coinvolgendo un pubblico eterogeneo (un problema che si sente oggi,per una certa “avanguardia”…ma il problema era a monte,già in quegli anni…sentito da quegli artisti!). Ne parlarono tutti i giornali…Fra i quotidiani di allòra,”Reporter” dedicò la prima pagina…La notizia di tale evento artistico,finì,finanche su “Cronaca Vera”. Risultato? La Brown Boveri al quartiere Isola di Milano è stata abbattuta…cancellata (e mi dspiace…adesso abbatteranno anche la Stecca Artigiani…sempre in quella strada…e sarebbe un “disastro”,perché,anche se per pochi giorni,abito proprio lì di fronte). Di questa storia ne parlarono tutte,dico,tutte le riviste specializzate,da “Flash Art” a “Segno”, come è avvenuto oggi,con la Stecca “Isola dell’Arte”, e come avveniva all’epoca,con la Transavanguardia e gli altri “movimenti”.
    L’evento etnico-ecologico del fiume in piena, chiamato”Chiena”, che si devia per un centro storico,di una certa città “invisibile”, che si chiama Campagna,in provincia di Salerno, è stato salvato dal terribile terremoto del 1980 e dalla ruspa selvaggia…con un progetto di farlo rinascere altro,con la sperimetazione artistica del contemporaneo.L’Arte come Sperimentazione…l’Arte come Spettacolo. La Vita.Una Festa…con poco (quello che abbiamo visto 16 anni dopo alla Biennale di Venezia del 2001…con tanti miliardi e con tanto lusso).Lontani dalla noia delle istituzioni pubbliche e private,dove si assisteva solo a “mostrismi” di pittura tout court, e nient’altro…solo VUOTO,voluto dal mercato (senza per questo togliere dei meriti ad artisti come Paladino e gli altri, come Faggiano, che stimo e rispetto (era un mio amico, e di Mimmo,feci una conoscenza molto simpatica e comunicativa,nel 1978,nello spaz

  6. N.B. -Frasi monche (per distrazione?) o mancanti:(…Mimmo conosciuto nello spazio di Luciano Inga-Pin di Via Pontaccio a Milano,con il quale,chiacchierando, scoprimmo di avere conoscenze in comune a Salerno).

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