24 maggio 2014

Disegno mon amour

 
Ci mancava la Biennale del Disegno? Si, ci mancava. Così Rimini non ha perso l’occasione di mettere in scena una novità che traccia la sua linea di ricerca tra le carte (e non solo) di ieri e di oggi. Guardando al presente e alla sua complessità, dove il disegno trova nuovo spazio, dopo anni di sordina pensato come mero esercizio per arrivare al “capolavoro”. Ecco i motivi, poetici e politici, di questa rassegna

di

Hugo Pratt

Era necessaria, in qualche modo. Finora tra le dozzine di Biennali che si contano nel mondo, una del disegno non s’era ancora vista. Forse perché il rischio corrente sarebbe stato quello di includere troppo materiale in un ipotetico percorso troppo materiale o, al contrario, di operare una selezione a maglie troppo rigide in quello che è, fondamentalmente, il primo mezzo dell’arte. Il disegno, appunto, che ci riporta non solo ai graffiti delle valli alpine, ma anche al mito della pittura, raccontato anche da Victor Stoichita in un saggio di qualche anno fa, Breve storia dell’ombra, dove si ricorda la teoria di Plinio il Vecchio, secondo il quale la pittura ebbe origine quando una donna tracciò il profilo dell’amato attorno all’ombra proiettata dal suo viso. 
Kiki Smith e Stefano Arienti (a terra)

Atavica forma di conoscenza il di-segnare, modalità per mettere nero su bianco la realtà o l’imago. E termometro che ha segnato il processo evolutivo dell’uomo. Oggi a Rimini, città un po’ addormentata per quanto riguarda l’arte visiva contemporanea, piuttosto meta di ispirazione per fotografi, registi e cantanti dell’ultimo mezzo secolo, il disegno trova invece qualcosa come decine di spazi disposti ad accoglierlo nell’edizione zero di quella che è, appunto, la sua prima Biennale. 
A cura dello storico dell’arte, nonché Assessore alla Cultura della capitale della Romagna, Massimo Pulini con Alessandra Bigi Iotti, Marinella Paderni e Giulio Zavatta, la kermesse – il cui titolo è, nello specifico, “Krobylos. Un groviglio di segni, da Parmigianino a Kentridge” – è nata «come un sottile ma deciso segno nella pagina bianca. Come un’idea che poteva trovare forma solo se avesse superato il limite del clima di ipocondria che domina la politica culturale di questo periodo. Il foglio bianco è come un cane sconosciuto, se non ti avvicini con determinazione e sentimento rischi di farti mordere, e così è anche questo ruolo amministrativo. La fermezza che abbiamo messo nel far nascere questa rassegna ha poi incontrato una docilità inaspettata e possibile», ci spiega Pulini.
Hermann Nitsch

Un groviglio “dolce” che attraversa i secoli, con alcuni grandi prestiti anche dagli Uffizi, e che mette insieme gli Old Masters del Rinascimento e del Barocco, da Guercino a Tintoretto, passando per artisti del Novecento, da Depero a Vedova, arrivando a Sol LeWitt, Hermann Nitsch, Claudio Parmiggiani, Kiki Smith, nonché una serie di giovani italiani che comprendono i nomi di Emanuele Becheri, Luca Bertolo, Chiara Camoni, Francesco Carone, Giovanni De Lazzari, Dacia Manto, Luca Trevisani, sparpagliati tra il Museo della Città e il FAR -Fabbrica Arte Rimini-
«Il ritorno al disegno da parte degli artisti si può individuare in due aspetti, uno più fenomenologico e collegato all’impatto delle nuove tecnologie sulla creatività, l’altro più concettuale e che mostra come il disegno si presti meglio di altri linguaggi artistici più complessi ad esprimere velocemente e senza mediazioni la potenza primigenia dell’idea, l’insorgenza del pensiero che torna a guardare alla gestualità del segno, alla sua componente corporea, fisica, meno smaterializzata», ci racconta Marinella Paderni, curatrice della sezione “Krobylos”.
Paolo Icaro

Disegno, dunque, come bisogno di affermare una “presenza” (materica, addirittura) rispetto alla società e all’arte “liquide” di oggi? «In qualche modo sì. Rispetto alla realtà digitale dei nuovi media, dove l’esperienza non è mai diretta ma vissuta virtualmente, e il rapporto con le cose o con le persone è interposto dalle immagini, il disegno torna ad essere (soprattutto per le nuove generazioni) un territorio di frontiera dove riappropriarsi della manualità, del “fare le cose” con elementi e materiali atavici, che non perdono di consistenza e che si possono toccare. Questo vale anche per oggetti artistici come il libro d’artista, a cui la Biennale del Disegno dedica molta attenzione», aggiunge Marinella Paderni.
Ma c’è dell’altro, perché essendo il disegno la forma “antidiluviana” dell’arte (per citare un altro artista che con il disegno aveva parecchia dimestichezza, Gino De Dominicis) probabilmente è anche la più contemporanea. Il risultato? Forse che tramite carbone e carta, due mezzi decisamente low cost, ma non low profile, in quest’epoca di crisi, si possono ancora tracciare storie interessanti. Anche a Rimini, «definita da Francesco Arcangeli, pensando al tempo di Cagnacci e Centino, la “piccola Siviglia nostrana”. Che anche ora brulica di artisti e di vita creativa. Non sarebbe nata altrimenti la Biennale, con una fioritura di iniziative collaterali e private. Con una risposta di pubblico che ci sta superando nelle aspettative: siamo già oltre i 42mila in poco più di un mese», afferma Pulini.
Federico Fellini

Qualcosa insomma, in riva all’Adriatico cantato tante volte tra spiagge e balere sembra muoversi anche sotto l’ombrellone dell’arte. Sarà che insieme alla Biennale del Disegno è uscito fuori anche un festival, che oggi –per esempio- vedrà protagonisti Stefano Arienti, in dialogo con Paderni e Bigi Iotti sul “Disegno come groviglio di pensiero”, e Dacia Manto, sul “Disegnare la performance”. E se ancora non siete passati da queste parti, per scoprire le “carte” di ieri, oggi e quelle che finiranno nel domani, avete tempo fino all’8 giugno. www.biennaledisegnorimini.it 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui