15 febbraio 2018

Frida che prende a morsi la vita

 
Al Mudec di Milano, la Kahlo è guardata “Oltre il mito”: quattro sezioni per raccontare la sua arte attraverso l'essere donna, il Messico, l'impegno e il dolore. Con parecchi inediti

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Chi non conosce Frida Kahlo? Tutti hanno in mente chi sia l’artista messicana dallo sguardo intenso e dalle spesse sopracciglia. Ma chi è veramente questa donna? Diego Sileo, conservatore del PAC | Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, ha dedicato moltissimo tempo allo studio della Kahlo, investendo gli ultimi 6 anni alla preparazione di questa attesissima mostra –  promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE – aperta al pubblico dal 1 febbraio al MUDEC di Milano. Ma si sentiva davvero l’esigenza di una (ennesima) mostra su questo eclettico personaggio? In che cosa si differenzia dalle altre? La risposta la possiamo dedurre già dal sottotitolo: “Oltre il mito”. Sì, perché dopo la sua morte, avvenuta nel 1954, la sua influenza andò pian piano ad affievolirsi, per poi tornare in auge negli anni ’80 con l’ascesa del Neomexicanismo ed esplodere in un climax progressivo nei successivi ’90, tale da prendere il nome di “Fridamania”, fenomeno che ha continuato a resistere fino ad oggi. 
Però in che modo si può parlare di un mito, senza cadere nella mitomania? Ci risponde il curatore, che afferma: «La mostra si propone di accantonare tutta la vicenda biografica di Frida, per concentrarsi nel suo ruolo di artista». Ed è oggettivamente vero come la sua vita abbia spesso quasi adombrato la sua produzione artistica. Continua Sileo: «Per quanto possa sembrare paradossale, è proprio il gran numero di eventi espositivi dedicati a Frida Kahlo che ha portato ad ideare questo nuovo progetto, perché – contrariamente a quanto appare – la leggenda che si è creata attorno alla vita dell’artista è spesso servita solo ad offuscare l’effettiva conoscenza della sua poetica». Per farlo, vengono svolte due azioni: la ricerca di opere e materiali d’archivio inediti da un lato e lo studio di focus sui temi fondamentali per leggere l’opera dell’artista dall’altro. Infatti, sono esposte per la prima volta in Italia e dopo 15 anni dall’ultima volta, tutte le opere provenienti dalle due più importanti collezioni di Frida Kahlo: dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection (che i più appassionati avranno visto lo scorso anno a Palazzo Albergati a Bologna). Senza dimenticare prestiti provenienti da celebri musei come il Phoenix Art Museum, il Madison Museum of Contemporary Art e la Buffalo Albright-Knox Gallery. Così facendo, si è data vita a un vastissimo e ricco percorso espositivo, contenente oltre un centinaio di opere di diverso tipo: dai dipinti, ai disegni, alle fotografie, senza dimenticare alcuni documenti appartenenti all’archivio ritrovato nel 2007 presso Casa Azul (letteralmente “la casa azzurra”, la dimora di Frida a Coyacàn, Città del Messico) e da altri importanti archivi, quali quello di Isolda Kahlo, di Miguel N. Lira e di Alejandro Gomez Arias. Questa ricerca sul campo, ha portato il curatore a trovare nuove chiavi di lettura della produzione Kahliana, in cui è riscontrabile un preciso fil rouge, che affronta l’espressione della sofferenza vitale, la ricerca cosciente dell’Io, l’affermazione di una precisa identità messicana e una fortissima e ammirabile resilienza. Si è così deciso di dividere il lavoro seguendo un criterio analitico delle opere attraverso quattro sezioni macro-tematiche, ovvero la donna, la terra, la politica e il dolore. 
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Frida Kahlo La mia nutrice e io Anno: 1937 Tecnica: olio su metallo Dim SC: 30.5 x 35 cm Prestatore: Museo Dolores Olmedo Crediti: © Foto Erik Meza / Xavier Otaola – © Archivo Museo Dolores Olmedo © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, México, D.F. by SIAE 2018

La prima opera che si incontra è un piccolo disegno, dove la Kahlo rappresenta se stessa in maniera stilizzata, facendo intravedere il suo corpo messo a nudo sotto le tradizionali e ampie vesti messicane, accompagnata da una frase significativa: “Le apparenze ingannano”, suggerendoci che sotto all’immagine colorata di se stessa, esiste un corpo sofferente, prigioniero di un profondissimo dolore. Nella prima sezione della mostra prevale il verde, colore che – secondo quanto lei stessa scrive nel suo Diario – è simbolo di “luce calda e buona”. E proprio qui la vediamo protagonista in quanto donna; ella si dimostra la prima a fare del suo corpo un manifesto, esponendo la propria femminilità in maniera diretta, sfacciata, a tratti violenta, stratificando tramite un linguaggio figurativo e simbolico, svariati livelli di significato: politici, sessuali e identitari. La conosciamo tramite il suo sguardo profondo e penetrante che ci trasmette fierezza e distanza nell’Autoritratto con scimmia (1938) o provocatoria serenità nell’Autoritratto con collana (1933), che sembra quasi strizzare l’occhio all’olio Bambina con collana (1929) – di cui si è ignorata la collocazione per oltre sessant’anni – mostrandoci delle affinità tra le due figure femminili, come la presenza della stessa collana di giada precolombiana (ritorna il verde) e le innegabili somiglianze fisionomiche. Percepiamo il suo fervore nelle lettere indirizzate ai suoi amanti, Alejandro Gomez Arias e a Miguel N. Lira, di cui troviamo anche i rispettivi ritratti – provenienti dagli archivi omonimi – che testimoniano la sua passionalità. 
Scoviamo la sua sensualità enigmatica tramite le celebri foto di Nickolas Murray, che divenne uno dei suoi amanti. Infine, la studiamo tramite i documenti d’archivio e i materiali fotografici ritrovati. Frida scrisse a proposito della fotografia: “Sapevo che il campo di battaglia della sofferenza si rifletteva nei miei occhi. Così, ho iniziato a guardare direttamente la lente senza sbattere le palpebre, senza sorridere, decisa a mostrare che sono una buona lottatrice fino alla fine”. 
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Kahlo Frida Natura morta (Sole di Samuel Fastlicht) Anno: 1951 Tecnica: olio su masonite Dim SC: 28.6 x 35.9 cm Dim CC: 53 x 61 x 3.5 cm Prestatore: Galeria Arvil – USA CREDITI: © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, México, D.F. by SIAE 2018

Proseguiamo in una zona della mostra con pareti color arancio, che ricorda il cromatismo argilloso della sua terra; ed è proprio la terra natia, il Messico, la tematica affrontata nelle opere qui esposte, in un’esaltazione seppur contraddittoria di un luogo ideale, puro e fertile. L’amore per il suo Paese lo vediamo riflesso nella realizzazione della flora e della fauna, come in I frutti della terra (1938) in cui rappresenta cibi della tradizione preispanica o tramite la rappresentazione della bellezza selvaggia delle sue abitanti in Bambina tehuacana Lucha Maria o Sole e Luna (1942), Ritratto di Mariana Morillo Safa (1944) e La bambina Virgina (1929). Notiamo un fitto e irriducibile legame con il suo territorio tramite l’olio su metallo Radici (1943), dove lei stessa si fa oasi di vita, fertilizzando la terra tramite il proprio sangue. Frida dipinge il forte senso dualistico tipico della cultura messicana, basata sulla contrapposizione di due elementi distinti: il sole e la luna, il bene e il male, l’uomo e la donna, il giorno e la notte; la pittrice vive così di continue influenze provenienti dalla cultura precolombiana, manifeste soprattutto ne La mia nutrice e io (1937), dove la composizione e la maschera indossata dalla balia richiamano la Grande Dea Madre della Terra, e ne L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot (1949), dove viene espressa in maniera quasi letteraria la dualità del principio cinese dello Yin e dello Yang, che si manifesta nel giorno e nella notte, nell’Universo che tiene tra le sue braccia la terra – sotto forma della dea Cihohuacoatl – sul cui fertile grembo, da cui sarebbero cresciute tutte le piante, Frida dipinge se stessa mentre tiene in braccio a sua volta un piccolo Diego Rivera dotato di un terzo occhio (simbolo di saggezza); il rapporto tra uomo e donna è vegliato dalla divinità azteca del signor Xólot – di razza Itzcuintli tanto amata dalla pittrice – il trasportatore dei defunti nel loro ultimo viaggio. 
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Frida Kahlo Autoritratto con scimmia Anno: 1938, olio su masonite, cm 40.64 x 30.48 cm Prestatore: Collection Albright-Knox Art Gallery; Bequest of A. Conger Goodyear, 1966 (1966:9.10) Crediti: © Photo Tom Loonan © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, Mexico, D.F. by SIAE 2018

Proprio questa compenetrazione di elementi sembra formare un equilibrio perfetto, ma le radici fluttuanti della montagna ci indicano una precarietà imminente. Infatti, Diego, suo famoso amante e poi marito, fu definito da Frida come il suo secondo grave incidente, dopo quello quasi mortale subito da giovane, che le stroncò il fisico per tutta la vita. Eppure quest’uomo fu per lei una guida, uno stimolo e un amore totalizzante; scrive così a riguardo: 
Diego principio 
Diego costruttore
Diego mio bambino
Diego mio fidanzato
Diego pittore 
Diego mio amante 
Diego “mio marito”
Diego mio amico
Diego mia madre
Diego mio padre
Diego mio figlio
Diego = Io
Diego – Universo
Diversità nell’unità.
Perché lo chiamo il mio Diego? Non lo è mai stato, e non lo sarà mai. Egli appartiene solo a se stesso. 
Queste parole sono realizzate in forma pittorica nel celebre dipinto Autoritratto come Tehuana (Diego nella mia mente) (1943), che ci rappresenta l’ossessione amorosa e la contrapposizione di fili – pensieri – bianchi (positivi) e neri (negativi), che vedono l’uomo come al centro di una ragnatela sacrale. Siamo ormai nella sezione della mostra che si sofferma sulla politica, rigorosamente colorata di rosso, simbolo del comunismo e della passione, ulteriori importanti elementi che legavano la donna alla figura di Rivera. Tuttavia, sebbene ella prendesse attivamente parte alla vita politica, il suo fu sempre più un romantico ideale; manifestando a pieno la contraddizione insita nella “Mexicanidad”. Un chiaro esempio della sua sensazione duale è rintracciabile in Autoritratto al confine tra Messico e USA (1932), manifestando un atteggiamento ambivalente nei confronti degli occidentali; ritratta al centro, su di un piedistallo, in un elegante abito rosa, la pittrice tiene in mano la bandiera del Messico, in un mondo scisso ancora una volta in due: la propria terra, che viene mossa dalla potenza della natura e della storia, e quella statunitense, retta da forze meccaniche.      
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Frida Kahlo Autoritratto 1940, olio su alluminio Dim SC: 63,5 x 49,5 cm Prestatore: Harry Ransom Center – The University of Texas, Austin Credito: © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, México, D.F. by SIAE 2018

Infine si prosegue in una sezione azzurra, che ci ricorda lo sfondo di tanti suoi cieli, dove ritroviamo una vera e propria iconografia del dolore. La fisicità martoriata, si manifesta agli occhi esterni con un ruolo quasi sacrificale, dove risulta chiaro in molte di queste opere dal violento impatto visivo, il passaggio quasi osmotico che Frida compì tra pittura e un personalissimo “demone interiore”. L’artista si definiva “assassinata dalla vita”, che la continuava a sottoporre a continue sofferenze. Esaltano quelle fisiche, come ben rappresentato ne La colonna rotta (1944), in cui la donna si ritrae in un ambiente solitario e tempestoso, dove ritroviamo il suo abituale sguardo fermo, ma stavolta solcato da numerose lacrime; il busto sembra squarciato verticalmente e al posto della colonna vertebrale appare una colonna ionica rotta in più parti, mentre la pelle risulta infilzata da chiodi, richiamando l’iconografia cristiana del martirio di San Sebastiano. Frida ci narra anche l’atrocità della perdita di un figlio in Henry Ford Hospital (1932), dove raffigura se stessa sul letto dell’ospedale dopo il suo secondo aborto: è una donna distrutta, disegnata come una minuta figura insanguinata sdraiata sul letto d’ospedale, mentre regge in mano i simbolici fili rossi del suo dolore. Ma la pittrice ci racconta anche la violenza dell’amore in Qualche colpo di pugnale (1935), la trasposizione ironica e rabbiosa di un omicidio passionale tratto dalla cronaca nera del tempo, che risulta metaforicamente perfettamente coincidente con il più grande dolore inflittale da Diego: il tradimento con la sua più cara sorella, Cristina. Ma nonostante tutto il legame tra Kahlo e Rivera fu indissolubile fino alla precoce morte della pittrice. Dotata di una forza inesauribile, un’ostinazione audace e di un’intelligenza irriverente, Frida Kahlo prese a morsi la vita, superando i tanti ostacoli grazie alla sua fedele compagna: l’arte, che fu la sua terapia e la sua rivoluzione. ¡Viva la vida!
Micol Balaban
Mostra visitata il 31 gennaio 2018

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