06 febbraio 2014

Giacometti, il gigante che si è perso

 
Alla Galleria Borghese si è aperta un’importante mostra dedicata all’artista svizzero. Le cui figure, a confronto con Bernini e Canova, denunciano l’impossibilità della scultura del Novecento ad essere monumentale. A consegnarsi allo sguardo è la fragilità di un’arte che, pur tendendo all’alto, si è smaterializzata. Ma è anche da qui che si comprende meglio l’arte del passato. Obiettivo dell’ingresso della modernità nello scrigno creato da Scipione Borghese

di

Alberto Giacometti, Galleria Borghese, vista della mostra Alberto Giacometti, L'homme qui marche, Fondation Maeght, Saint Paul de Vence, Francia
Non amava le comodità Alberto Giacometti. Si dice che non avesse avuto per lungo tempo la corrente elettrica, e nemmeno il telefono. La sua Svizzera, la Val Bregaglia di inizio Novecento, era ben diversa da quella di oggi. E se fosse vissuto in questi anni, sicuramente sarebbe stato uno dei pochi superstiti a non rimaner contagiato dalla tecnologia. Eppure, è stato uno dei grandi innovatori del Novecento, pur attingendo da tutti i periodi storici, rimane unico e diverso, capace di porsi come un grande tra i grandi, e per questo anche di sentire come contemporanea e viva,  l’arte di ogni  periodo storico. Lui stesso aveva affermato: «Tutta l’arte del passato, di tutte le epoche e di tutte le civiltà compare davanti a me, tutto è simultaneo come se il tempo prendesse il posto dello spazio». 
Questa idea di contemporaneità si percepisce bene entrando nel salone di Galleria Borghese, dove fino al 25 maggio, curata da Anna Coliva e Christian Klemm, si può visitare la mostra “Giacometti. La Scultura”, organizzata e prodotta da Arthemisia Group, dopo una falsa partenza (inizialmente la mostra era prevista  per dicembre). Quaranta opere, gessi, bronzi disegni raccontano l’intera vita dell’artista svizzero, per la mostra più importante organizzata in Italia su di lui. 
Alberto Giacometti [Buste d'homme (Lotar III)], 1965 Bronzo, 00/8, fonte d’après 1966, Susse Fondeur 65 x 28 x 35 cm Collection Privée, Suisse © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy, 2014

Il racconto espositivo comincia dalla fine, dal Giacometti maturo, con le tre sculture che erano state progettate per la Chase Manhattan Plaza, e poi mai realizzate: figure di grandi dimensioni, che regalano un impatto spettacolare. Donna in piedi I, Grande Donna II, Uomo che cammina I,  fanno parte di una visione drammatica che ha il sapore dell’incubo, dove questi strani personaggi hanno l’aspetto di  individui smarriti, alla ricerca di un improbabile meta, in un universo retto da regole che non gli appartengono, ma con il quale instaurano un dialogo emozionante: «Non organizziamo mai mostre occasionali – spiega Anna Coliva, direttrice di Galleria Borghese – partono tutte dallo stesso scopo: far capire le collezione del museo. Qui vediamo come la scultura statuaria abbia rappresentato il corpo umano in tutte le epoche. Tutti si sono misurati con altri grandi in questa foresta di statue, da Bernini, a Canova. Mancava il Novecento, e con Giacometti si vede quanto la scultura più recente ha sofferto per la sua impossibilità di esser monumentale, di esser classica. Le opere esposte in questo salone, erano state realizzate per una piazza con edifici di una sessantina di piani, per uno spazio pubblico. Adesso nella sala di Galleria Borghese escono con una grande forza, che diventa il dramma di non poter affermare la loro monumentalità. Si sente la sofferenza dell’arte del Novecento, emerge la dissoluzione della tecnica e della forma, l’impossibilità di rappresentare in maniera positiva la statua». 
Alberto Giacometti Homme qui marche sous le pluie -Stiftung, Zurich

Eccole, allora, queste figure esili, imprigionate in un’esistenza precaria, che risultano ancora più impotenti nello spazio della Galleria Borghese, capaci di esprimere tutta la solitudine dell’uomo moderno, con una spazialità opposta alla perfezione formale degli antichi, generosamente presente nel museo romano, dal Neoclassicismo al Barocco. La donna, quasi tre metri di altezza è frontale, statica, immobile, una specie di idolo da venerare, sempre irraggiungibile. Diverse le sue figure femminili realizzate alla fine dei Venti, Donna sdraiata che Sogna, Donna sdraiata, e poi Testa pensante, forme essenziali del periodo in cui Giacometti si era avvicinato al Cubismo, dopo aver abbandonato l’iniziale figurativismo. Colpiscono vicino alla Paolina Borghese di Canova, sono le opere meno figurative, che entrano in un gioco dominato da forme diverse, con opposti capaci di entrare in profonda vibrazione. Anche la Donna cucchiaio, creatura lontana, fuori dal tempo, rappresentazione che non ammette ripensamenti, forte del suo doppio rigore formale, tra cubismo e simmetria dell’arte africana, crea un essere ambivalente se paragonato all’Ermafrodito della collezione Borghese. Ancora forme concave e convesse si incontrano nella Donna Sgozzata, in posizione orizzontale proprio come l’Ermafrodito, questo dormiente, l’altra senza vita, ed ennesima rappresentazione di un disfacimento totale. 
Alberto Giacometti, Galleria Borghese, vista della mostra
Anche l’uomo è protagonista di una visione che non permette riscatti. Vicino alla potenza del David di Bernini, nell’attimo di maggior tensione dell’azione, ecco L’uomo che vacilla, una figura esile invece, dove l’istante è trasformato in precarietà infinita, senza narrazione che, per Giacometti, è la condizione universale dell’uomo. Un lungo subire passivo, un’analisi interiore della propria condizione, vicino alla fenomenologia di Merlau-Ponty. Ancora quanta differenza emerge tra l’incedere de L’uomo che cammina, la sua scultura più celebre, realizzata nel ’47 – una presenza filiforme, sconfitta – e la compostezza dell’Enea di Bernini. 
Gli estremi fatti dalle figure che hanno la consistenza di un segno, mai troppo preciso, in contrasto coi corpi fieri e possenti di Bernini, sembrano avvicinarsi nei busti della Loggia Lanfranco. La potenza dello sguardo è la stessa, anche se con Giacometti la visione è il risultato di uno stato interiore, raccontato da una materia mai omogenea, che vive attraverso la percezione dell’occhio dell’osservatore. Nell’ultimo lavoro del ’65, Lotar III, (dedicato al fotografo Elie Lotar) lo sguardo dell’amico fotografo è rivolto verso l’alto, forse la speranza di una verità oltre l’esistenza.  
Alberto Giacometti Grande femme I, 1960

Intanto la Galleria Borghese combatte i pesanti venti di crisi e ha appena lanciato il progetto “Mecenati alla Galleria Borghese”, presentato lunedì sera nei saloni della quadreria creata dal cardinale Scipione Borghese. Si tratta un’associazione fatta da un nutrito gruppo di vip capitanati da Maite Bulgari con nomi come Silvia Venturini Fendi, Muccia Prada, Jacaranda Caracciolo, l’imprenditore francese Robert de Balcany, Walter Mainetti, e Fabio Salini, per citarne alcuni: «Si tratta di un asse tra pubblico e privato – spiega Anna Coliva – per sviluppare alcuni degli aspetti fondamentali del museo, tra cui studio e ricerca, in modo dinamico, usando il modello anglosassone. Stiamo già pensando a un centro studi su Caravaggio, per raccogliere in  un unico luogo tutti i documenti sul famoso artista». Auguri a un altro museo romano che non ha intenzione di arretrare di fronte alla crisi. 

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui