07 settembre 2012

Glamour chiama, Milano risponde

 
L'altra sera non era l'ultimo giorno dell'anno, ma a Milano sembrava che il momento dei botti fosse arrivato in anticipo, con una programmazione e una concatenazione di eventi che neanche a Capodanno. Era invece la sera del VFNO, acronimo di “Vogue Fashion Night Out”, catena-fashion di Sant'Antonio che toccherà in Italia anche Roma e Firenze. La presa di una città, in attesa come sempre dell'arte. Ma qui, stavolta, scatta la sorpresa

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Cosa c’è da fare alla VFNO? Forse tutto, forse nulla. Di certo si deve partire con una ben precisa consapevolezza: lasciarsi trascinare. Dalla folla, da una massa umana composta soprattutto di giovani che arrivano da ogni parte della città e anche del Nord Italia per quattro ore di movida, sì perché in fondo più che di una notte si tratta di una serata non particolarmente lunga, soprattutto se si pensa che i negozi e le vetrine, i veri attori della scena, abbassano la serranda alle 23.30 circa.
Eppure il delirio è collettivo: Milano è proiettata per una sera nell’incarnazione di quella città che spesso all’estero pensano sia, fatta di cocktail all’aperto, luci e musica alta per la strada in quei quartieri Mecca-del-fashion, da Brera a Porta Garibaldi al Quadrilatero di via della Spiga e Montenapoleone fino alla più “popolare” via Torino, ieri sera completamente bloccata dal dj set di Bob Sinclair all’Oviesse, o meglio @ OVS.

In realtà ieri sera a Milano tutto era bloccato, comprese le persone, schiacciate come sardine come talvolta nemmeno capita durante la Settimana del Salone del Mobile, altro evento clou che risveglia la città e che per una settimana la trasforma nel palcoscenico mondiale del “buon gusto” e della sperimentazione, dell’accoglienza a carissimo prezzo e dei ristoranti pieni, della riqualificazione di spazi e dell’imprenditoria che, in apparenza, non cala. Perché sul design e sulla moda Milano non si risparmia, questa è la verità.
La VFNO è il vero, nuovo, rituale collettivo della città più fashion d’Italia, effimero esattamente come solo la moda sa essere, ciclica come non mai e che sveglia le coscienze degli adolescenti e dei 40enni rampanti con messaggi shock: “quest’anno vanno le borchie! Nooo? Sul serio? E adesso?” Un immenso palco urbano dove ognuno può sentirsi sul red carpet di Venezia o di Cannes, immortalato non tanto dai reporter quanto dai flash che si scattano con gli amici, e che si pubblicano su Instagram: ragazze in mise “pericolose” e uomini che alternativamente scelgono la via del classico, con giacca e cravatta, nemmeno si dovesse andare in ufficio per la seconda volta nella giornata, portati con Ray Ban gialli, rosa e verdi o occhialini demodé in coccodrillo, oppure scegliendo la via della spiaggia, visto che ancora c’è caldo.

Lo stile dei frequentatori della VFNO in realtà è piuttosto omologato, rispecchia l’offerta dei grandi marchi, il trend che si incontra sulle riviste patinate, Vogue su tutte, il meticciaggio di più pezzi raccattati qua e là che fanno tanto alternativo senza data, nonostante nel frattempo siano venuti a galla hipster e, tra i più piccoli, emo, ragazze in deriva post-punk e siano definitivamente affondati dark e hippie.
Torneranno, così come torneranno i mimetici. Chiacchiere impegnate, certo, perché l’alternativa è farsi tutti i vari cocktail party gratuiti e senza invito, se non siete cool e senza agganci di genere, oppure scegliere magari una top list di eventi e pendolare da un evento all’altro. Per vedere e per mettersi in mostra perché tutti, ma proprio tutti, non solo hanno pezzi da vendere, ma di cui fare sfoggio; dai grandi store delle multinazionali alla produzione più di nicchia ognuno ha la propria passerella, la propria maglietta in edizione limitata, il proprio paio di jeans, la propria partnership per la presentazione di un nuovo prodotto, il coupon di sconto sui futuri acquisti e chi più ne ha più ne metta. 
Offerta culturale? Meno di zero, ma non è la sera adatta, anche se tra le iniziative artistiche, che non siano le presentazioni di stampe fotografiche dentro qualche boutique, ce ne sono state un paio che catturavano l’attenzione: l’associazione culturale “Milano mai vista” ha programmato tre turni di visite ad hoc alla zona di Brera seguendo, per l’appunto, tre percorsi all’insegna di arte, architettura e prostituzione. Avete letto bene! Come forse qualcuno saprà Brera è si sempre stata la zona della grande Pinacoteca e dell’Accademia, ma fino agli anni Cinquanta era la zona della città a più alta concentrazione di case chiuse, che si affacciavano sulle stradine del quartiere e di cui fanno parte quei locali che oggi costano qualcosa come 7mila euro al metro quadrato. Un tour in esclusiva, per una sola serata, per scoprire una Milano bucolica e lontana anni luce dalla movida fashion, dove il vero evento era stata la disastrosa chiusura di quelle strutture accettate in qualche modo da grandissima parte della società e che avevano all’epoca, 20 settembre 1958, riconsegnato la prostituzione al marciapiede. 

La cultura “alta” alla VFNO finisce qui e va benissimo. La sua serata arriverà invece il prossimo 13 settembre, e vedremo che cosa si combinerà e quale sarà la capacità attrattiva della nuova versione di StartMilano. Perché giunti alla crisi del settimo anno, idealmente e anche mondialmente, questa edizione non conterà più un solo fine settimana di arte, ma 2 week end e 10 interi giorni di opening, incontri, mostre e party, anche se è in realtà nel secondo fine settimana che le aperture saranno prolungate.
Ovviamente le quasi trenta gallerie aderenti alla maratona metteranno la carne al fuoco per la stagione autunnale, con Lia Rumma e Anselm Kiefer, Marconi con Emilio Tadini, De Carlo con Robert Pruitt, Minini con Chiasera e l’opening esclusivo del nuovo Repetto Project che tirerà fuori dal cassetto niente di meno che Andy Warhol e le sue stampe uniche “Come un vestito di Dior”, colpo perfetto prima della grande svendita della Fondazione.

Due settimane, ma siamo sicuri? Secondo le parole del Presidente Pasquale Leccese sì: «Era necessario quest’anno dare un forte segnale che fosse di auspicio sia come inizio della nuova stagione sia per la volontà di tutti noi operatori, galleristi, di essere interlocutori sempre presenti nell’animare e stimolare l’arte contemporanea nella città. Abbiamo voluto quindi aprire la stagione a un vero e proprio Festival dell’arte contemporanea, quindi oltre alle 26 gallerie che hanno aderito all’iniziativa abbiamo realizzato una intera “dieci giorni” di arte contemporanea che coinvolge molte Istituzioni della città», tra cui, aggiungiamo noi, l’Istituto Svizzero, Careof Docva, Museo del Novecento, That’s Contemporary con l’iniziativa S.A.V.E. Milan, lo Show room Moroso e Spazio Oberdan, impegnato in un omaggio a Michelangelo Antonioni.
Di una cosa siamo i certi. I numeri raccolti ieri sera dalla VFNO, in fatto di presenze e giro d’affari, l’arte a Milano non li raccoglierebbe nemmeno in qualche anno di aperture continuate, ma l’ampliamento di orizzonte fa parte della vita, non solo di una città. E in fin dei conti forse Milano, nonostante la poca benzina nel serbatoio, vuole a sua volta uscire dall’idea di una metropoli che vive solamente per un paio di settimane all’anno, quelle del Mobile e della Moda.

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