14 giugno 2025

Biennale Teatro: Inanna di Thomas Richards, il mito che respira nel presente

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Thomas Richards porta in scena un rito corale che intreccia memoria e canto: in prima europea alla Biennale Teatro di Venezia, dopo l'anteprima all'Elf di Milano

The Inanna Project (ph. Alessandro Villa)

Il teatro, nella sua forma più pura, è un rituale, un atto di trasformazione collettiva in cui il corpo, la voce e la memoria si intrecciano per dar vita a significati nuovi. The Inanna Project, lo spettacolo diretto da Thomas Richards e prodotto dal gruppo Theatre No Theatre, si inscrive perfettamente in questa tradizione, offrendo al pubblico un’esperienza sensoriale e spirituale che affonda le sue radici nel mito sumero per proiettarsi nella contemporaneità.

Thomas Richards, erede e principale allievo di Jerzy Grotowski, con cui ha condiviso oltre un decennio di intensa ricerca al Workcenter, raccoglie e rinnova in questo lavoro l’eredità del maestro polacco. La sua regia si distingue per rigore, profondità e apertura alla dimensione interculturale, rendendo Inanna una tappa significativa nel percorso del teatro di ricerca contemporaneo.

The Inanna, Jessica Losilla Hebrail, ph. Alessandro Villa

La figura di Inanna, antichissima dea sumera dell’amore, della fertilità e della guerra, incarna la complessità dell’esistenza umana. La sua discesa negli inferi e il ritorno alla luce diventano qui metafora potente di un viaggio iniziatico, spirituale e identitario. Lo spettacolo interroga il presente attraverso il mito, ponendo al centro il bisogno di trasformazione e rinascita.

L’aspetto più affascinante è la polifonia culturale e linguistica che abita lo spettacolo. I testi antichi vengono tradotti e incarnati in più lingue, dallo spagnolo al coreano grazie alla straordinarietà degli interprti in scena Hyun Ju Baek, Ettore Brocca, Kei Franklin, Alejandro Linares, Jessica Losilla-Hébrail, Fabio Pagano e lo stesso Richards, in un processo che va oltre il semplice adattamento, diventando riscoperta identitaria. Ogni attore contribuisce con canti legati alle proprie radici, evitando il rischio di un “minestrone culturale” e puntando invece alla verità del gesto e della voce. La musica non accompagna, ma struttura: canto e corpo si fondono in una partitura che richiama il “teatro povero” di Grotowski e l’antropologia teatrale di Eugenio Barba.

The Inanna Project- Fabio Pagano, Kei Franklin (ph. Alessandro Villa)

In Inanna, il corpo dell’attore si fa pelle della memoria, soglia viva tra il visibile e l’invisibile. Non è mera esecuzione di tecnica, ma carne che ricorda, che custodisce tracce di gesti antichi, come iscrizioni lasciate dal tempo su una superficie fragile e sacra. Gli interpreti si muovono con una qualità rara, forgiata da anni di ricerca, di rigore e di ascolto profondo: ogni passo, ogni respiro, ogni vibrazione della voce sembra scaturire da un luogo intimo e arcaico, come se la scena fosse attraversata da un’eco che non appartiene solo al presente.

I corpi non fingono, ma abitano. Si offrono al pubblico come veicoli di una verità che non può essere detta, solo incarnata. Nei loro movimenti si intrecciano il peso e la leggerezza del rito, la tensione della domanda e la sospensione della risposta. Nulla è decorativo, nulla è illustrativo: ogni azione è necessaria, ogni silenzio è pieno. È un teatro dove l’immagine non si mostra, ma si rivela lentamente, come una figura che affiora dall’acqua.

The Inanna Project, Hyun Ju Baek (ph. Alessandro Villa)

In questo lavoro, la tradizione non viene rappresentata: viene vissuta e rinnovata, affinché possa ancora parlare, ancora toccare, ancora trasformare. Inanna è una celebrazione della continuità della memoria umana. Ci invita a domandarci se le storie di cinquemila anni fa abbiano ancora senso per noi oggi. E la risposta arriva non come affermazione, ma come tensione creativa. Il pubblico stesso viene incluso nel processo: ascolta, riflette, si trasforma. Proprio in questo risiede la forza dello spettacolo, che non separa la ricerca dalla fruizione, ma li fonde in un unico respiro.

Thomas Richards firma un’opera che è al tempo stesso performance rituale e indagine spirituale. Inanna trascende il teatro come intrattenimento: è una chiamata, un viaggio collettivo dentro e fuori di sé. In un tempo segnato da superficialità e crisi di senso, questo lavoro restituisce centralità all’atto creativo come urgenza e come dono.

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