02 ottobre 2019

“La Luna” nasce dai rifiuti, e va in scena a Napoli

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Nello spettacolo di Davide Iodice, “La Luna”, in scena a Napoli, dai rifiuti nascono storie di vita. Un viaggio poetico per un bisogno di condivisione, con i moti dell’anima dei singoli e di una comunità

La Luna foto di Cristina Ferraiuolo
LA LUNA ideato e diretto da Davide Iodice per Teatri Associati di Napoli

“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori,” cantava De Andrè nella celebre canzone Via del campo. Anche dai rifiuti, però, possono emergere diamanti, ovvero storie di vita, ciascuna preziosa, degna di ascolto e di essere raccontata. Quelle raccolte da Davide Iodice nello spettacolo La luna, costituiscono un viaggio, poetico e commovente, nel dolore degli altri: per un bisogno di condivisione, di elaborazione di un lutto, di partecipazione e di connessione con i moti dell’anima di singoli e di una comunità. Il teatro di Iodice, di umanissima fattura, nasce sempre dalla materia viva che sono le persone (un solo esempio, gli ospiti del Dormitorio pubblico, protagonisti di La fabbrica dei sogni), dal suo sguardo rispettoso e partecipe calato nella verità delle loro esistenze, raccogliendone il peso, la profondità, il calore. Che può essere bruciante. Come lo sono le testimonianze rappresentate nello spettacolo, e simboleggiate da una moltitudine di oggetti.

La Luna foto di Cristina Ferraiuolo
La Luna foto di Cristina Ferraiuolo

C’è una siringa, una mascherina, una croce di legno, un borsello, un mazzo di carte, una cinghia di contenzione, una gabbietta per uccelli, una parrucca della vergogna, un disegno di bambina, una bacchetta magica, delle scarpette di danza classica, un castello per bambole, degli occhiali rotti, un abito da sposa, un maglione grigio, una chitarra rotta. Sono alcuni degli oggetti raccolti dal regista nel corso di due anni di laboratori a Napoli, nei quali ha invitato i partecipanti a portare un oggetto di cui volevano disfarsi, quale gesto di liberazione legato a un particolare momento doloroso, a un ricordo frustrante, a una ferita, a una delusione, a un’illusione; un manufatto segreto, intimo, accantonato, messo da parte, nascosto o rimosso, incagliato in un anfratto del cuore, riposto in un angolo della mente, o semplicemente sedimentato nel fondo di un cassetto, dimenticato volutamente, o tolto dalla vista e ripreso per riannodare il filo della memoria, rendendo così partecipi di una parte della propria vita. «Oltre duecento reperti – ha dichiarato Iodice – sono stati raccolti. Hanno consegnato nelle mie mani la notifica di una morte, i messaggi lasciati prima di un addio irreversibile, denunce di abusi inconfessati per tutta una vita, abiti per il funerale di un padre, quelli di un matrimonio finito. Tragedie personali ma anche collettive: qualcuno mi ha consegnato la mascherina che usa in casa vivendo nella Terra dei fuochi; un coltello sottratto a un bambino di dieci anni da parte di un ex ragazzo di strada che ha cambiato vita.

La Luna foto di Cristina Ferraiuolo
La Luna foto di Cristina Ferraiuolo

E poi: rose appassite di amori violenti, chiavi di stanze chiuse dov’è successo qualcosa di doloroso e dove non si è più tornati, una gabbietta lasciata vuota da un uccello che si è squarciato il petto nel tentativo di liberarsi, una scimmia di peluche usata in un momento di terapia. E tanti, veramente tanti psicofarmaci». Tra le storie simboleggiate come rifiuto materiale, rifiuto umano, rifiuto mentale, c’è, all’inizio della rappresentazione, quella di Annamaria: «Ho 37 anni e come rifiuto ho portato questo registratore con una cassetta nuova che ho trovato, e questo è uno dei tanti giochi che mi venivano regalati, poiché io non avevo mai compagnia nel giocare, quando ero bambina, quindi giocavo sempre da sola, e questo è appunto un gioco di solitudine. Registravo le cassette, facevo le trasmissioni radio, registravo le mie musiche preferite, registravo più volte su una stessa cassetta. Lo lascio con la cassetta nuova, perché, boh, probabilmente registrerò l’ultimo nastro o qualcuno lo farà per me». È una delle molte vicende con le voci reali registrate dei protagonisti che sentiamo fuori campo, mentre si snodano le sequenze mute e coreografiche degli attori. Insieme ad altre biografie sono diventate materiale drammaturgico elaborato nel titolo dello spettacolo che trae spunto dal viaggio di Astolfo narrato nel canto XXXIV dell’Orlando furioso, quel senno che egli cerca sulla luna: «…Ciò che si perde o per nostro diffetto, o per colpa di tempo o di Fortuna: ciò che si perde qui, là si raguna. (…) Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai».

La Luna foto di Cristina Ferraiuolo
La Luna foto di Cristina Ferraiuolo

Violenza, amore, malattia, morte, lacrime, infanzia, identità, hanno costituito la materia di sentimenti raggrumata nella scena installativa ideata da Tiziano Fario: un grande imballaggio di scarti di plastica pressata che ricorda le eco-balle, rappresentato da quattro ingombranti cubi monolitici spostati a vista – dai e attorno ai quali si muovono gli interpreti-performer -, che definiscono lo spazio della grande stanza di Palazzo Fondi. Prima di entrarvi avremo sostato davanti a un “mercatino delle cose perdute” con due imbonitori, un uomo e una donna, intenti a mostrarci e descriverci sulla loro bancarella un ammasso di cianfrusaglie – «Ccà s’ammont’ mieze munn’… lamient’ e cant’. …Nuje cercammo tutto chello ca perdite. Nuje truvammo tutto chello ca ‘nvulite», ripetono in versi a mo’ di rap -, guidandoci poi dentro il luogo delle “confessioni”. A scandire le narrazioni che coinvolgono, verso il finale, anche due spettatori condotti nella ritualità degli oggetti, è la Sonata al chiaro di luna per pianoforte n°14 di Beethoven. Ripetuta e rielaborata, la musica crea la temperatura emotiva che accompagna il susseguirsi delle azioni sempre corali, fino a quella coppa alzata in segno di vittoria per aver sconfitto una malattia, e alla corsa da fermo di un atleta con un’immagine in mano: «Questa è la foto di mio padre – racconta –. Lui era un atleta e il suo sport era il salto in lungo. Lui é finito troppo presto. Non aveva nemmeno 40 anni, e io non ho avuto il tempo… ed era una persona estremamente vitale. Ecco io con questa foto voglio restituire a me e a lui la bellezza, la bellezza che era e che mi ha lasciato, la sua grinta, la sua forza, la sua voglia di mangiare il mondo e di vincere». Su queste ultime parole, compie finalmente il suo lunghissimo salto e ride.

Con lo spettacolo La luna ha preso il via la stagione di “Confini Aperti”, dei Teatri Associati di Napoli diretti da Hilenia De Falco e Lello Serao.

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