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Tre membri della Commissione Prosa si dimettono: cosa sta succedendo nel mondo del teatro
Teatro
Negli ultimi giorni si è scatenata una tempesta nel mondo teatrale italiano: tre commissari della Commissione Prosa, incaricata di ripartire i finanziamenti del Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo (FNSV ex FUS), hanno deciso di dimettersi in blocco. È il segnale di un malessere politico e organizzativo profondo che rischia di compromettere la tenuta stessa del settore.
I fatti degli ultimi giorni
Martedì 19 giugno, Alberto Cassani – nominato dall’Anci – insieme a Carmelo Grassi e Angelo Pastore, hanno rassegnato le dimissioni con una lettera aperta al Ministro della Cultura Alessandro Giuli. La ragione è netta: «un dialogo costruttivo non è più possibile» a causa del «declassamento” della Fondazione Teatro Nazionale della Toscana – teatro diretto oggi da Stefano Massini già da mesi nell’occhio del ciclone – con motivazioni che i dimissionari giudicano pretestuose. È il culmine di una crisi latente nella Commissione, dove tensioni politiche hanno prevalso su criteri artistici, delegittimando le loro competenze.
Il giorno successivo, il 20 giugno, Ateatro ha parlato del “collasso” della Commissione, denunciando l’assenza di procedure condivise e il vuoto di indirizzo politico che sta paralizzando l’organo consultivo. La protesta dei dimissionari ha acceso nuovamente i riflettori sul ruolo delle Commissioni consultive istituite per il triennio FUS 2022–2024, con un contesto, quello attuale, segnato da una nomina fortemente politicizzata – di marca ministeriale – e da forti preoccupazioni sulla trasparenza e sull’imparzialità dei criteri adottati.
In questa vicenda si innesta una criticità politica già denunciata: il processo di nomina, gestito dal ministro, ha trasformato le Commissioni in strumenti piegati a logiche istituzionali, spesso prioritarie rispetto al merito artistico. Ne è un esempio lo stillicidio di uscite dal gruppo di lavoro, a partire proprio da Cassani, Grassi e Pastore, ufficialmente contro «scelte imposte” che ledono la coerenza e la funzione di queste strutture.
Le candidature respinte
La gravità della situazione emerge nel contesto più ampio del FUS, pilastro del sostegno pubblico al teatro e allo spettacolo dal vivo in Italia. Le Commissioni consultive svolgono un ruolo fondamentale nella valutazione dei progetti, ma oggi appaiono screditate: incapaci di agire con lo strumento della mediazione, si trovano in balìa delle dinamiche politiche e delle pressioni ministeriali. Basti guardare la polemica emersa dai risultati della sezione Danza dove, prima ancora che delle esclusioni e dei punteggi, una parte del dibattito della Commissione è ruotato attorno all’ammissibilità delle candidature che hanno adottato lo schwa. Un commissario ha proposto di escludere due soggetti (Fattoria Vittadini di Milano e Sala Produzione di Sassari) perché hanno adottato una «forma lessicale», ovvero lo schwa, che «non può ritenersi conforme al formato di documenti ufficiali presentati come istanze di contributo ministeriale».
Vero una nuova commissione
Tornando alla prosa, diversi operatori del settore cominciano a denunciare come questa crisi stia ritardando l’intera macchina dei bandi, con il rischio di ripercussioni a cascata su tournée, coproduzioni e continuità produttiva. Diversi enti hanno rivolto un appello alla politica per chiedere “intervento immediato” per ristabilire legalità, trasparenza e meritocrazia nel sistema di assegnazione dei contributi. La risposta arriva ieri, venerdì 20 giugno, da Gianmarco Mazzi, sottosegretario di Stato alla Cultura con delega allo spettacolo dal vivo: «Dopo aver appreso delle plateali dimissioni di tre componenti della commissione teatro del Ministero e che due di loro, nominati come figure tecniche dalla Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni, sono in realtà esponenti di partito, ho deciso di accelerare una decisione già da tempo condivisa con le associazioni più rappresentative del settore (…) insedieremo entro pochi giorni un gruppo di lavoro per lo studio e l’individuazione di nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo che lavorerà per i prossimi due anni e dovrà realizzare un sistema più semplice e trasparente di quello attuale, da lasciare come eredità alla prossima legislatura. Sarà Giorgio Assuma a guidare il gruppo di studio che si avvarrà del contributo dei più autorevoli studiosi italiani della materia e dei migliori operatori del mondo dello spettacolo».
E mentre si attende la guida di Assuma (90 anni lo scorso 29 novembre), è sempre più evidente come la crisi della Commissione Prosa sia un segnale d’allarme, mettendo in luce come la relazione tra politica e arte si stia incrinando sotto il peso di nomine politicizzate e mancanza di trasparenza. Le conseguenze non sono soltanto simboliche: rappresentano un rischio concreto per un comparto già fragile. Lo spettro della paralisi dei finanziamenti non sembra lontano, e oggi più che mai il mondo del teatro reclama un segnale politico forte che riporti fiducia tra i commissari superstiti, tra le istituzioni culturali e tra il pubblico.
Cari amici “il sistema”ormai è in ginocchio. A nulla sono serviti le forti polemiche su Bastasi il “giro” e Franceschini.
Nel nulla sono finite le richieste di trasparenza di merito e di sfidare le “imprese sovvenzionate” sulla pubblicità dei bilanci del doppio lavoro che purtroppo premia i furbetti ma protetti avanzano lo stesso a discapito della categoria che mai come negli ultimi decenni si et vista privata di ogni diritto al lavoro come avviene nella stragrande maggioranza dei paesi europei.
Sul “luogo” del teatro ancora come luogo di libertà e di non omologazione ci si è troppo allontanati.
Si Vive troppo velocemente e troppo velocemente tutto diventa passato, un passato senza basi labile, che non può diventare memoria, confronto, riflessione, studio, in una parola identità.
Questo -a mio parere- ci rende deboli come cittadini. Occorre recuperare un senso tra passato presente e futuro.
Il teatro “poteva” giocare un ruolo importante in questa direzione, perché il teatro vive di libera espressione e muore di format patinati e senz’anima.
Il teatro per vocazione presidia le zone del dissenso di qualunque tipo o colore e perde identità se si omologa. Il teatro per sua natura e origine può contribuire a restituire una memoria e a ricostituire una comunità.
Ma sarà vero?
Credo che nemmeno la Magistratura avrà il coraggio di guardare le carte. E che carte. E non solo quelle del MIC ma delle Regioni o dei Comuni. Bandiere di discrezionalità e di “ritocchi”. Di ristrutturazioni farlocche e false ripartenza.
Insomma la trappola della passione frega quasi tutti ed è Lippi che diviene tragico.