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Controllo e identità: in quanti modi le tecnologie ci sorvegliano?
Arte contemporanea
Il “Grande Fratello” orwelliano, un tempo lontano e distopico, oggi sembra essere sempre più una realtà tangibile e inquietante. A testimoniare questa evoluzione è Hsin-Chien Huang, artista taiwanese classe 1966, che attraverso cinque opere inedite esplora le dinamiche della tecnologia, della sorveglianza e del rapporto dell’individuo con il mondo digitale. Le sue installazioni, esposte al MEET Digital Culture Center di Milano fino al 19 gennaio 2025, invitano lo spettatore a immergersi in mondi virtuali che sollevano interrogativi cruciali sulla privacy, il controllo e l’identità.
Il percorso espositivo risulta difficile da descrivere a parole, poiché è indispensabile immergersi direttamente nelle complesse creazioni di Huang. Il percorso ha inizio con Samsara e Bodyless, due installazioni in realtà virtuale che esplorano tematiche di forte rilevanza sia personale che sociale. Samsara, in particolare, nasce da un’esperienza intima dell’artista. Da bambino, Huang perde l’uso di un occhio a causa di una malattia e solo più tardi, grazie a un trapianto di cornea, riacquista la vista. Il pensiero di portare nel corpo una parte estranea, un dono proveniente da un altro essere umano, lo spinge a riflettere sul concetto di reincarnazione e sul ciclo eterno di vita, morte e rinascita, secondo la tradizione buddista. L’opera si configura come un viaggio immersivo in sei mondi distinti, ognuno dei quali rappresenta uno dei sei stadi di reincarnazione.
Qui, il visitatore è invitato a trasformarsi in diverse entità, umane o non, vivendo la realtà da punti di vista alternativi, esplorando la percezione del mondo da prospettive radicalmente diverse dalla propria. In Bodyless, Huang esplora invece la dicotomia della tecnologia: da un lato, essa si presenta come uno strumento di progresso, in grado di migliorare la vita umana, dall’altro come potenziale strumento di controllo e sorveglianza. Ispirandosi ai racconti della madre sulla Taiwan degli anni ’70, durante il periodo della legge marziale, l’artista utilizza la realtà virtuale per ricreare l’esperienza di quel tempo. Tuttavia, il messaggio dell’opera diventa più profondo e personale grazie al forte legame emotivo che Huang sviluppa con sua madre. Quando quest’ultima inizia a soffrire di demenza, l’artista crea un’esperienza immersiva per aiutarla a rivivere le storie che lei stessa gli raccontava durante l’infanzia. Attraverso la realtà virtuale, Huang tenta di ristabilire il legame affettivo e di restituire alla madre i ricordi perduti, creando così un’intensa riflessione sul ruolo della tecnologia nella nostra vita quotidiana, portando con sé una dimensione di intimità e recupero.
Il percorso espositivo si arricchisce poi di un’installazione più leggera e giocosa, un omaggio alla città che ospita la mostra: Shall We Dance, Milano?. In questa opera, il visitatore è invitato a vivere un’esperienza unica, trasformandosi per qualche minuto, grazie all’intelligenza artificiale, nel simbolo per eccellenza di Milano, il Duomo. Il gioco di identità e la manipolazione della percezione dello spettatore rendono l’opera un’affascinante riflessione sulla fusione tra arte, tecnologia e spazio urbano, creando un dialogo inaspettato tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda. Il tema della sorveglianza viene esplorato in modo profondo e articolato in Omni Channels. In questa installazione, Hsin-Chien Huang rivolge l’attenzione verso l’incessante attività delle telecamere di sorveglianza, che quotidianamente catturano migliaia di immagini di persone ignare. Il lavoro solleva interrogativi sulle implicazioni di questa sorveglianza invisibile, stimolando una riflessione sul controllo silenzioso e pervasivo che caratterizza le nostre vite digitali.
L’ultima sala ospita la creazione più complessa di Huang, realizzata in collaborazione con il musicista Jean-Michel Jarre. Il tema della sorveglianza viene trattato non solo come un fenomeno contemporaneo, ma come tema che si evolve nel corso della storia. In un’esperienza immersiva in realtà virtuale, lo spettatore si ritrova imprigionato in una struttura composta da 12 celle, ognuna delle quali esplora un periodo storico specifico, rivelando i diversi modi in cui il controllo e la sorveglianza sono stati esercitati nel corso dei secoli. Questa esperienza VR è al tempo stesso destabilizzante e affascinante, spingendo il visitatore a confrontarsi con la progressiva e inquietante espansione del controllo sociale attraverso le epoche. Con questa installazione Huang invita lo spettatore a riflettere su un tema che travalica i confini temporali e culturali, offrendo uno spunto di riflessione sul nostro rapporto con la tecnologia e sul modo in cui la sorveglianza ha plasmato e continuerà a plasmare le nostre vite. Uscendo dall’esposizione, lo spettatore è chiamato a riconsiderare la propria percezione della sorveglianza, portando con sé una consapevolezza rinnovata riguardo alla necessità di sviluppare un rapporto più consapevole e critico con le tecnologie che governano la nostra esistenza. Attraverso queste opere, Huang non solo esplora le possibilità della realtà virtuale come strumento di espressione artistica, ma ci invita anche a riflettere sulle questioni più urgenti della nostra epoca: il nostro rapporto con la tecnologia, la memoria, l’identità e la continua negoziazione tra il pubblico e il privato.