31 maggio 2023

exibart prize incontra Annamaria Gallo

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Gli elementi sempre presenti sono il gesto, lo spazio sia interno che esterno, il processo della preparazione un rituale sempre presente.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Ho frequentato il liceo artistico di Bergamo e subito ho proseguito con l’Accademia di Brera, ho mantenuto vivo l’interesse per il disegno d’interni e l’arredamento, basi acquisite durante il liceo, che mi hanno permesso di studiare e lavorare contemporaneamente. Il senso dello spazio e della praticità forse mi caratterizzano, ma prima di mettere piede nel primo studio e negozio d’interni sono stata a bottega per qualche mese in un laboratorio di gessi in Città Alta a Bergamo e così ho continuato ad alternare il lavoro manuale ed espressivo con quello di disegno progettuale. Sperimentare per conoscere, trovandomi di fronte nuove possibilità di usare il linguaggio visivo come comunicazione, le pareti mi hanno sedotta nella loro presenza e ho iniziato a dipingerle, senza che mai avessi usato un pennello .., “scopri di sapere fare nell’istante in cui inizi “ e così si instaura una relazione, com’è stato per me con le grandi pareti e la pittura, che in molti casi dovevano soddisfare le richieste dei committenti, ma che poi sono diventate il gesto, il colore in relazione con la tela e da qui sono nati miei primi lavori astratti.
Terminata l’accademia sono stata assistente di galleria e così ho potuto relazionarmi con alcuni astrattisti americani viventi e artisti contemporanei riconosciuti, questi due anni mi hanno permesso di ampliare le mie conoscenze e capire anche come funziona il mercato dell’arte.
Per un po’ di anni la progettazione di spazi d’arredo è stato il mio pane quotidiano, anche se parallelamente ho continuato con la mia ricerca artistica dove il colore, le velature e le resine che specchiavano l’osservatore, erano impresse su tele molto grandi con le quali dialogavo come fossero corpi che accoglievano e rimandavano i miei gesti.
Poi è arrivata la necessità di vivere l’arte fino in fondo ed è stato con le opere negli spazi pubblici, la relazione con le persone, grazie all’associazione sul territorio bresciano Arteingenua.
L’arte come aggregante, mi ha rapita portandomi a cercare risposte sul suo potenziale comunicativo, liberatorio, spesso rivelativo.
Ho quindi intrapreso un percorso di studi sulla base dell’arte terapia diventando specialista in laboratori esperienziali e così mi rivolgo ai bambini, ragazzi e adolescenti proponendo laboratori di gruppo dove si pone l’attenzione principalmente sulla processualità e non solo sul prodotto finale.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Gli elementi sempre presenti sono il gesto, lo spazio sia interno che esterno, il processo della preparazione un rituale sempre presente, l’utilizzo degli elementi allo stato basilare, non industrializzato e la componente di dialogo e le dinamiche con l’altro.
-RITUALE- Quando entro in studio come prima cosa faccio ordine, creo spazio, poi mi concentro lascio tutto fuori e ascolto quello che emerge da dentro, mi piace il silenzio e il rumore del fare.
Da anni pratico yoga e credo che sia molto affine a quello che faccio, l’ascolto, l’equilibrio, la calma interiore, il muoversi con fluidità il far emergere quello che spesso è chiuso nel profondo. Lasciare che il corpo parli che le mani siano libere di fare perché in loro c’è memoria…e poi il tempo che si deposita, che lascia traccia, che è scandito dal ritmo del fare sempre dall’inizio, preparare la tela, tenderla, mettere la colla, attendere che asciughi, carteggiare, ridare un’altra mano, gesti semplici ma ricchi di energia e di sapere.
Preparare i colori, preparare le cere, ritornare sempre a una dimensione iniziale.
Tutto il processo è teso verso il far emergere, operazioni precise, conosciute, che generano altro, quindi il fare lascia lo spazio al manifestarsi, una sorta di alchimia.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte è per me una sorta di possibilità di conoscenza, non esiste una sola verità e l’essere umano, artista, indaga il proprio punto di vista donandolo agli altri così che possa essere condiviso. Questo porta a una considerazione, l’Arte è apertura, fa scattare un interesse a chi ne fruisce, che porta l’altro ad aprirsi al nuovo, a conferma del proprio sentire, alle volte invece in netto contrasto con i propri pensieri.
Solo chi si approccerà in modo curioso potrà trarne qualcosa.
Quando penso alla prima forma d’arte, la mente mi porta agli uomini primitivi e subito è chiaro che l’uomo ha sempre avuto la necessità di esprimersi e di condividere, quindi sì, l’arte a tutti gli effetti è una forma di condivisione e quindi genera società.
Io ho fatto studi artistici, dal liceo all’accademia di Belle arti, e ho avuto la fortuna di studiare e conoscere artisti che utilizzavano vari mezzi espressivi, sono sempre rimasta molto attratta da chi ha avuto la capacità di tendere l’arte non ad una espressione personale (anche se come ho detto prima poi è comunque condivisa), ma da chi usa il mezzo artistico come strumento o canale per fare emergere il collettivo.
Da qui figure come Maria Lai, Michelangelo Pistoletto sono per me fonte di ispirazione, per la generosità con la quale mettono a servizio degli altri la propria arte.
Il lavoro verte sulla capacità di pensiero, conoscenza, progettazione, coinvolgimento e soprattutto per l’entrata in gioco della gente, che con il proprio intervento da il senso dell’opera che non esisterebbe senza l’ALTRO.
L’artista ne tira le redini, è un abile direttore d’orchestra e tutti i partecipanti ne danno il proprio e personale contributo, egli lascia quindi aperta anche la possibilità all’imprevisto e al non conosciuto.
Questa è una dimensione, il non conosciuto, che spaventa, ma è indagandolo e imparare ad accettarlo che ci permette di affrontare il nuovo, il diverso e quindi aprirsi ai cambiamenti sia personali che sociali.
Quindi l’arte apre gli occhi, da modo di fare esperienza e quindi di conoscenza, permette l’errore anzi lo trasforma in azione positiva.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Di progetti ce ne sono molti, diciamo che la mia ricerca continua sempre alimentata dagli stimoli quotidiani.
Attraverso l’arte e i laboratori esperienziali che propongo alle scuole e negli spazi pubblici, divulgo l’arte, la conoscenza della bellezza il senso del fare, il sentire attraverso le emozioni e quindi induco alla ricerca di se, questo è uno stimolo che mi tiene viva, sempre alla ricerca di nuove modalità di comunicazione.
In oltre faccio parte di un gruppo di lavoro che sviluppa e divulga mostre d’arte contemporanea sul territorio dove abito, grazie al prezioso contributo del comune, un modo per aprire a giovani artisti e curatori e fare rete sul territorio.
Resta sempre viva la mia ricerca che in questo periodo vede il segno e la cianotipia come mezzo di espressione e che prende forma in illustrazioni che sto realizzando in collaborazione con i concorsi letterari indetti da “ 7parole”, altro stimolo di ricerca creativa al quale non ho saputo resistere.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Sicuramente considerando l’arte un bene prezioso per le persone, e individuando chi ricopre queste figure sul proprio territorio.
Creare delle sinergie tra comuni e scuole specializzate così da fornire possibilità espressiva e approcci di lavoro, così da individuare dei luoghi dove far si che queste realtà si incontrino e generino dialogo, conoscenza e ricerca. I giovani hanno bisogno di luoghi con contenuti dove sentirsi liberi di esprimersi e ricercare e le istituzioni hanno il dovere di dare spazi in cui l’essere umano può crescere e misurarsi con sé e con i sui simili.

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