14 novembre 2022

exibart prize incontra Elisa Cella

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I miei lavori di tipo scientifico di solito hanno una triplice valenza: ad una prima osservazione possono sembrare astratti e geometrici, essendo tutti realizzati a cerchi, ad un secondo livello hanno una connessione con la biologia e più in profondità rimandano a problemi o considerazioni filosofiche.

Elisa Cella

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Mentre studiavo matematica all’università, in un periodo di crisi esistenziale, ho iniziato a disegnare a cerchi su carta. Passavo anche dieci-dodici ore a disegnare, e da subito il lavoro si è strutturato in due ambiti diversi che ho chiamato rispettivamente Topologia Sensoriale e Complementare. I lavori appartenenti al primo ambito erano corpi sezionati in cui rappresentavo la percezione delle emozioni, mentre i lavori appartenenti al secondo gruppo erano di ispirazione scientifica. All’inizio era preponderante il primo gruppo di lavori, adesso realizzo quasi solo lavori del secondo gruppo. I colori al principio erano quasi esclusivamente inchiostro nero sul fondo bianco della carta. Dopo un po’ ho sentito l’esigenza di utilizzare i colori e successivamente di intervenire anche sullo sfondo: ho quindi iniziato a lavorare su tela ad acrilico e poi anche ad olio. Ho realizzato dei video in Flash in cui animavo delle amebe pallino per pallino. Ho realizzato due video con attori per completare i lavori sull’ansia. Qualche anno fa, per una collettiva mi è stata chiesta un’installazione: ho preso delle rondelle ed ho realizzato un’embrione a pavimento. Da lì sono passata a pensare a come abitare lo spazio in maniera differente ed ho realizzato delle sculture in ferro tagliato al laser, da appendere a muro o al soffitto giocando anche con le ombre ed altre a tubi, tagliati, saldati e verniciati. Ho utilizzato anche il Plexiglas. Ho poi iniziato a far verniciare anche il ferro tagliato al laser, dietro suggerimento della mia gallerista. Nel frattempo ho continuato a dipingere e disegnare. Quasi da subito ho iniziato ad esporre in spazi pubblici e privati.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

I miei lavori di tipo scientifico di solito hanno una triplice valenza: ad una prima osservazione possono sembrare astratti e geometrici, essendo tutti realizzati a cerchi, ad un secondo livello hanno una connessione con la biologia e più in profondità rimandano a problemi o considerazioni filosofiche. Ad esempio i lavori su una cellula che si duplica, rimandano alle domande: cos’è la vita? Come definiamo la vita? Cosa percepiamo come vivo? Domande semplici con risposte mai esaustive e che rimandano ai sistemi culturali di riferimento. L’ultima serie di lavori, che si chiama Microbiota, parte dalla consapevolezza che siamo immersi in un mondo in cui le specie dominanti per quantità, pervasività emassa sono i microrganismi. Sono presenti in qualunque ambiente e fuori e dentro di noi. Nel tempo hanno contribuito a cambiare il clima e la composizione dell’atmosfera. Sono all’origine della vita. Alcuni sono nocivi, alcuni sono benefici, la maggior parte non interagiscono direttamente con gli esseri umani. Noi ne conosciamo solo una parte infinitesima, soprattutto quelli con cui interagiamo. Al microscopio sono di una bellezza aliena e misteriosa. Guardiamo alcuni di questi esseri, che ci fanno ammalare di malattie terribili, e sono stupendi. Già da tempo volevo trarne ispirazione per una serie di lavori e con la pandemia questa spinta è diventata urgenza. Sono partita dalle foto, le ho ingrandite, colorate, reinterpretate a mio modo. Sono batteri, alghe ed ovviamente virus. Ho realizzato tantissimi disegni ed una serie di sculture quasi bidimensionali di ferro tagliato al laser e verniciato e ho iniziato a dipingere i quadri. Ho anche realizzato un libro d’artista a tiratura limitata con i disegni di questa serie. Spesso mi viene chiesto perché lavoro a cerchi; oramai sono più di vent’anni. Non esiste un vero motivo per cui ho iniziato se non la follia, l’ossessione. Inanellare i pensieri e dare loro una nuova forma e potenza. Ci sono poi una serie di considerazioni che si collegano: quando non sappiamo che forma abbia un oggetto o quando non è importante, lo disegniamo come un cerchio, in matematica è una figura che compare in continuazione, per i neonati è la prima figura che riconoscono e verso cui sono attratti, viviamo in un pianeta, con un sole ed una luna sferici, la materia che ci circonda è solo all’apparenza qualcosa di continuo, ma in realtà è formata da molecole ed atomi, etc.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Non penso che gli artisti abbiano uno scopo sociale se non quello di fare sinceramente e profondamente arte, la loro arte. Quando l’arte si mette al servizio di qualcos’altro in maniera posticcia, di solito non funziona. Gli artisti però risuonano del tempo in cui vivono, quindi più profondamente lavorano con quello che è il loro mondo, più probabilmente diranno qualcosa che potrà far riflettere gli altri. Le spinte al cambiamento in una società sono questioni complesse, di cui anche l’arte egli artisti fanno parte. Ovviamente se il mondo di cui si nutre un artista ha una valenza politica o sociale, il suo lavoro sarà più o meno brutalmente politico o sociale, come ad esempio il lavoro di Regina José Galindo.
Trovo però pericoloso mettersi al servizio di una causa perché è di moda, perché il lavoro diventa finto.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

In questo momento è in corso una mia personale alla Galleria Villa Contemporanea di Monza, che durerà fino al 30 novembre, che si intitola MICROBIOTA, un ampliamento dell’esperienza sensoriale, con un testo di Luca Panaro, con le sculture della serie. E’ uscito un mio libro d’artista con alcuni disegni della stessa serie che presenteremo in galleria il 12 novembre e che sarà nel circuito Chippendale Studio, frutto della mia partecipazione ad un workshop di Luca Panaro.
Sono artista finalista all’Arteam Cup e parteciperò alla mostra al Palazzo del Commissario ed alla Fortezza del Priama a Savona dal 26 novembre al 7 gennaio. Dal 17 novembre al 15 gennaio parteciperò ad Under The Bridge, che fa parte delle mostre del Binario 7 Arte a Monza, a cura di Simona Bartolena ed Armando Fettolini. Proseguiranno le mostre e le presentazioni di Real Art #6, in cui sono presente: ogni numero della rivista propone quattordici artisti, con un intervento digitale stampato ed uno originale ed il ricavato della vendita viene dato in beneficienza.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Se ogni paese ed ogni città avesse uno spazio espositivo per l’arte contemporanea, con una guardiania, ed un preciso progetto curatoriale, sarebbe meraviglioso. Penso che ogni paese e città dovrebbe pensare che avere progetti di arte contemporanea validi sul proprio territorio è una ricchezza per cui ha senso affidarsi a persone competenti che formulino progetti di qualità. In Italia ci sono tanti spazi pubblici: alcuni tenuti chiusi, altri che espongono di tutto un po’, oppure ci sono le grandi mostre. Per fortuna ci sono le eccezioni.
Le istituzioni potrebbero dialogare con le gallerie e creare sinergie, con lo scopo di diffondere la cultura. L’arte contemporanea dovrebbe essere qualcosa che permea di più la vita delle persone e che non rimane qualcosa percepito come inaccessibile e lontano per la maggior parte di esse. Mi capita di parlare con tante persone il cui sguardo si svuota quando dico arte contemporanea, mentre se dico musica, cinema, libri o teatro non succede. La scuola dovrebbe insegnare arte nei vari cicli scolastici ed arte contemporanea almeno l’ultimo anno delle superiori e magari portare gli studenti
a vedere una mostra all’anno. E devo anche dire che arte e investimento dovrebbero essere due categorie meno associate. L’arte dovrebbe essere piacere, allargamento della mente, ginnastica intellettuale, mistero, nuove prospettive, metafora, capovolgimento, qualcosa che ci coinvolge nel profondo…

 

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