28 settembre 2022

exibart prize incontra Giorgio Gerardi

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Negli ultimi anni mi sono concentrato su alcuni soggetti: nuvole, foglie, dettagli dell'ambiente che mi circonda, oggetti di uso quotidiano.

Giorgio Gerardi

 

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Intorno all’età di vent’anni, mi sono avvicinato allo studio della Storia dell’Arte, da autodidatta, e ho iniziato una mia ricerca fotografica personale, sempre da autodidatta. Mi hanno affascinato le Avanguardie artistiche di fine Ottocento e inizio Novecento, le correnti del Minimalismo e quella dell’Arte Concettuale.
Tutti questi fenomeni artistici mi hanno attratto soprattutto perché focalizzati sull’analisi del mezzo visivo, piuttosto che sulla messa in scena della realtà e della sua rappresentazione, come invece ci aveva abituato la storia dell’Arte e della Fotografia.
In quegli anni mi sono concentrato su particolari architettonici e sulle luci al neon, e ho esposto le mie fotografie in mostre collettive e personali, in spazi pubblici e gallerie private.
Poi, avendo iniziato un’attività lavorativa, non ho più prodotto nulla, ma non è mai venuto meno l’interesse per l’immagine e per il mondo dell’immagine. Non ho più fatto nulla, se non sporadicamente e solo per me stesso.
Quattro anni fa ho ricominciato a prendere in mano in modo costante la macchina fotografica, una Canon Eos 550D che avevo regalato amia figlia e da allora non ho più smesso

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Negli ultimi anni mi sono concentrato su alcuni soggetti: nuvole, foglie, dettagli dell’ambiente che mi circonda, oggetti di uso quotidiano. Le nuvole sono un soggetto che mi ha sempre affascinato; sono un qualcosa che muta in continuazione, a ricordarci il continuo divenire della realtà. Sono un qualcosa che non ha forma propria, ma la modifica
attimo dopo attimo, in modi sempre diversi e irripetibili. Sono leggere, sfuggenti. Non le si può afferrare, non le si può toccare, rimangono un qualcosa di indefinito.
Nella maggior parte dei miei lavori Incomincio da una unica fotografia, e la rielaboro con programmi di grafica digitale, cercandone particolari che altrimenti si perderebbero nell’insieme della rappresentazione, e che poi ingrandisco (15.000 x 10.000 pixel, 300 dpi), poiché le immagini finali nascono per essere stampate in formato medio/grande, 150 per 100 cm.
Quindi, da un lato ripetizione, perché la fotografia originale è sempre la stessa, e dall’altro differenza, perché le immagini finali sono tutte diverse le une dalle altre.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Domanda difficile. Secondo me, se diciamo che l’arte può interagire con la società partiamo dal presupposto che l’arte sia “altra” rispetto alla società, viva in una sfera staccata rispetto al reale e se parliamo di arte che spinge al cambiamento ci avviciniamo ad un concetto di arte militante, sulla falsariga di alcune avanguardie (e non) del secolo scorso, un’arte “politica” che invii dei messaggi e che, alla fine, sia una forma di pubblicità di “qualcosa”. (nota: l’arte rimane sempre “politica” ed invia sempre dei messaggi). Penso che tutte le forme d’arte possano essere un forte strumento di riflessione; un’immagine, un video,
devono poter catturare lo spettatore, incollarlo anche per pochi secondi a ciò che vede, e deve al tempo stesso stupirlo e piacergli, anche se non risulta chiaro cosa sia e se abbia un significato. Anzi, penso proprio che la domanda “cosa vedo, cosa significa quello che vedo?” sia centrale nell’esperienza dello spettatore; può essere anche solo un lavoro inconscio. Quello che importa è che chi guarda venga portato al di fuori dagli schemi del quotidiano

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Continuare tutto il lavoro sperimentale fatto in questi ultimi anni, che mi ha permesso di partecipare a manifestazioni, anche online, e di pubblicare le mie immagini su riviste italiane ed estere.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Le istituzioni potrebbero mettere a disposizione degli spazi pubblici in cui poter creare e gestire mostre e manifestazioni. E comunque qualsiasi forma di agevolazione (o assistenza) troppo evidente comporterebbe il venir meno dell’indipendenza dell’artista.

 

 

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