10 gennaio 2023

exibart prize incontra Vincenzo Bartoli

di

Le discipline scientifiche filosofiche e sociali sono i logos che mi permettono l'aprirsi di inesplorati orizzonti mentali in senso concettuale ed esistenziale.

Vincenzo Bartoli

Qual è stato il tuo percorso artistico?

L’esperienza come consapevolezza che il mio futuro sarebbero state le arti visive, inizia
all’età di sedici anni, quando mi ero improvvisato come autodidatta a riprodurre fedelmente
opere ad olio dei grandi maestri del passato in particolare Rembrandt. Nel 1989 in
concomitanza agli studi classici liceali mi iscrivevo alla scuola libera del nudo presso
l’Accademia di Belle Arti a Roma iniziando così anche un percorso di conoscenza della
storia dell’arte. Sono gli anni del mio interesse per la metafisica di Giorgio De Chirico, dei
disegni surrealisti di Alfred Kubin, della filosofia presocratica in particolare Parmenide e gli
scritti psicoanalitici di Sigmund Freud. Nel 1994 la mia prima personale a Roma alla
galleria Vittoria in via Margutta 103 con esposte opere improntate alla tematica
esistenziale e stilizzate in forme non classiche ma dai colori emozionali. Gli anni
successivi saranno caratterizzati da esposizioni personali, per citarne alcune, alla gallerie
Deridad a Parigi, alla galleria della Tartaruga a Roma, alla Dane Soucces gallery a Londra,
alla Stellanholm gallery a New York, come anche partecipazioni a collettive, tra queste nel
2016 alla Triennale dell’Arte Moderna e Contemporanea presso il Palaexpo a Verona con
il conferimento di un premio di 10.000 € deciso dalla commissione esaminatrice presieduta
dal prof. Luca Beatrice ordinario di storia dell’arte a Torino per l’opera “ L’enigma di
Parmenide “. Dal 2015 collaboro come artista per la galleria DWY con sede a New York.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Le discipline scientifiche filosofiche e sociali sono i logos che mi permettono l’aprirsi di
inesplorati orizzonti mentali in senso concettuale ed esistenziale, nascenti da attimi
conoscitivi, stati d’animo, intuizioni scaturite da un modo di essere meditativo
contemplativo della coscienza.
Riguardo al mio rapporto con l’arte, come artista poliedrico perseguo una cifra stilistica e
tematica che può cambiare velocemente in ragione di una volontà creativa improntata
all’attimo della necessità. Insomma un nomade di ogni spostamento simbolico e semantico
necessario come sviluppo espressivo.
Riguardo all’opera realizzata, sono indagini legate al concetto d’identità e la sua funzione
di autocoscienza in rapporto alla società, così come avveniva nella Grecia antica quando
agli artisti veniva commissionata “una tragedia” dove l’opera specchiava l’idea del
cambiamento che l’individuo doveva avere in quella società, allo stesso modo nella realtà
contemporanea, con l’opera che acquisisce il valore di uno specchio vuoto che restituisce
come “metafora” visioni, suggestioni, profezie con cui lo spettatore deve potersi
specchiare e usarla come strumento archetipo. Insomma più che l’artista, è lo spettatore la
verità nello specchio, che è l’opera.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte consente di umanizzare le relazioni sociali, di renderci partecipi tra i popoli e
sviluppare intellettualmente le connessioni con la realtà che ci circonda. L’arte indirizza il
nostro Io ad esplorare la nostra parte creativa, sviluppando il nostro potenziale emotivo e
la nostra auto-conoscenza, facilitando così l’espressione e la comunicazione. L’arte se –
compresa ed accolta nella propria vita – ci dà speranza, ci fa sognare, ci emoziona, ci fa
entrare in contatto con qualcosa di estraneo a noi spronandoci a crescere, ad approfondire
la conoscenza e il sapere, a farci riflettere, a fornirci un linguaggio universale per
comunicare e quindi renderci migliori al servizio del bene comune.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Attualmente collaboro per contratto con una galleria di New York – dwyartgallery.com –
tuttavia questo non mi limita a continuare a crescere tessendo una sempre più grande rete
di relazioni in ambito culturale con gallerie o enti artistici. Riguardo i programmi per il 2023
sono degne di rilevanza alcune personali a Roma tra queste alla galleria Emmeotto in
trattativa, un’altra è prevista a settembre a New York alla galleria DWY, nonché una
collettiva prevista a dicembre per la Triennale a Roma.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Sicuramente come prima cosa servirebbe un albo nazionale dei pittori e scultori e curatori
regolamentato dal Ministero della Cultura. Insomma un organismo statale che riconosce al
pittore, allo scultore, al curatore – ovviamente selezionato rigorosamente – una propria
qualità professionale di interesse culturale e pubblico alla pari delle altre istituzioni quali
sono gli architetti, gli ingegneri per fare un esempio. Sono convinto che i protagonisti di
questo mondo, in anni difficili ed entusiasmanti come gli attuali, abbiano bisogno sempre
di più di una rappresentanza autentica, capace cioè di difendere le proprie istanze, in una
realtà in cui lo Stato si interessi a creare uffici che si occupano seriamente di prospettive
specifiche che riguardano l’arte e non demandarlo ai musei pubblici per le abituali
esposizioni per i soliti artisti che l’elitè riconosce, in un circolo vizioso con i restanti sempre
esclusi. Sono trent’anni che non si fa una realistica mappatura dell’arte italiana e degli
artisti professionisti, relegata invece al privato con tutte le discutibili conseguenze.

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