-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Fotografia come memento mori. Le inquietudini di Viviane Sassen in mostra alla Collezione Maramotti
Fotografia
Con This Body Made of Stardust, la Collezione Maramotti dedica un’ampia retrospettiva a una delle fotografe di moda che ha riscosso maggiormente l’attenzione del panorama internazionale negli ultimi anni. E lo fa inserendosi nel programma della ventesima edizione di Fotografia Europea, il festival diffuso di Reggio Emilia che quest’anno segna il traguardo della ventesima edizione con il titolo Avere Vent’anni. Protagonista della nuova mostra di Collezione Maramotti è Viviane Sassen, conosciuta nel settore della moda per i suoi scatti caratterizzati da un’attenzione a linee, colori, corpo e movimento capaci di dare vita a composizioni armoniose e magnetiche.

Nata nel 1972 ad Amsterdam, ha trascorso parte della sua infanzia in Kenya, un’esperienza che ha segnato in profondità il suo immaginario visivo e la sua sensibilità. Formatasi in Fashion Design e all’Università delle Arti di Utrecht, il suo lavoro ha iniziato a emergere negli anni Duemila attraverso collaborazioni di rilievo, con riviste come Vogue e Dazed e brand quali Miu Miu e Louis Vuitton. La sua entrata negli spazi di Maramotti, tuttavia, segna un’accurata ricognizione attorno alla parte artistica della sua ricerca, esplorando la sua pratica più sperimentale. Il percorso, che ospita oltre cinquanta fotografie, un’opera video e vari lavori realizzati appositamente per questa occasione, raccoglie vent’anni di produzione, dal 2005 a oggi.

Un’occasione, per Sassen, per confrontarsi anche con la Collezione stessa: al centro delle sale sono collocati i lavori di Evgeny Antufiev, Kaarina Kaikkonen, Fabrizio Prevedello e TARWUK, selezionati personalmente dall’artista per affinità elettiva e per la capacità di porsi in dialogo con la sua pratica eclettica. Se il punto di partenza di Viviane Sassen è, infatti, la fotografia, quello di arrivo è un mescolarsi senza soluzione di continuità di media diversi, in cui l’immagine fotografica viene sovrastata dall’intervento pittorico, smembrata dal collage, ripensata nel video. Delle atmosfere eleganti proprie dei suoi scatti di moda non resta che una traccia, sommersa da una ricerca complessa e stratificata. This Body Made of Stardust, infatti, ben lontana dall’essere una mostra edificante, rivela il lato più crudo di un’ossessione, quella del memento mori che si cela sottilmente in ogni dettaglio della sua opera.

La morte entra così in ogni anfratto della vita, divenendo bellezza e il suo contrario, plasmando tanto la luce quanto l’ombra dell’esistenza. Lo si vede in opere come Three kings (revisited) del 2018, in cui tre salme distese a terra brillano al sole grazie alla coperta termica dorata che li avvolge; oppure in Belladonna (2010), dove un bianco lenzuolo accoglie, disegnando un composto panneggio, quello che pare il corpo abbandonato di una giovane il cui volto è però celato dalla stessa stoffa; in Inhale (2019) un candido sudario torna a coprire il corpo di una donna, da cui spunta solo il volto, ancora una volta celato da foglie morte che le si posano sugli occhi e sulla bocca; lo stesso approccio si ritrova in Hannibal (2019), il ritratto di una scultura (ma possiamo intuirlo soltanto grazie al piedistallo su cui poggia, appena visibile nello scatto) avviluppata in un involucro e chiusa da corde.

La stratificazione ambigua di rimandi e sensazioni segna la cifra di questa mostra: la continua sottrazione dell’identità al suo soggetto – sia che si tratti di persone, animali o oggetti – e la sublimazione astratta dell’immagine attraverso l’intervento pittorico dell’artista, innescano un sentimento di sgomento e angoscia che si insinua sottilmente, sala dopo sala, nella percezione dello spettatore. Una sensazione che raggiunge il punto più brutale nella serie Cadavre Exquis, di cui sono disseminati diversi esemplari nel percorso: collage, come suggerisce il titolo, di parti del corpo e elementi vegetali, assemblati tra loro per ottenere bizzarre e inquietanti creature. A renderne più crudo l’aspetto, tuttavia, è il contatto diretto con la parete, a cui sono affisse tramite chiodi. Una serie che trova eco ancora maggiore attraverso il confronto con le opere scelte dall’artista, come la scultura KLOSKLAS_74HRz.kkot di TARWUK, inquietante e misteriosa figura da cui si riesce appena a scorgere un volto, realizzata con resina, cera, poliuretano espanso, corda, legno e altri materiali assemblati.

Con This Body Made of Stardust Viviane Sassen segna anche una riflessione sulla fotografia stessa: «È proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo», sosteneva la filosofa Susan Sontag. «Il tema della morte in Viviane Sassen è meno una rappresentazione e più una condizione della fotografia stessa», scrive il critico Marco Scotini nel saggio intitolato Tanatografia paradossale, contenuto all’interno del catalogo della mostra. «Non è che la fotografia produce una temporalità immobile e interminabile, rispetto allo scorrimento del tempo e alla continuità dello spazio? Non è che essa provoca un arresto sull’immagine, mettendo in gioco un’altra temporalità che è quella “fuori tempo della morte”?».
La personale della fotografa olandese pone quindi una serie di interrogativi tanto perturbanti quanto risolti negli esiti visivi. E affronta il tema della morte non tanto nella sua diretta rappresentazione, bensì nel suo quotidiano manifestarsi, nelle pieghe dell’esistenza.