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Other Identity #149, altre forme di identità culturali e pubbliche: Manfredi Prestigiacomo
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Manfredi Prestigiacomo.

Other Identity: Manfredi Prestigiacomo
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«La storia crea il fotografo, ogni avvenimento positivo o negativo forma la propria personale visione. L’arte è creare un profilo fotografico riconducibile al singolo individuo».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Non sento di avere una vera identità all’interno dell’arte e forse è proprio questa la mia identità, il mio approccio lo definisco semplice essenziale senza troppe sfaccettature. Nel corso degli anni ho cercato di limitarmi evitando di concentrarmi troppo sull’attrezzatura da utilizzare o da quale obbiettivo usare per la mia fotografia. Ho eliminato tutte quelle scelte che in qualche modo potessero distrarmi dal semplice processo creativo. Immagina che io ti chieda di disegnare qualcosa. Di fronte a te un foglio bianco con accanto matite, penne, pennarelli, pennelli (…) la tua mente si concentrerebbe sul quale strumento usare, e non sul cosa disegnare. Adesso immagina la stessa situazione ma di fronte a te hai un foglio bianco e una matita, il primo pensiero sarebbe: cosa disegnare e non quale strumento usare».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Sfortunatamente nel periodo storico in cui ci troviamo la presenza sociale è essenziale per aumentare il proprio range di visualizzazioni, e ognuno di noi dovrà farci i conti. Io non sono mai stato bravo in questo. Mi definisco un osservatore esterno e questo si riflette nelle mie capacità sociali».

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Non mi sono mai posto questa domanda, la mia fotografia parla di avvenimenti storici o di condizioni reali non amo la fotografia da me definita poetica, quindi ogni momento è unico nella sua essenza e irriproducibile».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Non mi definisco un artista, mi definisco una persona con un’interiorità profonda e per questo utilizzo uno strumento definito artistico, per esprimere degli aspetti che non sono comunicabili con altri sensi o media».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Non vorrei essere nessuno se non ciò che sono. Accettarsi è anch’esso un processo in qualche modo creativo. Trovare nei propri difetti un ordine che renda unica la tua persona. In qualche modo l’arte parte anche da lì».

Biografia
Manfredi Prestigiacomo è un fotografo documentarista con sede a Milano. Ha formato il suo sguardo tra Londra, Milano e la Sicilia dove è nato, luogo di cui lui non ha mai sentito di farne veramente parte. La fotografia è sempre stato il motore che l’ha portato in luoghi che noi considereremmo pericolosi come L’Ucraina. La prima esperienza che l’ha fatto innamorare della fotografia giornalistica o vera come lui la definisce, «Una o più immagini che raccontano una storia di valenza storica, politica (…)».
