26 ottobre 2020

Se l’opera non è autentica: il caso del (falso) Boetti venduto da Telemarket

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Come comportarsi quando l'opera che abbiamo acquistato, a posteriori, risulta non autentica? Come ottenere il risarcimento del danno? Una vicenda giudiziaria viene in nostro aiuto

Alighiero Boetti
Alighiero Boetti

La vicenda giudiziaria che segue è molto istruttiva sotto diversi profili: ci insegna cosa si deve fare quando si acquista un’opera d’arte; individua i termini per contestare la non autenticità di un’opera che credevamo di comprare come autentica; ci indica in base a quali criteri i Giudici stabiliscono se un’opera è autentica o non lo è; ci fa capire che, oltre alla restituzione del prezzo e ai relativi interessi, possiamo ottenere anche il risarcimento del danno e come lo stesso vada calcolato. Lo scopre a sue spese il Signor G.G dopo aver realizzato che quell’arazzo acquistato da Telemarket, attribuito ad Alighiero Boetti, è in realtà un falso…

La vicenda: dal 1994 a oggi

In data 1.12.1994 il Signor G.G. acquista un arazzo di Alighiero Boetti da Telemarket Spa, che ne garantisce l’autenticità. Trascorsi quasi dieci anni, l’acquirente chiede all’Archivio Alighiero Boetti l’autenticazione dell’opera. La richiesta viene evasa in data 6.12.2004, ma la notizia è pessima: l’arazzo non è autentico. Tra l’acquisto e la scoperta della non autenticità, quindi, sono trascorsi dieci anni e cinque giorni; circostanza questa, come vedremo, di assoluto rilievo. Ma proseguiamo con i fatti. Il Signor G.G., a questo punto, scrive a Telemarket Spa: vuole la restituzione del prezzo dell’opera, nonché gli interessi nel frattempo maturati e il risarcimento del danno. In data 10.1.2015 l’ufficio vendite di Telemarket Spa – sostiene il collezionista – invia una lettera di riscontro con la quale riconosce la falsità dell’opera venduta al signor G.G. e, con questa, il proprio obbligo di restituzione del prezzo.

Tuttavia, la corrispondenza tra le parti rimane senza seguito. Il Signor G.G., allora, cita Telemarket Spa avanti al Tribunale di Genova, chiedendo quanto segue: la risoluzione del contratto d’acquisto dell’arazzo di Boetti per inadempimento del venditore; la condanna di quest’ultimo alla restituzione del prezzo pagato (all’epoca pari a 2.414,44 euro) oltre agli interessi; il risarcimento del danno, pari al superiore valore nel frattempo acquisito sul mercato dall’opera; il rimborso delle spese di autenticazione e legali. Si costituisce in giudizio Telemarket Spa che eccepisce: la prescrizione del diritto del collezionista, dal momento che sono trascorsi più di dieci anni tra l’acquisto del Boetti e la prima richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno; che la lettera dell’ufficio vendite, in realtà, non contiene il riconoscimento della falsità dell’arazzo nè l’impegno a restituirne il prezzo; in ogni caso, la missiva in questione non obbliga Telemarket Spa in quanto non proviene dal legale rappresentante della stessa, unico organo legittimato a rappresentarla.

Il Tribunale di Genova decide con sentenza del 30.7.2009. Le domande del Signor G.G. vengono accolte e Telemarket Spa è condannata a restituire il prezzo pagato per l’opera di Boetti (€ 2.414,44), e con questo gli interessi e il risarcimento del danno, quantificato nel 2004 in euro 14.334,85. Il giudice di primo grado stabilisce inoltre che la lettera del 10.1.2005 dell’ufficio vendite riconosce la falsità dell’arazzo e vale, pertanto, come rinuncia all’eccezione di prescrizione decennale del diritto fatto valere dall’acquirente. In altre parole, il giudice riconosce che l’acquirente avrebbe dovuto promuovere la causa o interrompere il decorso della prescrizione prima di dieci anni; ma, posto che Telemarket Spa non ha eccepito la prescrizione decennale del diritto in questione nel suo primo scritto e, anzi, ha rinunciato con la lettera del 10.1.2005 a far valere l’eccezione, il collezionista vince la causa.

Ricorre in appello Telemarket Spa, ma le domande del Signor G.G. trovano ancora conferma. Mutano però le ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione. Il secondo giudice afferma infatti che la prescrizione decennale del diritto dell’acquirente decorreva dalla scoperta della falsità dell’arazzo (6.12.2004) e non dal giorno della stipula del contratto (1.12.1994); inoltre, sempre secondo il secondo giudice, la lettera del 10.1.2005 non era vincolante, in quanto proveniva dall’ufficio vendite e non dal legale rappresentante della società venditrice. La falsità dell’opera, poi, non è affermata sulla scorta della lettera sopra indicata, ma in forza dell’autorevolezza dell’Archivio Alighiero Boetti che aveva “periziato” l’arazzo. Circa la quantificazione del danno, infine, è stata confermata la consulenza tecnica d’ufficio di primo grado, che aveva valutato l’incremento di valore ottenuto dall’opera tra il 1995 e il 2005 in base a una ricerca nell’archivio internazionale di arte contemporanea, con riferimento ai risultati d’asta pubblicati nel periodo considerato.

Cassazione Civile, sezione II. (Udienza 29.11.2017) 25.01.2018, n. 1889

Telemarket Spa ricorre anche contro la sentenza della Corte d’Appello di Genova. Si pronuncia quindi la Corte di Cassazione con sentenza del 25.1.2018, confermando il principio secondo cui la non autenticità di un’opera garantita come autentica dà diritto alla risoluzione del contratto per vendita di aliud pro alio (d’una cosa invece d’un’altra), oltre che al risarcimento del danno e alla restituzione del prezzo. Circa la quantificazione del risarcimento – conferma la Cassazione – esso è pari alla plusvalenza eventualmente conseguita dall’opera nel mercato a partire dall’acquisto fino al momento della liquidazione del danno. Solo le eventuali difficoltà nel quantificare tale plusvalenza (ad esempio la mancanza di aste) giustifica una liquidazione del danno in termini equitativi.

Afferma però la Corte di Cassazione che la prescrizione decennale del diritto dell’acquirente alla risoluzione decorre dalla stipula del contratto e non dalla scoperta (intesa come acquisizione della conoscenza soggettiva) della falsità dell’opera; e ciò in base all’espressione usata nell’articolo 2935 del codice civile, secondo la quale «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, per la parte, di realizzare il proprio diritto». In altre parole, nel momento in cui il fatto lesivo sia direttamente (e non soggettivamente) percepibile e riconoscibile. Infatti, aggiunge la Cassazione, la conoscenza soggettiva potrebbe essere anche colpevolmente ritardata per incuria del medesimo titolare del diritto.

La Corte di Cassazione – alla quale non è dato di giudicare sui fatti, ma solo su questioni giuridiche – ha quindi annullato la sentenza della Corte d’Appello di Genova, rinviando ad altra sezione della stessa perché sia verificato se la sopracitata lettera del 10.1.2005 contenga la rinuncia alla prescrizione da parte della venditrice. Infatti, se l’interessato (nel caso concreto Telemarket Spa) nel primo scritto successivo alla richiesta civilistica avesse manifestato la volontà di non avvalersi della prescrizione, sarebbe poi decaduta dal far valere tale diritto in giudizio. Concludendo, se la Corte d’Appello, in sede di rinvio, ritenesse la lettera di Telemarket quale rinuncia alla prescrizione, la causa sarebbe vinta dal collezionista; in caso contrario, invece, sarebbe il venditore a vincere. Telemarket Spa nel frattempo è fallita e non mi risulta che la Corte d’Appello di Genova si sia ancora pronunciata in sede di rinvio.

Alcune considerazioni: certificati di autenticità e tempismo

Ovvio suggerimento è che il collezionista svolga un’approfondita ricerca sull’autenticità dell’opera prima ancora di acquistarla (come insegnano le vendite di falsi che proliferano in tutto il mondo). In ogni caso, se la non autenticità della stessa opera dovesse emergere solo successivamente, si sappia che occorre agire prima che siano decorsi dieci anni dalla data dell’acquisto. Attenzione inoltre anche al documento contenente l’archiviazione dell’opera e l’autentica: ne ho visti alcuni su carta bianca con intestazioni stampate a computer e firmati meramente con sigle incomprensibili (assimilabili a scarabocchi) che non consentono di essere ricondotti a una persona fisica, né tantomeno di identificare il ruolo di quest’ultima all’interno dell’archivio.

 

 

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