13 aprile 2025

Acacia. L’intervento artistico di Marco Maria Zanin presso il Palazzo dei Musei a Reggio Emilia

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Incontro, memoria, assenza: i temi che stanno a fondamento della nuova mostra di Marco Maria Zanin, che ai musei Civici di Reggio Emilia, fino al prossimo 27 luglio, si intrecciano con l’arte contemporanea, l’archeologia, l’antropologia

Marco Maria Zanin, Acacia. Installation view. Museo ‘Gaetano Chierici’ di Paletnologia, Palazzo dei Musei, Reggio Emilia 2025. Ph. Alberto Sinigaglia

Se si ha voglia di riscoprire il sentimento intimo dell’arte, di mettersi scomodi e di usufruire del museo non come un prodotto di consumo ma come pretesto per approfondire se stessi e il complesso universo che abitiamo, allora si deve senza dubbio accettare l’invito dei Musei Civici di Reggio Emilia, dove è stata appena inaugurata una mostra silenziosa, tanto delicata quanto potente: Acacia, sostenuta dal PAC2024 – Piano per l’Arte Contemporanea e promossa dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Acacia è la gemma mai sbocciata, ἀκακία è l’innocenza, è il rullo di seta e polvere tenuto dagli imperatori bizantini come simbolo della natura mortale degli uomini, ma soprattutto è il nome che l’artista Marco Maria Zanin dona affettuosamente alla sorella gemella mai nata e per la quale dà vita alla collezione in mostra. Le opere riflettono una poetica sfaccettata e preziosa, accurata e coerente, che riesce a toccare corde profonde, intime e personali, affrontando un tema tanto universale come l’assenza.

Se è vero che ciò che si perde è sempre unico, il sentimento della perdita accomuna il genere umano tutto e vedere come l’arte possa essere un mezzo trasfromativo in grado di dare corpo al vuoto lasciato da una separazione, è una speranza per chi ha sofferto, è un balsamo da spalmare sulle ferite. Acacia è dunque un percorso di memoria che conduce, attraverso il trauma della perdita, a una sublimazione del dolore in poesia.  

Marco Maria Zanin, Acacia. Installation view. Museo ‘Gaetano Chierici’ di Paletnologia, Palazzo dei Musei, Reggio Emilia 2025. Ph. Alberto Sinigaglia

Alla delicata e potente poetica che ha mosso la realizzazione del metaforico corredo funebre di Acacia, si affianca un allestimento all’avanguardia – a cura di Irene Biolchini, Alessandro Gazzotti e Giada Pellegrini conscio delle piu recenti riflessioni della Museologia contemporanea. Le opere infatti si mescolano alla collezione permanente, quasi nascondendosi tra i reperti della collezione Gaetano Chierici, rincorrendosi in un gioco di richiami e rimandi che non lascia lo spettatore passivo in contemplazione auratica, ma lo spinge ad essere attivo nella ricerca e di conseguenza, nella riflessione. Il contemporaneo viene così utilizzato non come periodizzazione di un epoca ma, come suggerisce l’autrice di “Museologia radicale” Claire Bishop, come un metodo, una pratica, un modo di approcciarsi alle opere, potenzialmente applicabile a ogni periodo storico. “Bisogna setacciare il passato per rispondere alle domande del presente”, afferma la studiosa, fare un “balzo di tigre” nella storia, per una rielaborazione del presente che trasformi i musei da contenitori di tesori inviolabili e inviolati, in luoghi vivi, che favoriscono nuove letture e interpretazioni sia dell’attualità che del patrimonio culturale, il quale tutt’altro che morto, aspetta solo di essere ri-abitato.

Marco Maria Zanin, Acacia. Installation view. Museo ‘Gaetano Chierici’ di Paletnologia, Palazzo dei Musei, Reggio Emilia 2025. Ph. Alberto Sinigaglia

Tale incontro ha la potenza di generare una nuova linea spazio-temporale, un poetico ambiente anacronico dove il racconto personale si fonde con il racconto collettivo, colmando la frattura tra l’antico e il quotidiano, tra la morte dell’oggetto in teca e la vitalità dell’immaginario che genera, permettendo al cuore del genere umano di sincronizzarsi in un unico istante atemporale. In tutto il processo affiora una costante vena di gentilezza e di rispetto, un fare fraterno, capace di indossare mutevoli forme. Lo si può riconoscere, oltre che nelle scelte poetiche e in quelle allestitive, anche nella decisione di non sussumere l’operato degli artigiani, concretizzatasi nella presenza della doppia firma su ogni manufatto. 

Le opere infatti sono state realizzate da Zanin in collaborazione con gli artigiani Antonino Negri, Simone Crestani, l’atelier Giuditta Brozzetti con Alessia Galassi e Marta Cucchia e Tuorlo snc, svelando una concezione dell’arte che rifiuta l’immaginario dell’artista come genio isolato e dell’opera come merce, a favore di una concezione corale e relazionale del processo artistico: “un modo di combattere le solitudini” per citare le parole dell’artista stesso, e un’alternativa alla spietata competitività che caratterizza il nostro secolo.

Marco Maria Zanin, Acacia. Installation view. Museo ‘Gaetano Chierici’ di Paletnologia, Palazzo dei Musei, Reggio Emilia 2025. Ph. Alberto Sinigaglia

I manufatti in ceramica, riecheggiano le urne funerarie antiche, come corpi di memoria che evocano il lutto e custodiscono preziosamente il ricordo; le tessiture, tra cui spicca Cura e Sutura, evocano tramite la pratica stessa dell’intrecciare i fili, un immaginario di cura e collettività. Non meno intense le opere in bronzo, realizzate dalla fusione di disegni infantili e ornamenti archeologici, segni di un linguaggio ancora da pronunciare, tracce di un’infanzia sospesa e mai vissuta. 

Anche gli oggetti in vetro borosilicato soffiato, con la loro eleganza e fragilità, assumono una funzione catartica: diventano dispositivi di trasformazione del dolore, manifestazioni fisiche di un processo emotivo. A connettere il tutto le stampe ai sali d’argento ripercorrono il ciclo della vita e della perdita. Ripensando a questa mostra, le parole di Irene Biolchini non potrebbero non essere più calzanti: «Acacia è tutto ciò che abbiamo perso, ma anche tutto ciò che possiamo essere».

Marco Maria Zanin, Tuorlo snc. Segni ancora da pronunciare II, 2025. Bronzo fuso a cera persa, 0,5x12x18 cm. Ph. Alberto Sinigaglia

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