26 giugno 2022

Gianfranco Baruchello, Mark Dion, Joseph Cornell, Archiviare l’impossibile – Erica Ravenna

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Tre generazioni in dialogo: conoscenza, storia e memoria nella galleria romana Erica Ravenna con la mostra “Archiviare l’impossibile” di Baruchello, Dion e Cornell

Gianfranco Baruchello, Interiority Complex, 1966/1976. Photo credi Giorgio Benni

Fino al 12 luglio, negli spazi della galleria Erica Ravenna sarà in mostra “Archiviare l’impossibile”, un’esposizione con tre artisti nel tentativo di “descrivere il caos del mondo”. Attraverso le loro opere, Joseph Cornell, Gianfranco Baruchello e Mark Dion hanno svelato le potenzialità dei linguaggi dell’arte nell’esprimersi sui grandi temi della memoria, della storia e della conoscenza e, in maniera anche precorritrice, sul tema attualissimo dell’ecologia. A cura di Erica Ravenna, la mostra illustra l’opera dei tre artisti che, in un dialogo intergenerazionale, hanno sfidato il caos e l’ordine della conoscenza e della scienza umane, rivelando la capacità dell’arte di reinventare il mondo.

Realtà immaginifiche in scatola nella galleria Erica Ravenna

In “Archiviare l’impossibile” si scoprono fantasiosi insiemi di preziose minuzie. Le opere di Gianfranco Baruchello, Joseph Cornell e Mark Dion sono accomunate da diversi fattori, tra questi l’interesse nell’incasellare forme e parole in nuovi perimetri. Ogni artista disegna una piccola storia per parlare di cose grandi, ideando racconti inediti che generano nuove direzioni per il pensiero di chi guarda. Memori della lezione surrealista nel sezionare e riorganizzare secondo una logica arbitraria e personale, i loro lavori attraversano la storia di mezzo secolo e qualcosa in più. È Cornell il precedente più lontano nel tempo, in mostra nella galleria Erica Ravenna con una scatola degli anni Cinquanta.

Joseph Cornell, Senza Titolo, anni ’50. Photo Credit Giorgio Benni

“Shadow boxes”, “memory boxes”, “poetic theatres”: così l’artista americano definiva i suoi assemblages in scatole rettangolari perlopiù in legno, di diverse dimensioni, col fronte in vetro. Oltre lo schermo trasparente un ephemera a raccontare la curiosità dell’artista – come curiosità dell’uomo – nei confronti del mondo, con riferimenti alla scienza, alla natura e alla spiritualità. Poi, Gianfranco Baruchello prima e Mark Dion dopo anche loro a creare realtà immaginifiche in scatola: E credeva che il metadone fosse vitamina B (1978), L’altra casa (1979) e Between Voltaire and Poe (2016). Tanto cara a questi artisti, quanto riconducibile alla loro produzione, questa modalità di assemblages con scatole e oggetti rende effettivi nuovi modi di catalogare, alternative possibili alle categorizzazioni preimpostate.

Cornell, Baruchello e Dion: rimodulare la memoria per una nuova coscienza  

Con consapevolezze di diversa misura, Joseph Cornell, Gianfranco Baruchello e Mark Dion hanno scardinato delle logiche prestabilite per sconfinare oltre alcuni dei limiti che intercorrono nella relazione tra l’uomo e il mondo. Infatti, affianco ai temi della memoria, della conoscenza e della storia, in “Archiviare l’impossibile” emerge un collegamento degli artisti con la sfera ecologica, dove uomo, natura e ambiente sono interconnessi. In questo senso, trait d’union per i tre è l’attenzione rivolta agli animali e alla biodiversità, così evidente nei lavori di Mark Dion, nello specifico nei suoi cabinets o nelle sue tassonomie.

Variamente trattata, la classe dei volatili è presente nella produzione artistica di Cornell così come in quella di Dion (Les Oiseaux, 2020). Invece, la terra è protagonista in diversi lavori di Baruchello, Sweet Geology (1979) ne è un esempio. Nell’interfacciarsi con la storia della cultura, questi artisti hanno tracciato il sentiero per nuove idee mettendo in discussione le ideologie dominanti. A volte con uno spirito pseudo-ludico ma al contempo impegnato, un approccio a tratti dadaista e sempre con raffinatezza Cornell, Baruchello e Dion hanno saputo rimodulare la memoria per una nuova conoscenza.

 

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