08 aprile 2022

Il segno di Mario Sironi e la poetica del Novecento, alla Galleria Russo

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La Galleria Russo di Roma ospita una selezione di 70 opere del maestro sassanese, estrapolate dalle collezioni di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci, tra cui la famigerata cartella di disegni per il Popolo d’Italia

Paesaggio urbano 1922-1923 olio su cartone 45,5 x 60 cm Provenienza Collezione Margherita Sarfatti

La Galleria Russo celebra l’artista Mario Sironi con la mostra, “Mario Sironi. La poetica del Novecento. Opere dalle collezioni di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci”, curata da Fabio Benzi, in cui viene evidenziata la ricerca espressiva del maestro sassanese attraverso il filtro delle due grandi collezioniste del Novecento.

La galleria d’arte romana espone 70 opere di Sironi, dalle quali trapelano le personalità, le aspettative e i legami che per quasi tutta la loro vita hanno contraddistinto i rapporti tra le due donne e il pittore: l’una, Margherita Sarfatti, attenta e vorace collezionista delle opere di Mario Sironi, ne acquisterà centinaia, introducendolo nella compagine di artisti del movimento Novecento, da lei sostenuto e portato in mostra nel 1923. L’altra, Ada Catenacci Balzarotti, con la quale il pittore strinse una forte amicizia, acquisì, tra le altre opere, la nota cartella dei disegni – dall’esplicito contenuto politico – prodotti da Sironi per la rivista illustrata e la copertina del giornale Popolo d’Italia, adesione al Partito Nazionale Fascista e alla successiva Repubblica di Salò che nel secondo dopoguerra gli costò anni di efferato ostracismo intellettuale. Di questa famigerata cartella, tenuta nascosta dagli eredi della Catenacci fino al 2000, proprio per i contenuti delle immagini, sono esposti in mostra circa 40 fogli, oltre a una nutrita e varia presenza di opere grafiche derivanti da entrambe le collezioni private.

Mario Sironi, un artista poliedrico

La linguistica di Mario Sironi, ormai riconosciuto come uno degli artisti tra i più rappresentativi dell’arte italiana del XX secolo, è chiaramente indagata dal curatore e presentata nell’allestimento della mostra attraverso una mirata documentazione delle diverse fasi dello sviluppo artistico del maestro. La mostra si apre con una serie di opere, tutte eseguite tra il 1908 e la fine degli anni ’50, che, dalle prime ricerche divisioniste, condotte insieme a Gino Severini e Umberto Boccioni presso lo studio di Giacomo Balla, confluiscono nei successivi sviluppi futuristi; per poi arrivare alle gelide rappresentazioni delle desolanti periferie urbane, in quell’estrema sinossi di solitudine metafisica e tensione umana che di fatto contraddistingue il carattere più noto della produzione di Mario Sironi; concludendosi con gli ormai maturi tentativi di ripresa di una vigorosa plasticità affine al classicismo novecentista e alle ultime opere molto prossime all’Informale.

Mario Sironi, 1939

La retrospettiva proposta da Fabio Benzi alla Galleria Russo tratteggia così il carattere di un artista che non mancò di cimentarsi nella pittura tanto quanto nella scultura, nella grafica e nella scenografia, rendendosi partecipe e diretto fautore di quel rinnovamento artistico italiano che, indiscutibilmente, porta il segno della visione poetica e drammatica della società nella prima metà del Novecento.

Il segno grafico è il fulcro della ricerca sironiana

Una traccia forte all’impulso creativo del maestro sardo è fornita dalle illustrazioni e dalle opere grafiche, la cui presenza in mostra ha consentire allo stesso curatore di evidenziare la centralità del disegno nello sviluppo artistico di Mario Sironi. «In Sironi – afferma Benzi – il processo intellettuale rappresentato dal disegno, preliminare o autonomo non importa, assume un ruolo esponenziale rispetto a qualsiasi altro artista contemporaneo: la quantità straordinaria di opere di questo genere che realizzò nella sua vita, e il rovello tecnico che le permea, utilizzando senza soluzione di continuità ogni medium possibile (dalla matita al carboncino, dall’acquerello alla tempera, dal collage all’inchiostro), arrivando a sconfinare senza apparente trapasso nel quadro definitivo (e viceversa), costituisce un unicum che davvero lascia stupefatti per vastità, coerenza e sforzo progettuale».

Un impulso altrettanto marcato è percepibile nella trasposizione sulla tela di una sorta di ansia atavica con cui si consuma l’artista davanti alle continue, personali, interpretazioni dei risultati ottenuti negli ambienti artistici d’avanguardia. Una sperimentazione che per quasi dieci anni, dal 1934 al 1943, allontana Mario Sironi dalla pittura di cavalletto, per avvicinarlo all’architettura con le opere murali testimoniate dai bozzetti preparatori per il Palazzo dei Giornali. La Galleria Russo chiude il percorso espositivo di “Mario Sironi. La poetica del Novecento” con opere intrise di una pesante carica di disillusione per i risvolti della politica italiana e pessimismo esistenziale nei confronti della società, rimarcate evidentemente nelle ultime composizioni sironiane ormai prossime ai dettami dell’Informale.

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