-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’universo sfaccettato di Thomas Schütte invade Punta della Dogana
Mostre
di Zaira Carrer

Con l’avvicinarsi della Biennale Architettura 2025, anche le grandi fondazioni con sede a Venezia riaprono le proprie porte ai visitatori. Tra queste, la Pinault Collection inaugura due mostre di proporzioni monumentali, dedicate all’italo-francese Tatiana Trouvé (Cosenza, 1968) a Palazzo Grassi e al tedesco Thomas Schütte (Oldenburg, 1954) a Punta della Dogana. Come già accaduto lo scorso anno, con Pierre Huyghe e Julie Mehretu, la scelta ricade perciò su due grandi monografiche. Si tratta, è evidente, di un gesto curatoriale coraggioso: come riempire – o meglio, come attivare – spazi espositivi che, nel caso di Punta della Dogana, superano i 3.000 metri quadrati, senza soccombere alla ripetizione continua?
Eppure, nel caso di Genealogies, retrospettiva dedicata a Schütte, gli interventi espositivi iniziano ancor prima di varcare la soglia dell’edificio, con la Mutter Erde —la Madre Terra. Si tratta di un’imponente scultura in bronzo che ricorda, nella sua posa ieratica, un’antica dea, ma il cui aspetto ha origine, in realtà, in una statuina trovata in un dolcetto francese. Questo slittamento continuo tra aura e oggetto kitsch non è che il primo segnale di una poetica che problematizza ogni forma di monumentalità.

Questa pesante scultura ci introduce dunque ad un’esposizione che, come suggerisce il titolo, mira a tracciare delle genealogie concettuali e formali in un corpus di lavoro tanto variegato quanto quello di Schütte. Il risultato è una mostra che si oppone a qualsiasi narrazione con la stessa ostinazione con cui l’artista, nel corso di una carriera ormai decennale, ha attraversato tecniche, formati e media: dal minuscolo al monumentale, dall’architettura immaginaria all’acquerello, dalla scultura in vetro a quella in ceramica o in pasta modellabile.
A dimostrazione di questa versatilità è già la prima delle sale di Genealogies, fortemente connotata dai tre possenti Mann in Wind: sculture monumentali che sembrerebbero volersi muovere liberamente, ma non possono farlo, invischiate come sono nel loro basamento. Sono anti-eroi prigionieri della materia, che mettono in discussione la normale associazione tra scala, materiale e glorificazione. Nella stessa sala le DEKA Fahnen (1989) formano un repertorio di simboli che accompagnerà Schütte per tutto il suo percorso artistico: sono ampie bandiere colorate, in cui astrattismo e figurazione si susseguono e si fondono.

Le sperimentazioni di Schütte colpiscono però anche quando le dimensioni sono molto più ridotte, come nel caso di United Enemies, una serie di sculture che l’artista realizza a partire dagli anni Novanta. Si tratta di personaggi di piccole dimensioni, modellati di getto —ma con cura— in pasta Fimo. Appollaiati su bastoncini di legno e vestiti di ritagli di carta e tessuto, questi personaggi portano in sé una carica emotiva innegabile: cercano la libertà, ma non la trovano o accettano con rassegnazione la propria situazione. I volti perturbanti sono dimostrazione dell’attenzione che l’artista pone sul lessico delle espressioni e dei gesti, derivante da uno studio attento della realtà, ma anche dalla statuaria antica.
Gli United Enemies sono presentati a Punta della Dogana corredati da disegni su carta e accompagnati dalla scultura Memorial for the Unknown Artist. Se questi accostamenti hanno l’obiettivo di mettere in luce codici ricorrenti nell’alfabeto di Schütte e il punto d’origine nella dimensione intima del disegno, è anche vero che vista la loro carica emotiva questi lavori —come altri in mostra— sarebbero potuti essere apprezzati anche in un contesto più isolato.

Fra le opere presentate a Punta della Dogana vi sono infatti esemplari di qualità altissima, come nel caso degli Efficiency Men: tre sagome alte più di due metri dai volti in silicone colorati e traslucidi, che contrastano con la fragilità del loro “corpo” in ferro e con le coperte industriali che fungono da vestiti.
E poi ancora, bellissime sono le Eierköpfe —le teste d’uovo in ceramica smaltata— e i volti in vetro simili a maschere mortuarie che rivelano l’interesse da parte di Schütte per la rappresentazione di teste umane. Questo motivo, infatti, si riscontra in tutto il suo repertorio: anche quando il corpo e gli arti sono appena accennati, il capo delle sue sculture attira sempre la nostra attenzione.
Altro punto centrale nella sua ricerca è la rappresentazione femminile che si concretizza in possenti statue, volti di ceramica, lucidi corpi in alluminio e, in forma più astratta, nelle Weinende Frauen, una serie di fontane che rimandano a donne piangenti e che Schütte colloca nel punto d’incontro tra due muri.
Se, a tratti, questo continuo accostamento di materiali può indebolire l’intensità dell’insieme, in definitiva, Genealogies rimane una retrospettiva riuscita proprio perché riesce a trasmetterci la complessità e le mille sfaccettature del lavoro di Thomas Schütte, tracciandone le traiettorie senza mai addomesticarne le contraddizioni.

