21 maggio 2025

La grande mostra di David Hockney a Parigi ci porta dentro alla sua eterna primavera

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Fino al 30 agosto 2025 la Fondation Louis Vuitton ospita la grande mostra monografica dell’artista britannico, con oltre 400 opere che raccontano i momenti salienti degli ultimi 25 anni della sua pittura

Vue d'installation de l'exposition "David Hockney 25", galerie 2. David Hockney Bigger Trees near Warter or/ou Peinture sur le Motif pour le Nouvel Age Post-Photographique, 2007 Huile sur cinquante toiles 457,2 x 1219,2 cm ensemble Tate, Londres / London, don de l’artiste, 2008 Vue d'installation de l'exposition David Hockney 25, galerie 1, niveau -1, salle Retour dans le Yorkshire (1997-2013), exposition présentée du 9 avril au 31 août 2025 à la Fondation Louis Vuitton, Paris © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

C’è un tempo – che spesso è quello degli artisti – che potremmo definire tempo aggiunto. Il tempo aggiunto, più che un vero e proprio tempo, è una dimensione. Una sorta di alternativa alla realtà, circostanza che per coloro che abitano le idee spesso può risultare deludente, che porta con sé l’esprimersi della propria essenza con il privilegio dell’essere fuori dal tempo: rendendo metafisica chi lo vive, chi lo pratica, chi lo acciuffa.

Il tempo aggiunto è ben diverso dal tempo perso: ovvero, quel tempo che condanna ad obliare ogni azione costringendola alla condizione dell’irrilevanza. Ed è anche bel lontano dal tempo libero: cioè. quel tempo in cui il condannato alla creatività, in realtà, potrebbe non saper sempre bene cosa fare e come farlo fruttare, sentendosi per questo perduto in una libertà asfissiante poiché in realtà fitta di impalcature tendenti all’horror vacui. Il tempo aggiunto, invece, è un tempo della mente, un tempo della libertà, un tempo della pensierosa spensieratezza: che solo coloro che amano quel che fanno – che producono o creano – possono frequentare. Tra tutti, come accennavamo, gli artisti (o eventualmente i bambini: per definizione, liberi da ogni cosa), più evidentemente che altri, possono avvantaggiarsi del disporne. Il tempo aggiunto, inoltre, rende possibile la similitudine tra le categorie degli artisti e dei bambini, facendole intersecare con dolcezza, in alcuni frangenti determinati: nell’atteggiamento di incoscienza che li avvicenda, nella freschezza spericolata delle idee, nella trans agonistica dell’azione del pensiero, nell’irriverenza dinanzi alle ombre del sé e in tanto altro. Ma soprattutto nel costante sorriso sereno, appagato, lieto, come forma di risposta nei confronti della vita. Quella vita che, per coloro che dispongono del tempo aggiunto, contempla solo un tempo possibile: quello presente. Che codifica una immarcescibile primavera continua. E che, per questo, dona l’illusione dell’eternità. Della lontananza dalla morte.

Vue d’installation de l’exposition “David Hockney 25”, galerie 4 OEuvre présentée en grand format : David Hockney 25th June 2022, Looking at the Flowers (Framed), 2022 Dessin photographique imprimé sur papier, monté sur cinq feuilles de Dibond 300 x 518 cm ensemble Collection de l’artiste Vue d’installation de l’exposition David Hockney 25, galerie 4, niveau 0, salle Portraits et fleurs (2000-2025), exposition présentée du 9 avril au 31 août 2025 à la Fondation Louis Vuitton, Paris. © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Quando si entra alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi alla mostra di David Hockney, David Hockney 25, ci si rende subito conto di come la più grande e importante mostra mai allestita sull’artista britannico, in realtà, sia una vera e propria ricostruzione tangibile e immersiva della sua endemica e inalienabile giovinezza. Uno specchio del suo perpetuo sorriso. Una rigogliosa floridezza delle forme, una vitale freschezza dei colori, una straripante vitalità delle opere e un intelligente lavoro museografico, infatti, subito ci avvolgono accompagnando lo spettatore dentro il tempo aggiunto di un artista che è riuscito a fare del concetto il punto cardine di ogni suo progetto, di ogni sua creazione, di ogni sua opera. Restando, grazie a questo, sempre giovane e sperimentale.

La perenne primavera interiore di David Hockney è uno sterminato campo lussureggiante di visioni, bagliori, folgorazioni, esseri umani, nature, diapositive, momenti e prospettive durate tutta una vita. Una vita senza età e fuori dal tempo, grazie al tempo aggiunto che esclude la vecchiaia. Per un’esistenza condotta con la cifra del fanciullo: dall’inizio fino ad ora, che pure l’età sopravanza spietata. Per una linea retta dell’artista che, alla Fondazione Louis Vuitton (con estrema sapienza allestitiva: grazie ad una razionalità tematica attraverso cui sono stati suddivisi i momenti della mostra accostata ad una emotività contenutistica che stupisce in ogni angolo durante il percorso), sembra essere riuscita ad essere contenuta, argomentata, raccontata e regalata agli spettatori con commossa carica energica.

Vue d’installation de l’exposition “David Hockney 25”, galerie 10 Hockney Paints the Stage, 2025 Création de David Hockney & Lightroom Conception 59 Productions Vue d’installation de l’exposition David Hockney 25, galerie 10, niveau 2, salle Hockney peint l’opéra, exposition présentée du 9 avril au 31 août 2025 à la Fondation Louis Vuitton, Paris. © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Quello in mostra alla Fondazione Louis Vuitton è un eterogeneo e variopinto Ulisse di Joyce, emerso dalla penna e dalla vita di David Hokney. Attraverso una operazione enorme di retrospettiva che, mai come in questo caso, sembra guardare e riportare, stando a quanto premettevamo, un eterno presente brioso al di là di un’età anagrafica – più che un passato concluso da testimoniare con deferente cordoglio. Questo perché le opere in mostra scalpitano di una freschezza talmente vivida e vibrante, oltre che per alcune essere già impresse nel nostro immaginario, che, durante la visita, aleggia nell’aria come la certezza assoluta che l’artista, che si immagina costantemente in preda alla sua sorridente giovinezza, sia da qualche parte ancora a produrre nuovi ricordi del suo presente, durante il suo tempo aggiunto, pronto già per rinfoltire – ancora e ancora – la sua perpetua primavera (Do remember they cant cancel the spring, 2025, installazione luminosa posta sulla facciata della fondazione). Vivo lui, vivissime le opere. Una primavera sperimentale, la sua, che lo ha visto cimentarsi in diverse versioni – ed espressioni – di sé: dai ritratti delle persone a lui più care, fino alle fotografie sospese e universalmente note delle scene quasi cinematografiche a cui ha dato vita; dai paesaggi di campagna in pittura, fino agli stessi realizzati – con fare seriale – nel suo periodo più recente con supporto multimediale che pure non disdegna ma che, anzi, non a caso, adopera con la sperimentalità e l’irriverenza del bambino. Tutto in un arco temporale così felicemente caotico, così coerentemente irregolare, così armoniosamente contraddittorio, nel figurarsi, che ognuna delle opere quasi perde il diritto di essere attribuita ad un’epoca o ricondotta necessariamente ad un periodo, come è invece solito ed inevitabile avvenire in quasi ogni altra retrospettiva.

La mostra di David Hockney a Parigi è un contenitore onnicomprensivo di colori di vita di un uomo che al mondo, pur con le sue inevitabili malinconie indispensabili per lo slancio artistico, si è divertito tantissimo a starci. E lo ha saputo fare da Gran Maestro.

Si srotola, infatti, man mano che si ammirano le opere, un panorama dell’artista che, di colpo, talvolta in maniera del tutto imprevista, deflagra nell’uomo. Per poi ritornare ancora alla dimensione dell’artista: confondendo e contaminando virtuosamente le due verticali che lo hanno caratterizzato – e che lo caratterizzano tutt’ora. Per una vitalità costante, di scenario in scenario, che non smette mai di attorcigliarsi su se stessa: creando spirali di sorriso, attraverso le indimenticabili e inconfondibili imperfezioni della forma di David Hockney.

David Hockney, A Bigger Splash, 1967, Tate Gallery, London, UK. Detail.

La più grande Rockstar vivente dell’arte contemporanea dipinge per tutta la vita il proprio ecosistema. La costellazione dei suoi ricordi perennemente presenti. La profonda ed eccezionale normalità che ha attraversato per tutta la vita. E vive il proprio tempo, rendendolo aggiunto, finanche in una lezione che riesce a dare sin dall’inizio della sua carriera: quella sulla noia. Sul non fare: deriva – e scelta – complicatissima del fare.

A ben pensarci, da sempre, nei dipinti di David Hockney, non accade mai nulla di evidentemente dinamico, perlomeno all’apparenza: nessuna lotta da segnalare, nessun conflitto che generi crepe, nessun evento didascalico che si faccia ricordare per il frastuono contenuto in se stesso. Così come si potrebbe riconoscere di Edward Hopper.

Una rockstar della pittura che non ha mai suonato alcun brano rock, insomma. Eppure, nella costellazione estetica dell’artista britannico, lo stato di ipnosi che ci magnetizza nei confronti delle tele sembra derivare da una potentissima attività dal sottosuolo contenuta dentro le composizioni – silenziosa, invisibile, misteriosa – che non può non risultarci come costante sentore di altro. Come custode di un segreto che è perennemente sul punto di rivelarsi e che poi, alla fine, non lo fa mai. E questo avviene trasversalmente in ogni soggetto: dai paesaggi, alla raffigurazione di un fiore, fino alla centratura di una casa apparentemente qualsiasi e arrivando ai ritratti di ognuno degli esseri umani che ha incontrato e poi scelto di dipingere. Tutto è intenzionalmente ovattato, sussurrante, assente. Un clima sospeso, una nuvola di attesa, una carezza di fiacchezza, un sentimento di indolente interruzione – dal niente e verso il niente – attraversa costantemente tutta l’opera di David Hockney. E questo, nella retrospettiva alla Fondazione Louis Vuitton, viene fuori magnificamente. Per una lezione magistrale sulla sobria capacità di sapersi annoiare e vedere oltre le cose, di rara potenza e bellezza. Imparando a fare nulla, mentre ci si cimenta nella creazione omaggiando chi si è amato: dagli stravolgimenti coloristici di Henri Matisse, fino alle turbolenze invisibili di Edvard Munch, passando per i tratti ballerini e meravigliosamente imperfetti di Marc Chagall.

Vue d’installation de l’exposition “David Hockney 25”, galerie 4, Salle Portraits et fleurs (2000-2025), exposition présentée du 9 avril au 31 août 2025 à la Fondation Louis Vuitton, Paris. © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Accomunati da questo sentimento, perciò, ad un certo punto della visita, trascorso un po’ di tempo nelle sale dell’architettura di Frank Gehry, guardando i lavori, scopriamo che i paesaggi somigliano ai corpi, che i corpi somigliano ai fiori, che i fiori somigliano alle case, che le case somigliano agli squarci di prospettive rubate dal mondo e via discorrendo. Poiché tutto è felicemente – e riuscitamente – la stessa cosa, in David Hockney. Risultando, in fine, un pensiero. Un ricordo, ma del futuro. Uno stato d’animo. Un frullatore stimolante che, quasi, lascia intuire una melodia, una sonata. Una miscellanea omogenea di emozioni che ognuno ha provato ma che, magari, non si è mai accorto di provare o che semplicemente ha sottovalutato. Un po’ come nella normalità eccezionale di Giorgio Morandi dinanzi agli oggetti: destinati a sopravviverci. O come nell’arancione perpetuo di Giorgio De Chirico e delle sue architetture che evocano altro e l’altrove. Solo che in David Hockey, tutto è bianco: come un’intuizione che sfugge. E che finisce. Al pari di tutte le cose. Dagli amori di una vita infiniti [Jean-Pierre Goncalves de Lim, 2008] e finiti [Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), 1972], agli amici a cui si sono raccontate storie [Christopher Isherwood and Don Bachard, 1968], ai giardini di casa che ci hanno commosso [Play Within a Play Within a Play and Me with a Cigarette, 2025], agli alberi che sono cresciuti assieme a noi [Bigger Trees near Warter or/ou Peinture sur le Motif pour le Nouvel Age Post-Photographique, 2007], ai segreti che ci siamo o meno confessati tra compagni di viaggio [Mr. and Mrs. Clark and Percy, 1970-1971] e fino alle stelle che avremmo dovuto vedere insieme e che non lo abbiamo fatto. Tutto è eleganza, stile, tremolio di esperimento nelle linee. Una nevicata di malinconie che, ancora una volta attraverso una splendida contraddizione e una germogliante dicotomia, si esprime con i colori sgargianti dell’apparente bagliore.

David Hockney, Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), 1972

Ma quella di David Hockney, più che un bagliore, è quasi un’epifania. Una rivelazione che l’artista sembra aver sempre saputo, sin da bambino, e che non ha avuto mai altro modo di esprimere se non attraverso la pittura come salvezza, come sublimazione: quella della finitezza della vita. Che lui affronta con tutto il sentimento di accettazione di cui trasuda ognuna delle sue opere [Self Portrait, 10th December, 2021]. David Hockney balla sul mondo. Ride dinanzi alla morte, sornione e coraggioso, spericolato e accondiscendente. Dinanzi al tempo, dimostra un tale rispetto e una tale consapevolezza che quasi sembra volerlo invitare a giocare assieme a lui – sfidandolo e disinteressandosi di chi vincerà. Poiché, nella sua giostra del mondo, di un’altra cosa David Hockney sembra essere consapevole: del suo inesauribile “tempo aggiunto”, di cui ci invita a godere e ballare con lui.

Vue d’installation de l’exposition “David Hockney 25”, galerie 5 David Hockney 220 for 2020 Collection de l’artiste Oeuvre présentée en grand format : David Hockney 27th March 2020, No. 1 Peinture sur iPad imprimée sur papier, montée sur cinq panneaux en aluminium 364,1 x 521,4 cm ensemble Collection de l’artiste Vue d’installation de l’exposition David Hockney 25, galerie 5, niveau 1, salle Quatre ans en Normandie (2019-2023), exposition présentée du 9 avril au 31 août 2025 à la Fondation Louis Vuitton, Paris. © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

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