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La persistenza del sacro nell’arte contemporanea: la mostra al Museo Carlo Bilotti
Mostre
di redazione
La persistenza della dimensione del sacro nel nostro presente visivo e simbolico, tra mito, rito e trascendenza. Lungo questo filo si svolge Tra mito e sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea, mostra visitabile dal 17 aprile al 14 settembre 2025 al Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese, a Roma, in occasione dell’Anno giubilare. In esposizione, circa 30 opere provenienti dalle raccolte pubbliche romane — Galleria d’Arte Moderna, Museo di Roma a Palazzo Braschi, Museo Bilotti e la Collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza — che, tra medium e poetiche differenti, tracciano un itinerario polifonico in cui il concetto di sacralità si moltiplica, declinandosi tra spiritualità, iconografia, devozione privata, simbolismi laici e inquietudini postmoderne.
È un altare laico e plurale quello che si costruisce nelle sale dell’Aranciera: si va dalla videoinstallazione Cattedrale di Alessandra Tesi, vera e propria architettura immersiva che trasforma lo spazio museale in un’esperienza di raccoglimento, al trittico Universal Keyboard di Alessandro Valeri, dove il latte, simbolo ancestrale di nutrimento e spiritualità, viene interrogato come matrice universale di corpi e culture. Ancora il corpo, quello sacro femminile, rivive nella Venere iconica ma anche seriale di Mario Ceroli, raddoppiata e moltiplicata nei tasselli dorati di Goldfinger Miss, mentre la cera delle candele votive sciolte nelle chiese di Roma diventa materia viva nell’opera La cera di Roma di Alessandro Piangiamore, condensando un’intera topografia del gesto devozionale.
Non mancano incursioni nel simbolico più archetipico e doloroso, come nelle sculture di Leoncillo, San Sebastiano e Taglio rosso, che sublimano la sofferenza attraverso l’astrazione materica, o nel Trascendente di Carlo Maria Mariani, un volto angelicato incorniciato da fiamme ardenti che irradia ambiguità tra estetica neoclassica e pathos contemporaneo. A chiudere idealmente il corteo iconografico, lo scheletro orante a grandezza naturale di Marc Quinn: ironico memento mori, statua votiva post-umana, simulacro della fragilità irriducibile della nostra condizione.
Accanto al nucleo delle collezioni pubbliche, un focus speciale è riservato a Sidival Fila, artista e frate minore francescano, la cui opera si articola su un piano al tempo stesso mistico e materico. Fila lavora con materiali di scarto e tessuti dismessi, oggetti che nel loro disuso trovano, nell’opera d’arte, una possibilità di resurrezione: un’estetica della ferita e della ricucitura, che risuona con l’idea cristiana di redenzione ma che può essere letta anche come pratica ecologica e filosofica del ripensare.
La mostra si offre così come un atlante visivo e intellettuale sulla permanenza del sacro nell’arte contemporanea, al di là dei vincoli del sistema iconografico, per una continua riformulazione nei segni, nei materiali, nelle domande che gli artisti pongono a un presente disincantato.