19 marzo 2025

Nello specchio di Narciso. A Forlì il ritratto dell’artista, il volto, la maschera, il selfie

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Oltre 200 capolavori, provenienti da collezioni da tutta Europa, sono raccolti a Forlì, nello spazio del Museo Civico San Domenico, in occasione della grande mostra "Il Ritratto dell'Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie", in programma fino al 29 giugno

Il Ritratto dell'artista. Installation view, Museo Civico San Domenico, Forlì

Forlì come sempre genera stupore con Il Ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie: nuova, approfondita e coinvolgente mostra dall’agile percorso espositivo godibile e gratificante che fino al 29 giugno 2025 analizza dall’antichità al Novecento il tema della conoscenza di sé dal mito di Narciso, presente nell’antichità e narrato tra gli altri da Ovidio nelle Metamorfosi e ripreso da Leon Battista Alberti a metà ‘400 attraverso un intrigante percorso fino al selfie. Oltre 200 opere in quattordici sezioni narrano all’interno del Museo Civico San Domenico attraverso quadri, sculture, arazzi, disegni suppellettili, manoscritti, incisioni, fotografie e video l’evoluzione dalla metafora di Narciso alle maschere, allo specchio fino al disegno del volto attraverso il disvelamento di sé a volte riottoso fino a disvelarsi del tutto. La mostra diretta da Gianfranco Brunelli e curata egregiamente da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice genera un’infinità di stimoli culturali grazie a un’esaltante promenade nella storia dell’arte. Possiamo finalmente conoscere “direttamente” gli artisti che ci hanno regalato il bello e indagare come si sono percepiti e quale parte di sé hanno saputo e voluto raccontare facendoci intuire l’atmosfera in cui sono vissuti oltre ad avere effigiato altri personaggi, anche artisti.

Iniziamo con giusta curiosità il percorso espositivo che dall’ex Chiesa di San Giacomo porta al piano superiore (le cui sale costituivano la Biblioteca del Convento di San Domenico) godendo dell’allestimento sobrio ed elegante realizzato dallo Studio Lucchi &Biserni.

Jacopo Robusti detto Tintoretto, Narciso alla fonte, 1555 – 1560 circa. Roma, Galleria Colonna

Incipit del percorso è Narciso non solo come simbolo degli uomini primitivi che imparano a vedere i propri volti in specchi d’acqua, ma anche protagonista di un mito tanto antico quanto immortale e celebrato anche con varianti nell’antichità. Molti ricordano la narrazione di Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi con la terribile profezia dell’indovino Tiresia che a Liriope, madre dell’avvenente fanciullo, curiosa di saperne la durata della vita risponde che vivrà a lungo “se non conoscerà sé stesso”, l’esatto contrario del “conosci te stesso”, imperativo della filosofia greca. Lo splendido, superbo e altero giovane incapace di sentimenti è ritratto dall’antichità classica come nei due dipinti murali (entrambi del I secolo d.C.) dallo stesso titolo Narciso, Eco ed Eros (nel primo ha il capo cinto da una  corona di narcisi rossi), in Narciso alla fonte (circa 1555-1560) con sullo sfondo una natura complessa dipinto da Jacopo Robusti detto Tintoretto, nel bellissimo e perfetto nella resa anatomica Narciso (1771), olio di Nicolas-Bernard Lépicié, in alcune statue ottocentesche dalla bellezza classicheggiante fino al Narciso (1971), arazzo di Corrado Cagli che in una natura lussureggiante e dalla splendida acqua – evocanti Tiziano – inserisce un giovane un po’ attualizzato nel corpo quasi plasmato dal culturismo.

Maschera fittile di attore da Megara Hyblaea, V secolo a.C. (primo quarto), argilla. Siracusa, Parco archeologico e paesaggistico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai – Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”

L’iter si dipana poi attraverso Persona. Lo specchio, la maschera e il volto. Maschera e persona: due termini a prima vista antitetici in quanto la seconda significa per noi un individuo nella sua unica e irripetibile autenticità, ma, etimologicamente parlando, persona ha come primo significato maschera: strumento usato nell’antichità dagli attori non solo per amplificare la voce da udirsi il più chiaramente possibile, ma anche per celare la vera identità e impersonarne un’altra, diversa da sé. Il vero individuo che sta sotto la maschera diviene hypokritēs (il nostro ipocrita), dissimulatore, menzognero e quindi falso rispetto alla maschera. Ciascuno di noi – come ben evidenziato da Pirandello – vive in una condizione di mascheramento interpretando nel palcoscenico della vita personaggi diversi a seconda dell’ambiente o delle persone frequentati in un continuo processo di velamento e svelamento la cui completezza finale è l’agnizione, cioè il riconoscimento totale dell’altro. Ed ecco splendidi esempi di Maschere della Tragedia greca dal IV al III secolo a.C. che esprimono sentimenti estremi quali violenza, ira dolore… e della Commedia latina cui seguono Specchi antichissimi e finemente incisi con decorazioni che permettono la riflessione dell’immagine restituendo figure speculari.

Lo specchio è un oggetto suggestivo e inquietante che si è prestato a simbologie contrastanti da insegna dell’Immacolata Concezione a subdolo attrezzo del demonio.

Federico Barocci, Autoritratto, 1590 circa, olio su tela. Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica

Per Speculum… immagine dell’invisibile rappresenta il Medio Evo in cui il centro del creato è Dio, l’uomo e la sua figura spirituale ne sono l’immagine per cui l’opera dell’artista è secondaria. Si afferma l’illustrazione del volto specchiato nei bassorilievi e nei codici miniati di cui si possono ammirare in mostra splendidi esemplari. Il ruolo dell’artista comincia a essere riconosciuto verso il 1000 nella società cortese delle corti feudali e poi sboccia nel corso dell’umanesimo rinascimentale quando il centro del mondo diviene l’uomo. La funzione del pittore, miniatore, orafo, scultore o architetto (confinati tutti nelle arti meccaniche) si eleva progressivamente a quello di magister.

Dal Medioevo il Volto diviene espressione dell’anima e veicolo del divino e i temi dello specchio e del volto riflesso generano Allegorie dell’immagine. La prudenza, virtù specchiata, è una tematica su cui si cimentano molti artisti con ottimi risultati: tra gli altri Andrea di Francesco Guardi, Lavinia Fontana, Francesco Venusti, Domenico Robusti (figlio di Tintoretto) e Donato Creti. Sempre nelle Allegorie dell’immagine, Vanitas e Veritas sono molto rappresentate: da Tiziano in Venere (1565 ca.) che svela pudicamente il suo corpo nudo, da Jacob de Backer in Venere e Amore (1580 ca.) con la sovrapposizione di diversi soggetti secondo il gusto dell’epoca e da Candlelight Master (nome di comodo in attesa di nuovi documenti che chiariscano una questione ancora non risolta) nell’affascinante dipinto Vanitas (1630-1635) con una donna dal turbante illuminata da un gioco caravaggesco di luci e ombre.

Giovanni Bellini, Presentazione di Gesù al Tempio, 1460. Tempera su tavola. Venezia, Fondazione Querini Stampalia

Dal ‘400, gli artisti si autorappresentano in scene collettive sacre e profane “Ad acquistar nome”. L’artista soggetto narrante si ritrae tra gli uomini illustri come fanno Alesso Baldovinetti nell’Autoritratto (1470-1480) dallo sguardo indagatore e Giovanni Bellini nella Presentazione al Tempio (1475 ca.) dove il giovane con il mantello rosso sulla destra è il suo Autoritratto inserito forse in una situazione di religiosità familiare, probabilmente il battesimo di un discendente, tanto che nell’immagine della Vergine si possono riconoscere i tratti di sua moglie Ginevra Bocheta.

Nel ‘500, sempre “Ad acquistar nome” gli artisti inseriscono l’immagine di sé tra gli uomini illustri: ritratto e autoritratto diventano un genere autonomo molto diffuso – come testimoniato anche in mostra – accompagnato da riflessioni sull’esistenza e sull’arte. Colpiscono Sofonisba Anguissola in Autoritratto con spinetta (1555 ca.) dal volto ancora adolescente, elegantemente vestita e senza gioielli, il Doppio ritratto (1522-1523 ca.) del Pontormo dalle molteplici interpretazioni, il Ritratto di Lucas Cranach il Vecchio all’età di 77 anni (1550), anziano dal vigore inalterato e tormentato da inquietudini, opera del figlio maggiore Lucas Cranach il Giovane, e l’Autoritratto mentre dipinge il ritratto del padre (1570 ca.) di nome Giovanni, a sua volta pittore di fama nella prima metà del ‘500, del genovese Luca Cambiaso forse nella loro bottega rigorosamente semplice.

Nel ‘600 l’autoritratto raffigura l’artista nel suo ambiente di lavoro mentre crea giungendo all’identificazione tra arte e vita dell’artista che resta al contempo intellettuale, ausiliario del potere, cortigiano e attore anche se comincia ad affermarsi il modello dell’intellettuale gentiluomo come mostrano i due Ritratti del Caravaggio nella sezione Trasfigurazioni dell’artista.

Nel Gran teatro nel mondo gli autoritratti divengono più pregnanti di significati come si vede nell’Autoritratto (1612 ca.) del giovane Bernini, disegno dallo sguardo intenso e compiaciuto e in quello giovanile (1602-1603 ca.) di Procaccini con gli strumenti del mestiere, soddisfatto per avere optato per la pittura rispetto alla primitiva scelta della scultura, nell’Autoritratto come allegoria della pittura (1630 ca.) di Artemisia Gentileschi: l’artista – le labbra carnose e sensuali, coronata di alloro e con l’abito chiuso da un prezioso monile – che sta terminando il ritratto di un gentiluomo incarna la pittura stessa e nei quattro Autoritratti (da 1633 al 1639) di Rembrandt.

Nel ‘700 l’artista è al centro di un incrociarsi di passioni opposte tra ragione e sentimento, idealità e storia come evidenzia la sezione L’autoritratto indeciso tra il bello ideale e il sentimento del sublime con l’autoritratto di Goya raffiguratosi con cilindro in testa, abiti eleganti e atteggiamento severo e ironico, quello in marmo di Thorvaldsen idealizzato e autocelebrativo e la “bella e grandiosa testa” in marmo di Canova.

Il Ritratto dell’artista. Installation view, Museo Civico San Domenico, Forlì

Con la modernità l’autoritratto nell’Ottocento si colora di sfumature romantiche che portano a elaborare il mito dell’artista come eroe solitario e profeta dell’arte. A cavallo tra ‘700 e ‘800 merita particolare attenzione François-Xavier Fabre per il Ritratto di Vittorio Alfieri e di Luisa Stolberg, contessa d’Albany (1796). Lo stesso poeta Alfieri, “terribile uomo tutto nero” (come lo ricorda Massimo d’Azeglio) e fiero paladino della libertà in un suo famoso sonetto, ricorre alla metafora dello specchio. In Autobiografie. Le passioni e la storia, sboccia un trionfale numero di autoritratti da Giuseppe Bossi con Autoritratto con Felice Bellotti, Gaetano Cattaneo e Carlo Porta (La cameretta portiana) (1809 ca.), importante manifesto della Milano neoclassica, a Maria Callani, Ingres, Hayez, Fattori… Dal Romanticismo al linguaggio segreto dei simboli altri Autoritratti con Antonio Mancini, Arnold Böcklin, Faruffini e Giovanni Costantini.

Il ‘900 torna ai miti. Ritornano specchio e maschera come figura del doppio e un nuovo Narciso nello specchio del Novecento: si specchia nel nostro tempo e non si riconosce. Tutti i movimenti del nuovo secolo si dipanano: Balla con l’Autosmorfia, icona della mostra, Schiele, Wildt, Sironi, Alberto Martini, Marussig, Funi, Carlo Levi, Severini, De Chirico; Guttuso, Rosai, Pirandello…

Il volto e lo sguardo: il loro mistero conclude la mostra con artisti come Pistoletto con L’uomo nero, autoritratto con cui nel 1955 inizia la sua precoce attività espositiva e Marina Abramović, pioniera dell’arte performativa (il corpo è lo strumento principale della sua arte) con Ecstasy I (2012), parte di una serie fotografica di immagini dell’artista che si esibisce in “prove silenti” di contemplazione estatica per cercare di trovare equilibrio ed energia necessari per amplificare la percezione. Solo guardando dentro di sé si può raggiungere una certa felicità.

Marina Abramović 
Ecstasy I, from the series With Eyes Closed I See Happiness, 2012. Courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

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