-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Quello schianto al suolo di Icaro che risveglia la coscienza dal torpore
Mostre
La lingua latina esprime il concetto di confine distinguendo i termini limes e finis. Il limes è una membrana geografica che definisce uno spazio entro il quale, e oltre il quale, si trovano luoghi, persone, e paesaggi tra loro contigui; il finis è invece la barriera al di là di cui non è lecito procedere, il muro che si innalza dinanzi occludendo lo sguardo, l’abisso. La mostra Icarus, fino al 27 luglio 2025, trasforma le Navate e il Cubo di Pirelli Hangar Bicocca in suggestivo spazio liminale, in cui l’arte mette in discussione gli orizzonti geografici e culturali dove Sol Levante e Occidente si incontrano, sottoponendoci il dilemma se considerarli confini o frontiere, e dove i nostri riferimenti concettuali implodono travolti dalla furia della violenza nucleare.
Da Yale all’isola di Momoshima: l’arte di Yanagi attraversa i continenti e le identità culturali
Nato a Fukoka nel 1959, Yanagi si laurea in pittura all’Art University di Tokyo, per poi trasferirsi alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti dove studia a Yale, frequentando i corsi di Vito Acconci e subendo il fascino della Land Art. Intimorito che la sua arte potesse essere compromessa dalle logiche di mercato che intendeva decostruire, sceglie di rientrare in patria, abbracciando uno stile di vita lontano dalla scena pubblica e coltivando progetti radicali di trasformazione di luoghi in abbandono. Da qui nascono le installazioni collocate nel 1996 ad Alcatraz, iconica e inaccessibile isola-penitenziario, oppure l’ambiziosa iniziativa Art Base Momoshima, che trasforma in un polo per l’arte contemporanea una ex scuola media e un cinema in disuso. Lungo tutta la sua carriera Yanagi ha posto al centro del proprio lavoro la riflessione sulla nozione di confine, che sia esso politico, geografico, etnico, o culturale, unita all’indagine sui fenomeni di disgregazione dell’identità e sulla necessità di rivitalizzare gli spazi dimenticati, ossia tutti quei luoghi, reali o spirituali, che rimango ai margini.

Dalla terra al cielo, e ritorno: la caduta di Icaro come metafora dell’arroganza umana
«Perché, dunque, la brama di salire nel cielo è così simile in sé alla follia?» è la domanda che il giovane e imprudente Icaro consegna ai versi del poeta Yukio Mishima nel saggio Sole e acciaio del 1968. Icaro, che è anche il titolo della mostra, diventa metafora della tracotanza degli uomini, combattuti tra un implacabile slancio verso l’assoluto, ossia il cielo, e un inevitabile destino di morte, ossia la caduta al suolo. Il volo del giovane, macchiatosi del peccato infamante di hybris, che nella letteratura antica accomuna tutti i personaggi che oltrepassano la soglia di ciò che è lecito, andando al di là del finis-frontiera, è lo stesso itinerario che il visitatore è costretto a ripercorrere nella colossale installazione Icarus Container 2025. Decine di container, recuperati da Yanagi tra quelli utilizzati per il trasporto delle merci e assemblati tra loro, trasformano l’Hangar in un labirinto, che non è solo quello del Minotauro, da cui Icaro deve fuggire insieme al padre, ma è anche quello delle passioni dell’uomo, in cui spesso ci si smarrisce. All’ingresso un grande schermo proietta l’immagine del Sole, l’astro a cui rivolgersi, e sembra che il nostro volo si sia concluso ancora prima di cominciare. Ma non è quello il fine a cui tendere. Infatti, il frastuono che rimbomba tra le fredde pareti metalliche è spezzato da un fascio di luce riflesso da dei grandi specchi che illuminano il labirinto e allo stesso tempo dilatano e scompongono la nostra percezione dello spazio. Per andarsene bisogna quindi inseguire quella luce, e addentrarsi nella pancia dell’installazione: ogni deviazione che si è costretti a fare lungo la via verso la luce equivale alla perdita di una parte del nostro equilibrio, l’affanno in alcuni inizia a salire, e si fa più rapida la ricerca dell’uscita. Arrivati a metà della strada, Icaro, che ci parla attraverso i versi di Mishima incisi su ogni specchio, mette in discussione il suo volo, e si chiede: «E dunque, se dal principio appartenessi alla terra?». Ma ormai le sue / le nostre ali di cera sono state spiegate, la terra si è trasformata nell’acciaio dei container, bisogna terminare la salita al cielo: «Più in alto, più in alto, instabilmente vengo trascinato sempre più vicino al fulgore del Sole» grida Icaro. L’ultimo afflato verso l’azzurro rivela che a illuminare l’intero labirinto, riflesso all’infinito negli specchi, è stato sin dall’inizio il cielo di Milano, che si tuffa nell’oscurità del dedalo portandovi la luce, segnando l’uscita, restituendoci la libertà.

Godzilla e lo spettro della catastrofe nucleare
Incombe, a pochi metri da terra e al di sopra del labirinto di Icaro, una gigantesca bomba atomica, sospesa nel vuoto e in attesa di essere sganciata. La presenza e la possibilità della detonazione fanno da spettro lungo tutto il percorso, insinuandosi nei significati e nelle suggestioni di numerose opere dell’artista. Fatalmente legato alla storia recente del Giappone, dalla devastazione di Hiroshima e Nagasaki, fino ad arrivare al disastro di Fukushima, il nucleare viene assunto e sublimato dalla pratica di Yanagi. Il percorso si apre non a caso con la grande installazione Project God-zilla 2025: come in uno scenario post-apocalittico, che evoca un senso di distruzione di massa, un cumulo di detriti, tra cui pezzi di acciaio, barili, e macchine accartocciate, è sormontato dal grande occhio di Godzilla, nella cui pupilla vengono proiettate le immagini del fungo atomico. Il mostro preistorico incarna le paure e le inquietudini della società giapponese all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, terrorizzata dalle conseguenze delle radiazioni nucleari da cui egli nasce. Sebbene Godzilla appartenga all’immaginario collettivo come icona pop del cinema, Yanagi invita ad andare al di là dell’apparenza e a considerare che cosa questo mostro rappresenti realmente. Godzilla è lo spirito terrificante e orrifico di coloro che sono morti a causa delle esplosioni e delle radiazioni, e attacca ripetutamente la città di Tokyo poiché qui fiuta il senso di colpa per i disastri nucleari non ancora espiato dagli uomini. Project God-zilla 2025 è un ammonimento sulle conseguenze dei comportamenti tracotanti e sulle atrocità causate dalla superbia e dall’assenza di una giusta misura.
La poetica delle marginalità: Yanagi consuma le identità nazionali a partire dai loro confini apparenti
In chiusura di questa presentazione della mostra Icarus non può mancare The World Flag Ant Farm 2025, vincitrice del premio “Aperto 93” in occasione della 45° Biennale di Venezia. L’opera è composta da duecento bandiere che rappresentano i 193 Stati riconosciuti dalle Nazioni Unite e i 7 che di queste non sono membri, come Taiwan, Tibet e Palestina. Le bandiere sono realizzate con sabbia colorata collocata in scatole trasparenti di plexiglas; ciascuna scatola è a sua volta collegata alle altre da dei tubi in cui migliaia di formiche creano percorsi e gallerie trasportando granelli di sabbia da un box all’altro e dissolvendo lentamente le bandiere e i loro confini. Il lavoro incessante di queste minuscole creature, che con le loro escavazioni disgregano le rigide identità nazionali, è metafora della pratica artistica. Come la formica, così anche l’artista lavora ai margini, silenziosamente ma incessantemente, producendo uno sfrangiamento dei limiti, non solo fisici ma anche concettuali. Al termine della mostra i 200 Stati avranno del tutto smarrito i propri connotati, mescolati nelle loro particelle gli uni con gli altri. La fragilità delle strutture politiche, creazioni artificiali e molto spesso contingenti, viene messa a nudo dal più insignificante, sebbene forte, degli insetti, che sotto lo sguardo del visitatore erode dall’interno la scultura e migra liberamente da un paese all’altro, portandosi via con sé un pezzo sempre diverso. In dialogo con World Flag Ant Farm si trovano non a caso le grandi tele di Wandering Position, realizzate dall’artista con un pastello rosso con il quale ha tracciato meticolosamente i tragitti percorsi da una formica lasciata libera di muoversi sulla superficie del quadro. Ne emerge un vero dedalo, immagine che ci riporta a Icarus container, fatto di strade che si affollano e infittiscono ai margini dell’opera, per poi dissolversi verso il centro. L’insetto si muove negli spazi interstiziali e liminali, cercando di procedere oltre il finis, la barriera invalicabile, che da lui è certamente percepita come limes, luogo di contiguità e attraversamento.
Simili alle formiche, anche noi visitatori procediamo lungo il percorso di mostra con fare curioso ed esplorativo, invitati a decostruire e ampliare il perimetro delle nostre convinzioni su temi dirimenti quali identità, violenza, superbia, migrazione e tecnologia militare.
