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A Torino si celebra la poetica del non-finito di Giorgio Griffa
Mostre
Inaugurata lo scorso ottobre con una mostra dedicata all’opera di molti celebri artisti sabaudi da Mainolfi a Zorio, da Gastini a Toderi, e naturalmente lo stesso Griffa, la Fondazione Giorgio Griffa ospita fino al 29 maggio 2025 un’esposizione dedicata al lavoro del maestro torinese dal titolo Unfinished.
Curata dallo staff della fondazione, la mostra raccoglie opere di Griffa da lui selezionate e realizzate nel corso degli anni, precisamente dagli anni ‘70 fino ad oggi, e si propone di sviluppare un tema caro all’artista dal punto di vista artistico, filosofico e di poetica personale.

Il tema è appunto quello del non-finito, inteso insieme come un alludere al vuoto, all’assenza di un rigido e limitante ordinamento razionale, quanto all’apertura concettuale verso qualcosa di non detto e quindi ancora sempre da scoprire, da far o lasciar essere e da esplorare.
Il non-finito nelle arti visive corrisponde allo scrivere una frase senza porre il punto alla fine e quindi lasciandola aperta e suscettibile di possibili completamenti, interpretazioni e interpolazioni sempre nuove. Insieme, al contempo, il non-finito introduce nell’opera la dimensione del tempo, alludendo ancora una volta a qualcosa ancora da venire, ad uno spazio sospeso, simile alle pause che costituiscono l’essenza e il ritmo di una musica. Tutto questo conferisce un dinamismo sempre foriero di possibili ulteriori sviluppi e parziali o temporanee determinazioni, nessuna delle quali sarà mai definitiva e conclusiva.
Il percorso espositivo prende le mosse da alcune opere degli anni ’70 in cui le tele erano volutamente lasciate dall’artista in parte vuote tanto di forme e di colore. Qui il vuoto era inteso come pausa musicale, come silenzio che lascia spazio, amplificando insieme il tempo e il luogo dell’opera.

Segue, in mostra, un lavoro molto più recente, un’installazione creata con fogli trasparenti che possono essere posti ogni volta in modo diverso, interagendo dinamicamente con lo spazio espositivo. L’opera s’intitola Undermilkwood, è del 2019, ed è ispirata ad una poesia di Dylan Thomas.
Altre opere del periodo tra gli anni ‘90 e il duemila sviluppano ancora il tema del vuoto inteso come spazio libero, ancora sempre abitabile e sperimentabile tanto dal pensiero quanto dall’immaginazione, mentre due disegni intitolati Canone Aureo, del 2015, elaborano tra forme e colori il tema del numero aureo, che assume qui una portata simbolica e filosofica profondissima e commovente.
Nelle parole dello stesso artista, il numero aureo è in certo senso figura del mito di Orfeo, il poeta caro agli dei, che si spinge oltre le possibilità dell’umano e infine si perde nel caos di un imponderabile nulla, privo di determinazioni. Il suo universo non è ordinato, anzi, vi domina il caos, ma un caos creativo e denso di poesia.

Il percorso espositivo approda poi alla tela ES, del 2023, dove il tema del non-finito è sviluppato ancora una volta nel senso del rapporto tra ordine compositivo e caos, quasi che l’alternanza dialettica dell’uno e dell’altro possa dare vita a una dimensione nuova e più completa, che lungi dall’aspirare ad una perfezione statica, e quindi mortifera, allude a un dinamico e creativo, costante divenire.
Significativamente, conclude (ma senza chiudere) la mostra un video che svela il fare dell’artista nel suo studio, mostrandolo nell’atto di creare le proprie opere. Il visitatore ha così la possibilità di gettare uno sguardo come dietro le quinte, approdando ancora una volta alla dimensione viva del fare, del non-finito/infinito produrre.

Mentre allude alle possibilità infinite mai imprigionate in una specifica e limitante determinazione, il non-finito per Griffa è anche, come voleva Rilke, la ricerca di una nuova completezza, una forma inattesa, l’attenzione al dettaglio che altrimenti sfuggirebbe alla percezione. Il non-finito apre, così, a una dimensione prima di tutto del tempo, ha a che fare con quei momenti in cui l’anima e le cose, il mondo tutto, si trasforma, eppure non ha ancora trovato una nuova Gestalt in cui cristallizzarsi. Ha a che fare, quindi, anche con il movimento dell’indugiare, dell’attendere. È quindi un non-finito carico di promesse, sospeso in un nulla che libera: una specie di amor vacui che, sospendendo i confini e limiti fisici dell’opera, riesce a protendersi verso un futuro tutto ancora sempre da inventare.
Viene in mente la dimensione del non-ancora che secondo il filosofo Ernst Bloch era proprio di tutto ciò che è ricco di speranza. Un non-ancora che, con un apparente paradosso, non vuole mai riempirsi definitivamente per chiudersi una volta per tutte in una forma precisa e statica. Così come la vita, l’opera di Griffa si pensa in perenne trasformazione, un eracliteo panta rei dove se tutto scorre è perché c’è uno spazio (e un tempo) vuoto che consente e incoraggia il movimento, l’incessante e vitale trasformazione.