30 aprile 2020

Idee per il futuro #5. Parlano gli artisti: Serena Fineschi

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Idee per il futuro è la rubrica di exibart che dà la parola agli artisti per immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Serena Fineschi

Serena Fineschi
Serena Fineschi

Idee per il futuro è la rubrica di exibart che vuole dare la parola agli artisti per immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Serena Fineschi.

Profilo di Serena Fineschi

Il lavoro di Serena Fineschi (1973) è stato presentato in numerose sedi pubbliche e private in Italia e all’estero tra cui il Musées Royaux de Beaux-Arts de Belgique, Old Masters Museum Bruxelles, l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, il Bozar, Centre for Fine Arts di Bruxelles, la collezione Frédéric de Goldschmidt, la Fondation Thalie a Bruxelles, Officina asbl a Bruxelles, Belgio; il Museo di Arte Moderna e Contemporanea Raffaele de Grada di San Gimignano, il Complesso Museale SMS Santa Maria della Scala di Siena, il Centro d’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse a Siena, le Corderie dell’Arsenale a Venezia, la Biennale Manifesta12 a Palermo, Casa Masaccio Arte Contemporanea a San Giovanni Valdarno, la Fondazione Palazzo Magnani/Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, l’Ospedaletto Contemporaneo, Complesso dell’Ospedaletto a Venezia, Palazzo Monti a Brescia, in Italia.

È tra i fondatori di GRAND HOTEL, un luogo in movimento che ospita, raccoglie, accoglie e colleziona forme di passaggio provenienti dalle menti e dagli studi degli artisti che compie viaggi in spazi istituzionali e indipendenti dal 2014. Nel 2016 ha ideato CAVEAU, una cassaforte incassata tra le mura medioevali della città di Siena che ospita idee. Con Alessandro Scarabello e Laura Viale è tra gli ideatori di MODO asbl, associazione culturale per la promozione del contemporaneo fondata nel 2018, con sede a Bruxelles.

La parola all’artista

Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte (Denaro? Possibilità di esporre? Studio gratuito? Minori imposte sulla Partita Iva? Abbassamento dell’IVA per chi decide di investire in arte? Creazione di un sindacato?…)

«Una delle anomalie che viviamo è già insita nella domanda: considerare gli artisti dei professionisti. Sino a quando il nostro paese non prenderà in considerazione il fatto che gli artisti sono un patrimonio da sostenere, non esiste alcuna possibilità di discussione.
Il primo passo fondamentale è riconoscere l’esistenza di una categoria che lavora e che crea valore. Il sostegno agli artisti è fondamentale e non c’è alcuna necessità di inventarsi formule nuove; sono molti i paesi europei – e non solo – in cui è attivo un sistema di sovvenzione basato sul merito e sul reddito.

È semplice, basta mutuare quei parametri e adattarli naturalmente alle specificità della nostra realtà. Non si tratta di attivare formule di assistenzialismo cieco ma di preservare e tutelare un patrimonio e dare la possibilità a tutti coloro che normalmente lavorano, di affrontare con maggiore serenità i periodi fisiologici di flessione delle vendite, permettendo di continuare a produrre valore. Questo permetterebbe agli artisti di essere meno ricattabili, più flessibili, meno vincolati nelle scelte e di procedere in maniera maggiormente autonoma nella propria ricerca. Ripeto, è necessario un sistema di sostegno basato su merito e reddito e non di un sussidio a pioggia, si rischierebbe (come ha correttamente già detto Flavio Favelli, prima di me) la proliferazione da ogni fessura di creativi, illustratori e artisti. Abbiamo bisogno della qualità, non della quantità.

Potrò apparire impopolare ma si parla di vita, di un’intera esistenza nella quale non si è scelto di diventare artisti ma si è meravigliosamente condannati a viverla e la credibilità, la serietà e la responsabilità dell’artista e delle sue opere, oggi più di sempre, hanno un peso enorme. Abbiamo vissuto un lungo periodo di cecità, un’epidemia della vista e non possiamo più permettercelo.

Inoltre, è necessario che gli artisti possano regolarmente dialogare, confrontarsi ed essere parte attiva con le scelte delle varie amministrazioni. Rivedere gli spazi pubblici in funzione delle opere e di chi li abita, riconsiderare le programmazioni museali dal rituale mortale degli eventi di massa a nuove visioni più ridotte, inaugurazioni a misura più intima e umana (questo potrebbe valere anche per le gallerie) che possano avvicinare il pubblico al contemporaneo con maggiore lentezza, conforto e attenzione, un modo per educare un pubblico nuovo, più consapevole e preparato che possa diventare anche massa critica, come accade in molti altri paesi dove l’educazione all’arte, in particolare quella contemporanea, parte dalle basi della crescita e prosegue per tutto il periodo della scolarizzazione».

Serena Fineschi, Viva questo mondo di merda, 2012-2018 (private collection)
Serena Fineschi, Viva questo mondo di merda, 2012-2018 (private collection)

Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?

«In parte credo che questa responsabilità sia attribuibile anche agli artisti stessi.
Chiedere di essere riconosciuti come professionisti, non significa essere degli impiegati e purtroppo – nel tempo – molti artisti lo sono diventati, svolgendo diligentemente i compiti assegnati, adattandosi a qualsiasi richiesta, a qualsiasi ricatto e avvilendo il proprio lavoro, dimenticandosi di avere un ruolo molto più significativo e fondamentale come quello del confronto, del dialogo, dello scostamento della visione, del disturbo e della crescita del pensiero all’interno della società in cui vivono. Abbiamo preferito l’autoreferenzialità alla comunità.

Gli artisti dovrebbero tornare a sostenersi, aiutarsi, battersi con onestà, fronteggiarsi con stima, confrontarsi e innanzitutto essere disturbanti, gracchiare nelle onde radio, stridere sulle pareti con l’urgenza che li definisce.

Purtroppo, in un mondo dove il peso della quotidianità è tale da averci fatto dimenticare come il pensiero possa evadere, come la prospettiva del vedere possa mutare e dove le idee e la bellezza possano guarire parte delle nostre pene, è davvero difficile individuare nell’artista colui che ha il potere di immaginare nuovi sguardi e creare inconsuete strade di pensiero, se lui stesso – per primo – ha deciso di essere così sgradevolmente accomodante e dunque, trascurabile».

Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A che progetti stavi lavorando prima di questo isolamento, ma soprattutto prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?

«Stavo lavorando a diverse mostre sia in Italia, che all’estero. Non so cosa accadrà ma senz’altro saranno molti gli appuntamenti cancellati, riprogrammati e soprattutto, dove diminuiranno i supporti finanziari. Questo il vero problema che dovremo affrontare scaturito da una serie di atteggiamenti reiterati e radicati nel tempo: sarà ancora più facile proporre agli artisti di lavorare senza un supporto economico. Forse, questo momento così delicato, ci offre l’occasione di mettere in discussione il modello dell’unica realtà conosciuta. Ne avremo il coraggio?».

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