22 maggio 2001

ExibInterviste ai direttori: Roberto Lambarelli

 
Di Silvio Saura

Nuova puntata delle ExibInterviste. Roberto Lambarelli, direttore di Arte e Critica, risponde alle domande di Silvio Saura. Si rinnova l’appuntamento editoriale che, per primo, ha creato una tavola rotonda per l’editoria tradizionale all’interno di un sito web, emblema dell’editoria multimediale. Quarto appuntamento dopo i successi ottenuti dai direttori di FlashArt, ArteIn, Art&Dossier...

di

Qual è, per lei, lo scopo di una rivista cartacea?
Sono convinto che esista una grande differenza tra una rivista telematica ed una cartacea. Una differenza che si annida tutta nel fattore tempo. E’ indubbio che il vantaggio della rete è costituito dalla velocità con cui le informazioni vengono raccolte e restituite al lettore. Da questo punto di vista una rivista telematica è imbattibile; ma se l’obiettivo non è più soltanto quello di dare informazione ma, mettiamo, di accompagnarla con una riflessione, o ancor più, con una lettura incrociata degli avvenimenti, allora la rivista cartacea rimane ancora insuperata. Se poi pensiamo ad ‘Arte e Critica’, allora la distanza diventa incolmabile, nel senso che noi fin dal 1993, data di fondazione del periodico, ci siamo impegnati in una riflessione critica, appunto, sul fenomeno arte, in una voluta prospettiva storica. E qui interviene l’altra grande differenza con una rivista telematica destinata ad un rapido consumo piuttosto che ad una durata nel tempo.

Come vede il panorama attuale delle riviste dedicate all’arte italiane e internazionali?
La domanda presuppone una risposta che non troverebbe spazio in questa occasione. In ogni caso, in estrema sintesi, posso dire che le riviste d’arte, pensando l’arte nel suo complesso storico, dalle origini ai nostri giorni, si possono distinguere sostanzialmente in due grandi settori: quelle accademiche e quelle legate al mercato. Fuori da questi due
campi di applicazione non possono esserci altro che riviste-succedaneo, ovvero quelle riviste d’arte che fanno il verso ad altri tipi di pubblicazioni. In Italia, di tali pubblicazioni, ce ne sono almeno due esempi.

A quale target si rivolge con la sua pubblicazione?
La nostra è una rivista di settore che, dunque, si rivolge agli addetti ai lavori: artisti, galleristi, critici, collezionisti, appassionati d’arte e a tutti coloro che credono nell’;arte e nella sua funzione culturale e sociale.
Abbiamo smesso da tempo di ‘inseguire’ i lettori. Crediamo fermamente che l’arte sia uno strumento di elevazione spirituale difficile da utilizzare. Una condizione dello spirito alla quale si accede solo avendo un elevato grado di coscienza che non si conquista dall’oggi al domani, ma solo con la ricerca e la volontà.

Che cosa vuole comunicare con la rivista che dirige?
Alla base di ‘Arte e Critica’ c’è sicuramente la comunicazione di eventi, ma anche il suo immediato superamento. Intendo dire che ogni nostra scelta (articoli, interviste, recensioni di libri e mostre) è dettata dall’attualità, ma ogni volta ci sforziamo di comprenderla dentro una visione più organica.
Tale atteggiamento ci ha portato a produrre anche numeri monografici come, per esempio, il numero 6/7 del ‘95, dedicato al restauro dell’arte contemporanea, o il numero 14 del ‘97, dedicato ai parchi di scultura all’aperto o, più recentemente, il 22/23 del 2000, dedicato alla riforma delle Accademie di Belle Arti. Negli ultimi due anni abbiamo applicato questo metodo anche all’arte contemporanea, quella dell’ultima generazione, con dei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Vorrei ricordare, a tal proposito, il numero 24 dell’ottobre scorso, dedicato al tema ‘Torino per l’arte contemporanea: artisti, gallerie e istituzioni’
Mi pare evidente, dunque, che ‘Arte e Critica’ spazi su vari argomenti direttamente o indirettamente connessi al fare artistico, con l’obiettivo di produrre una ‘cultura’ dell’arte contemporanea.

Il servizio che ricorda più felicemente.
Non c’è un particolare articolo o intervista che ricordo più felicemente. Più semplicemente provo una diffusa soddisfazione che si rinnova ad ogni nuovo numero. In particolare c’è stata una escalation a partire dal numero 21, nel quale abbiamo raccolto le dichiarazione di oltre una quarantina di artisti, fino all’ultimo, il 27, dedicato alla situazione milanese.
Se poi volessimo forzare il concetto stesso di servizio ed allargarlo alle copertine, che per noi rappresentano il risultato di una scelta estremamente attenta, allora potremmo citare almeno le ultime tre: quella di Botto & Bruno, quella di Paolo Leonardo, con le finestre dedicate a Sara Rossi, Perino & Vele, Italo Zuffi, Ottonella Mocellin, Elisa Sighicelli, e l’ultima di Loris Cecchini.

Quello che ha creato più scalpore o problemi.
Nel campo dell’arte contemporanea non credo possano esistere particolari problemi o scalpori, che invece possono derivare da questioni più generali di gestione economica e politica delle istituzioni. In tal senso ricordo che pubblicammo un’intervista al segretario generale della Quadriennale di Roma che denunciava delle irregolarità di gestione: una questione che, accompagnata dal numero di ‘Arte e Critica’, arrivò su molti tavoli eccellenti.

Che problematiche incontra nella realizzazione della rivista.
I problemi che incontriamo sono prevalentemente di ordine tecnico. Se poi consideriamo il fatto che la rivista è fatta da Roma, è facile immaginarsi come alcuni problemi abbiano inevitabilmente un carattere endemico.

Quali soddisfazioni?
A parte la soddisfazione generale di cui ho già detto qualcosa, siamo particolarmente soddisfatti dei risultati che abbiamo raggiunto nel corso del tempo. C’è stata una lenta ma inesorabile crescita della rivista e siamo fermamente convinti di avere le energie e le idee per continuare a crescere. Più di qualcuno, con una certa dose di umorismo, ha gridato al
miracolo. Riferendosi, immagino, al fatto che la rivista è nata non per volontà di un gruppo, o di una società, o comunque di qualche forza economica consistente, ma dalla forza di volontà di un piccolo gruppo. Più che un miracolato, però, con la stessa dose di umorismo direi mi sento un eroe, o qualche volta un martire, che trova la propria soddisfazione
nell’affermazione di un’idea, nel perseguimento della propria missione.

Chi vorrebbe tra i suoi collaboratori?
Tra i miei collaboratori vorrei quelli che ho.

Chi non vorrebbe?
Non vorrei quelli che non ho.

Rimpianti?
Nessuno.

Il futuro online?
Non vedo un futuro online per ‘Arte e Critica’. Se intraprenderemo una qualche iniziativa in questa direzione sarà di natura
profondamente diversa. Le ragioni le ho già in qualche modo espresse all’inizio.

Articoli Correlati:
ExibInterviste precedenti: Gioia Mori (Art & Dossier)
ExibInterviste precedenti: Giancarlo Politi (FLASHART)
ExibInterviste precedenti: Lorella Pagnuco Salvemini (ARTEIN)

Silvio Saura è critico d’arte, collabora con diverse testate, vive e lavora a Venezia.


[exibart]


79 Commenti

  1. La prima risposta mi ha, francamente, deluso. Passa il tempo e ancora, mi par di capire, anche tra gli addetti ai lavori regna sovrana una cattiva conoscenza della rete e del suo utilizzo. Per carità, il direttore di Arte Critica è in buona compagnia (non è passata neppure una settimana da quando ho sentito illustri docenti universitari, a Perugia, scagliarsi contro internet in una assurda crociata in difesa del libro stampato), tuttavia sono qui, di nuovo, ad affermare che la rete non è il sostituto del libro o, in questo caso, della rivista cartacea. Dev’essere un insensato timore o una specie di istinto di sopravvivenza che spinge certa gente a confrontare continuamente digitale e cartaceo, insinuando il dubbio che proprio loro stiano minando un rapporto tra media diversi che ad oggi sembra indirizzato ad una giusta soluzione nel segno della complementarietà. Insomma accade che oggi, senza falsi moralismi o cervellotiche considerazioni, disponiamo di uno strumento di informazione in più. Libro, rivista e web hanno caratteristiche, potenzialità diverse ed offrono opportunità diverse. Nessun buon ricercatore può oggi pensare di prescindere da questi e da altri strumenti (per esempio gli archivi cartacei) per il suo lavoro. Limitarsi alla considerazione che il web è più veloce della rivista ma fornisce contenuti più limitati mi pare, francamente, cosa piuttosto sterile. Sul web, tanto per cominciare, ci sono banche dati (anche bibliografiche, tra l’altro) insostituibili. E poi chi ha detto che i contenuti sul web sono di qualità scadente? Ma vi pare possibile generalizzare in questo modo? Per fortuna c’è il mercato che ci viene incontro. Sulle riviste appaiono le pubblicità dei siti web e sui siti (anche su Ex) si fanno le recensioni delle riviste. Perché? Semplicemente perché chi legge le riviste consulta anche la rete e viceversa.

  2. siamo alle solite…si confonde il mezzo con il contenuto. Una rivista telematica non è necessariamente fatta per “un rapido consumo” solo perchè è accessibile 24 ore su 24 e ha la possibilità di essere aggiornata in tempo reale. Considerare Internet come il fast food dell’informazione è uno stupido luogo comune.
    Si può fare dell’ottima informazione culturale anche sulla Rete. Direttori cartacci che non siete altro…:-)

  3. Si ha proprio ragione the directoire. la rete non permotte di approfondore nullo. Folevo creeari un programma operitivi alternativi a Windows e non ci soni riusciti, manco per nienti.Nessun fisico informatico ni hacker che mi volessi aiutari, troppo difficili approfondiri quistioni, poi nessun contatto tra le divirse universitet e poi l’email e i forum per discottere delle diferse quistioni tutti che non funzionafano, non appiamo potuto capire nulli di nulli…adeffo capire che arte come ogni cosa necessiti di bella cartona grande grande con tanto bel inchiostrone che ha tanto buon odore.
    Perchè lo problema maggiore è pensare! Daffero, di fronte allo screen del computer, tutto si blocca leggi e non capisci un cafolo….è tremendo! Chissà perchè? tu vedi articolo lunghetto e gli occhi si chiudono e prendi sonno pazzesco…mentre difronte alla pagina scritta bella bella…ah che piacer…la mente si apre tutta quanta e apprendi tutto, rifletti, pondéri, pensi e ti ripensi…e poi checosa tremenda questi cosi che li chiamani LINKS!!! Già non ce la fai a capiri che diafolo c’è scritti che già ti viene di fari Click su quesi cosini (in generi blu) e zac…ti perdi conpletamenti. Foto, foto, foto, e testi, testi, testi…aiuto…in conclusioni due belle paginette non hanno invece mai fatto male a nessuno!!! LINUS TORVALD da Finlandia PS: Dirittori soni d’accordi con lei!!!

  4. Io sono del tutto d’accordo con quanto scrive il Torvald qui sotto…chiarisce in modo egregio la questione del dibattere.

  5. Gentile Lamb,

    ho visto che su ExibArt appare da tempo la recensione del numero corrente di ARTE E CRITICA, come mai lei non fa altrettando, come mai non da notizie ai suoi lettori su cosa c’è in rete?
    Allora è lei quello che ha delle mancanze non trova?
    Spero che – come hanno fatto gli altri direttori – anche lei risponda.

  6. lambarelli, francamente mi delude..
    dice cose di un vecchiume decisamente preoccupante. Peccato in realtà lei fornisce una buona informazione, e i suoi numeri-dedica all’università ci sono stati veramente utili.
    Comunque, cerchi di ricredersi, e quanto prima, sull’informazione in rete. E’ lontano anni luce dall’averla seriamente compresa.

  7. Mi piacerebbe sapere quali sono le difficoltà endemiche che incontra una rivista pubblicata a Roma. Mi piacerebbe sapere se Arte e Critica è, dal suo direttore, considerata accademica o legata al mercato. Mi piacerebbe sapere quali sono le due pubblicazioni italiane succedaneo. Non mi è chiaro, infine, qual è lo strumento che conduce all’elevazione spirituale: è l’arte stessa o il “grado di coscienza (o forse voleva dire di conoscenza)che non si acquista dall’oggi al domani”?
    Detto ciò, anzi chiesto ciò, vorrei dirle che conservo con piacere lo speciale sul restauro dell’arte contemporanea: era il ’95, ed in tempi non sospetti (ché, oggi, sarebbe un’operazione assai più scontata viste le ultime tendenze in materia di esposizioni pubbliche internazionali e mercato) Arte e Critica affrontava, non solo i complessi problemi tecnici, ma soprattutto quelli etici connessi alla conservazione delle opere di Arte Povera. Mi considero uno dei fortunati che possiede quello speciale e, come vede, accade spesso che i suoi lettori siano anche quelli di Exibart (ricordo una polemica, alla quale partecipò anche un illustre gallerista, che riguardava proprio voi; Cfr. http://www.exibart.com/IDNotizia2179.htm).

  8. Quando pensavamo di aver toccato il fondo della pochezza leggendo l’intervista della Pagliucco Salvemini, non avremmo mai pensato al baratro cui siamo ora costretti ad assistere, senza peraltro sprofondare (siamo ormai demitridatizzati).
    E pensare che certi individui dirigono riviste d’arte e si ritengono produttori di cultura!
    Per conto mio li manderei a vendere pesce nei sobborghi di Calcutta, con tutto il rispetto per chi ivi risiede.
    E certamente il loro pesce sarebbe migliore, anche di quello della “rete”.
    Probabilmente deve essere stato il frutto di uno sforzo titanico la riflessione secondo la quale una rivista cartacea è differente da una rivista telematica (termine orribile).
    La banalità di quest’osservazione rasenta punto l’irritante superficialità con cui sono state affrontate tutte le tematiche a seguire.
    Che vi sia una differenza è evidente a chiunque sia dotato anche della pur minima capacità intellettiva, e chi lo scopre ora, e ce lo propone come fosse una parusìa profetica, meriterebbe di dirigere “Arte e Critica” per l’eternità, nonostante a tutti dovrebbe essere concessa la possibilità di migliorare la propria condizione di conoscenza.
    Tuttavia, trovare che tra due cose differenti debba essercene necessariamente una migliore e una peggiore è tipicamente piccolo-borghese, il che non rappresenta nulla d’artistico.
    Fatto questo, espresso dal direttore di una rivista d’arte, che costituisce un peccato imperdonabile, direi tragico, senza essere affascinante come lo è la tragedia.
    Aspettiamo di conoscere, date le differenze, cosa sia meglio tra la scultura di Fidia e l’astrattismo lirico di Kandinsky (o tra gli spaghetti e il minestrone).
    Tu direttore dici che la rivista “telematica” è destinata ad un largo consumo piuttosto che ad una durata nel tempo.
    Ebbene, non mi risulta che sia mai stata usata una pagina web per avvolgere verdura (o pesci) ai mercati, queste sono cose che si fanno con le riviste cartacee.
    E spesso, dopo i traslochi, la pagina web resta dov’è, mentre le pagine di una rivista vengono buttate al macero una volta che hanno terminato il loro compito di avvolgere i bicchieri.
    Dici che l’obiettivo di una rivista “telematica” è solo informativo e non può stimolare la riflessione. E’ forse per questo che hai dedicato questa tua ecumenica intervista, assolutamente priva di spessore e d’ogni moto riflessivo che non sia quello del disgusto, per exibart rivista telematica?
    Lo snobismo con cui affronti la questione è pari a quella “succedanea” superficialità e cecità che mosse i polverosi direttori di riviste d’arte (cartacea) della Francia Ottocento per emarginare gli impressionisti.
    Non dimenticare, se ti riesce, che anche le riviste d’arte “telematiche” sono costruite da persone, e che anche i lettori sono persone.
    E la capacità di riflessione delle persone, quando c’è, è la stessa sia che legga una rivista cartacea che una “telematica”.
    Sono i direttori a non essere gli stessi. Purtroppo (e ne abbiamo avuti eloquenti esempi).
    Considerando che ti ho già dedicato troppo del mio tempo “non riflessivo”, concludo dicendo che non mi meraviglio affatto che non vedi un futuro online per “Arte e Critica”.
    Mi meraviglio piuttosto, dato il direttore, di come lo possa avere come rivista cartacea.
    Traslochi permettendo.
    Ciao, Biz.

  9. Non è ora che il Dottore Lambarelli intervenga in questo forum per rispondere a quanti hanno porto interessanti questioni?

  10. Caro Biz,
    in quanto intervistatore, mi sento tirato in causa dai tuoi interventi. In primo luogo ti invito a moderare tono e linguaggio; parlando così offendi il direttore (tuo obiettivo, credo) e me, dato che ho fatto io la scelta di chi intervistare.
    Se il dibattito è scadente e, in questo caso, nemmeno aperto, la motivazione che trovo sta nella scarsità intellettuale degli interventi più duri. Se vuoi criticare devi anche dimostrare di avere proposte. Perché non fondi una tua rivista d’arte? Così magari ti intervisto. Vorresti mandare a vendere il pesce chi dedica la propria vita all’arte; forse se tu continuassi a occuparti di musica (classica, mica contemporanea) eviteresti a noi di perdere del tempo. Noi che qui lavoriamo possiamo dirlo, non tu che lo fai per diletto o perché frustrato no. Sono d’accordo con la Pagnucco (non Pagliucco): nessuno ti obbliga a scrivere, tantomeno per denigrare il lavoro altrui.
    Dici: “E’ forse per questo che hai dedicato questa tua ecumenica intervista, assolutamente priva di spessore e d’ogni moto riflessivo che non sia quello del disgusto, per exibart rivista telematica?”. Che cosa significa? Tolto l’inciso (la parte compresa tra le virgole), non ti rendi conto che la frase non regge? Che è grammaticamente e sintatticamente scorretta?
    Parlando del tuo “tempo non riflessivo” ti tiri la zappa sui piedi: ammetti che le tue ore trascorrono prive di riflessione.
    Spero che il mio intervento ti faccia riflettere su cosa significano le parole “rispetto” e “lavoro”. Puoi, anzi, devi (e te ne siamo grati) dire se a tuo parere qualcosa non va, ma visto come scrivi, non penso che tu possa permetterti certi commenti.
    In attesa di vedere in edicola la tua rivista, ti saluto cordialmente.
    Silvio Saura

  11. Musicisti classici, generalmente montati, superbi e frustrati. Più sono montati e meno sanno suonare…è un classico della musica classica!!! Ne so qualcosa.
    Chiusa la parentesi, non credo che uno rilasci interviste ad Exibart per essere esposto al pubblico ludibrio. Quindi prego i frustrati di turno di moderare il loro tono, e di lasciare parlare il direttore di una autorevole rivista come “arte e critica”.

  12. Mi perdoni il Signor Saura, se in qualche modo sto fraintendendo un suo pensiero: perché un musicista, che prevalentemente esegua brani di musica classica o un musicologo, che si occupi di autori non contemporanei, non potrebbero al contempo avere interessi riguardo l’arte contemporanea?
    Molti pittori e scultori contemporanei, intenti al loro lavoro, spesso ascoltano musica classica, perché con i loro autori preferiti instaurano una specie di dialogo, prendono spunti.
    Quanto alle affermazioni del Signor Pollini, che porta un nome illustre, mi meraviglia che definisca i musicisti classici in quel modo: se è parente di Maurizio Pollini saprà bene che questi è tutt’altro che “montato, superbo, frustrato”; per giunta è il nipote del grande scultore Fausto Melotti, il quale ascoltava tanta musica classica e “nonostante ciò” era un gran giocherellone e col suo piccolo pianista sovvertiva quel mondo rigido borghese, che con la musica e con l’arte aveva qualche difficoltà.
    Anch’io non sono obbligata a scrivere, se non dalla curiosità, e mi scuso ancora, se, per caso, o per ignoranza, avrò disseminato in questo breve scritto, errori di grammatica: vorrei sapere quali sono gli esempi di riviste-succedaneo di cui parla il Signor Lambarelli.
    Un saluto

  13. Cara Anna ,
    hai frainteso il mio messaggio. L’acrimonia e la supponenza derivano dalla frustrazione, dall’incapacità di raggiungere quelle vette di perfezione che la mente intuisce come possibili ma che restano per limitatezza dei propri mezzi un lontano ed irrealizzabile miraggio.Non tutti hanno talento! Taluni hanno talento da piccoli, vengono vezzeggiati, ma poi lo perdono strada facendo…e così, tanti sogni di gloria infranti!!! E così ci si incattivisce, ci si pone su un piedistallo a macerare in deliri di onnipotenza. Non è la musica classica che determina ciò…è la vita triste del musicista incapace. Ben venga l’interdisciplinarietà, gli interessi molteplici e le contaminazioni, non è questa la questione controversa. Il dialogo non deve essere violenza e non vorrei che Exibart, che leggo sempre con tanto piacere si trasformasse in un luogo in cui qualche guitto, magari come terapia psicanalitica fai da te, vomitasse il suo livore quotidiano sul primo che passa, meglio se personaggio in vista: nessuno saprà mai chi è, e il suo ego ne uscirà tanto tanto compiaciuto. Qualche frase ad effetto, qualche citazioncina, un pizzichino di mitologia classica qui e là, tanto per gradire, e poi la solita frustata “..avremmo voluto parlare d’arte…non ci siamo riusciti!”. Non credo che ci sia nulla di artistico, di apprezzabile, di interessante in interventi di questo tipo che non fanno che distruggere ogni possibile dibattito che si volesse instaurare.
    Io vorrei sentire invece qualche chiarimento dal dott. Lambarelli, che immagino un po’ intimorito da questa accoglienza non proprio calorosa. Ma sono certo che il dibattito potrà farsi molto interessante e proficuo, se solo avrà la gentilezza di intervenire.

  14. bla bla bla. Dopo tanto discutere su cosa sia più ortodosso come informazione d’arte (la rivista su carta, o quella dei dannosi pixell)mi sembra incredibile che il direttore continui con una latitanza controproducente. Che esistano differenze tra carta e pixell lo sa anche un bambino (forse anche senza una chissà quale riflessione)ma che sia un direttore come Lambarelli (che non dirige “cioè” o “ginfizz”) a farci brillantemente notare questa sottile differenza..ohi ohi ohi che delusione! Io ribatterei ad ogni commento, non fosse altro che per rispondere a tono allo scriba BIZ! Invece il silenzio del direttore e le inutili difese del giornalista Saura fanno calare sulla figura di Lamb un velo fuligginoso e stantio.Peccato. Quanto ai colti riferimenti musicali che gli amici in questo spazio hanno saputo donare, devo dire che forse non sono proprio di pertinenza, ma che tuttavia hanno riempito in modo interessante i vuoti lasciati dal direttore schivo. Ve lo dice uno che di musica non ne capisce nulla: “Musica per organi caldi” è il mio livello massimo di cultura musicale, fate voi i vostri calcoli. ciao ciao

  15. Ringrazio il Signor Carlo per la sua spiegazione. E insisto ancora nell’ uscire dal tema per chiedere un’ altra informazione al Sig. Saura, visto che nel suo scritto ne fa accenno e invito a Biz. Come si fonda una rivista d’arte? Cioè: quali sono le procedure da seguire? Non che io abbia quest’intenzione, ma forse fa capire fin dall’inizio quali e quanti problemi, o difficoltà, bisogna affrontare per cominciare un lavoro di questo tipo e quanta passione sia necessaria, per continuarlo. Come si instaurano i primi rapporti tra i futuri collaboratori e tra i galleristi e gli artisti? Che poi si finisca per dire “volevamo parlare d’arte ma non ci siamo riusciti”, secondo me è relativo, perché bene o male, se non se ne parla specificatamente o direttamente, è l’arte che qui fa intervenire e discutere.
    Spero propro che partecipi di nuovo anche il direttore Lambarelli e voglia perdonare Biz, perché se nei toni (musicali e non) può aver esagerato, penso sia dovuto alla sua esuberante passione, non credo alla frustrazione.
    Grazie

  16. Rispondo a Anna da Chiavari che, con queste giornatine, se ne deve stare proprio bene sulla riviera ligure. Dunque: primo passo registrare la testata nel tribunale della propria provincia. Secondo: ci deve essere – per legge – un Direttore Responsabile iscritto all’albo dei giornalisti che risponda di tutto quanto viene pubblicato. Insomma, se qualcosa non va, in galera ci va il direttore, non chi firma l’articolo. Terzo passo: fare i conti – e fare in modo che quadrino. Ogni numero di rivista, come quelle che vedete normalmente nelle edicole e qui proposte, costa varie centinaia di milioni. Queste spese DOVREBBERO essere coperte da pubblicità, vendite e abbonamenti. Personalmente non conosco i bilanci reali di nessuna testata, nemmeno quella per cui lavoro, ma posso dire che se non nessuna, ben poche sono in attivo.
    Se ti interessa la parte giuridico-pratica della faccenda ti invito a acquistare il “libretto rosso” dei giornalisti (il titolo vero è un altro, ma in gergo si chiama così) che trovi in qualsiasi libreria specializzata.
    Quanto ai collaboratori: li scegli il direttore – come qualsiasi altra cosa, dalla grafica agli articoli. Li va a pescare tra chi conosce e chi, a suo avviso, ha capacità comunicative e di pensiero affini alla linea editoriale della rivista. Poi si crea un dialogo in cui o il direttore commissiona un pezzo, o il collaboratore segnala eventi particolari; un po’ l’uno e un po’ l’altro.
    Poi considera che i direttori sono persone inserite nel mondo dell’arte, che è talmente piccolo che ci si conosce quasi tutti, quindi i rapporti con gallerie e artisti nascono e continuano da soli.
    Io ti dico la mia ma conta che, da un lato (Arte in), sono solo un segretario e, dall’altro (exibart), un collaboratore. Comunque, a grandi linee, funziona così. Il discorso delle motivazioni è semplice: reputazione da difendere da un parte, e creditori dall’atro – che se non paghi…
    Perché, ora, questa domanda non la giriamo anche ai direttori? Forse le loro risposte possono essere anche più esaustive.

    Silvio Saura

  17. E’ vero in Liguria si sta bene, per il paesaggio e il clima, ma la sua Venezia è tutta un’altra cosa!
    L’ammiro molto, Sig. Saura, e la stimo, anche se è poca cosa, perché non sono nessuno. L’ammiro perché si espone,(a dispetto della reputazione da difendere) e ci dedica il suo tempo, che immagino già carico d’impegni e scadenze. Un po’ l’ ho usata con questa domanda, che era rivolta anche al direttore romano, nel tentativo di farlo tornare qui.
    Lei dice d’essere solo un segretario, ma per la sua generosità e competenza, meriterebbe d’esser direttore (anche se penso, preferisca il suo lavoro così com’è). Comunque cercherò di non disturbarla più. Un saluto e un augurio. E ancora grazie d’aver risposto.
    Anna Lavagnino

  18. La prego direttore ritorni e ci racconti di più riguardo l’intervista al direttore della quadriennale! Ha detto che ha smesso di inseguire i lettori, e la capisco, ammetto che la mia richiesta verte più sul resoconto dell’attualità che sulla riflessione critica, portata avanti dalla sua testata: però ha scatenato la mia curiosità e forse di tanti altri. L’aspetto.

  19. Oh, Mork, che piacere! Anche tu su questo strano pianeta?
    Piace pure a me Chinaski. Anzi, se fosse qui, riuscirebbe sicuramente a far scrivere questo direttore.
    Andrebbe nel suo ufficio, spalancando la porta, con due cartoni di birra. Si avvicinerebbe al direttore e gli direbbe:
    “ Darling, su!, accendi l’infernale macchina da scrivere che usano adesso…neanche a me piace, sai, mi ci vedi lì davanti, senza carta, senza il bel suono dei tasti? Però ti avverto, c’è un gruppo di pivellini (lo dice con affetto, non vuole offendere) lì, dentro quello schermo, che te ne dice di tutti i colori…Ora, so che è una barba terribile, una tortura infinita, come le letture in pubblico, che poi ti fan la fila e uno chiede una cosa, uno l’altra e tu vorresti essere da tutt’altra parte in quel momento, ecco, ma…Fagliela vedere, baby! Ci andrei al posto tuo, ma non so un cavolo di arte e poi oggi non sono in vena… c’è un marziano che controlla le mie parole” Allora il direttore sta quasi per dargli retta, lo guarda un po’, gli sorride, poi chiama la sorveglianza e lo fa buttare fuori.
    In fondo alla scala, con un dente rotto, infilato in una piega della camicia (nuova per l’occasione), è lì che sta per tornare indietro, con l’orgoglio del pugile, quando vede con la coda dell’occhio un paio di gambe di bella femmina, una rossa: borbotta qualcosa sull’arte e i direttori, s’infila in tasca il dente rotto e si perde a seguirle. Ma questa è un’altra storia.

  20. Forse, ma preferisco le rosse: c’è n’è una a Madrid che mi fa impazzire: però è in un quadro, (a volte le donne sanno essere diaboliche), si chiama Danae e mi tradisce con un tipo… Vecellio… credo.

  21. Caro Silvio,
    La sollecitazione che mi fai ad essere meno scostumato mi ricorda le signorine del campeggio di luglio.
    Ma io sono sempre stato disubbidiente.
    Il mio silenzio, sin’ora, è stato calcolato (?).
    Sai… fa tanto Direttore di rivista d’arte!
    Tuttavia è un brivido che non lascia alcuna eccitazione.
    Ci aspettavamo una risposta dal direttore di Critica e Arte, ma a quanto pare non è giunta, quindi dobbiamo accontentarci di te.
    Devo subito svelarti un segreto: la mia frase era assolutamente perfetta, sia nella grammatica quanto nella sintassi. Strumenti, questi, mi dicono, piuttosto sconosciuti al giornalismo.
    Evochi il tuo diritto ad intervenire “in quanto intervistatore”, scadendo poi nell’invito che a me rivolgi di tacere.
    Prosegui col suggerirmi di “fondare” (termine orribile) una rivista d’arte; per essere intervistato da te ed avere quindi diritto di parola.
    Ho meditato molto, in questi giorni, rubando tempo prezioso alle frustrazioni che mi attribuisci, sul fatto che l’intervista l’hai fatta, forse l’hai scritta, e con evidenza l’hai difesa.
    Quanto alla musica classica e moderna… ti riferisci a Bach e Schoenberg o a quelle cose che ascoltate alle vostre feste?
    Dal canto mio, la musica classica non è argomento che puoi usare come parametro di giudizio; spesso chi lo fa difetta in giudizio.
    Ancora una volta io entro nel merito delle questioni, ed ancora una volta mi si dà del frustrato e mi si invita a tacere.
    Tutto questo non ha nulla di artistico.
    Auspichi di rincontrarmi in edicola con la “mia” rivista.
    E’ questo il passaporto che chiedi?
    No grazie. Ad ognuno il suo.
    Ciao, Biz.

  22. O Biz,
    mi hai stancato.
    Il tuo silenzio non dava fastidio a nessuno.
    Non sai nemmeno leggere: se sapessi farlo avresti notato che non ti invito al silenzio, bensì al rispetto e all’educazione. Quanto alla frase che ho riportato, prova a cercare il sussidiario della prima elementare e potrai trovare che il verbo “dedicare” è associato alla congiunzione “a”, non “per”. Abbi pazienza, Biz, ma il mio mestiere lo faccio scrupolosamente. Leggi qualche mio scritto e, se troverai un solo errore grammaticale o sintattico, prometto di ricominciare dalle scuole elementari. Sono disposto a mettermi in discussione.
    Già che ci siamo mi permetto di riportare la definizione del vocabolario Zanichelli della parola fondare: “porre le basi istituzionali di un ente, un organismo e simili”. Dato che ogni parola ha un significato, l’azione di creare un qualcosa mi fa pensare alla fondazione di questo. Se non ti piace la lingua italiana non so che cosa farci.
    Dici di avere meditato molto sull’intervista che ho fatto, ma non accenni alle conclusioni cui saresti giunto. Vuoi renderci partecipi? (Possibilmente con chiarezza e educazione).
    Sottolineo che non è mia abitudine scrivere al posto di altri, anche perché non avrei saputo cosa dire; il mio pensiero è diverso da quello di Lambarelli, ma ciò non toglie che gli porti rispetto.
    Argomento musica: che cosa vuoi dire? Hai forse partecipato a una qualche festa cui ero presente? Conosci la musica che ascolto? Perché usi il plurale? (Piccola precisazione: dopo Schoenberg ci va una virgola e, se non lo sai, la congiunzione va messa prima della punteggiatura. Hai sbagliato parecchi segni nei tuoi interventi).
    Da Guy Debord ho imparato una grossa lezione: che qualsiasi teoria, prima di essere esposta, deve risultare inattaccabile, nel senso che deve essere così solida da potere essere difesa.
    Odio ripetermi ma noto che con te è l’unica cosa da fare: intervieni pure (ci fa piacere) ma con rispetto e educazione. Non sei certo tu a poterti permettere, visto come scrivi, di ergerti a Panacea.
    L’arte ha varie sfaccettature, non tutte belle, non tutte accettabili. C’è chi pensa che sia un mezzo, io credo sia un fine, altri hanno opinioni diverse. Nel rispetto si può parlare di tutto con tutti.
    Un rispettoso e cordiale saluto,
    Silvio Saura

  23. E’ vero! Non ci avevo pensato, ma Silvio Saura, involontariamente, quando ha fatto il nome di Guy Debord, mi ha suggerito un’ipotesi: il direttore Lambarelli sarà mica un Situazionista? Ecco spiegato il suo silenzio.

    Un’altra cosa: non baruffate!
    Piuttosto troviamo il modo, anche un modo situazionista, per chiamare il direttore. (c’è anche il telefono, magari non si collega ad internet e non ha ancora letto nulla, vista anche la sua opinione del mezzo e allora qualcuno che sa il suo numero potrebbe fargli un invito lasciandogli un messaggio in segreteria. Non è situazionista, ma forse è meglio).

    Biz e Saura sanno tutti e due scrivere bene e lo fanno in modo diverso. A me piace molto come scrive Biz e lui lo sa.
    Con le questioni grammaticali e sintattiche si entra in un campo minato anche dalla diversità d’impostazione didattica degli stessi insegnanti. A volte, poi, gli errori sono occasioni stilistiche di una lingua che non è ancora stabile, malgrado i grandi interventi di Rodari e Calvino.

    Dai ripartiamo da zero e chiamiamo il direttore!

  24. Per Silvio Saura: La prego di capire Biz, ognuno ha il suo carattere, cercate di restare amici,lo gradirei. Per Biz: Caro Biz per te provo affetto, non sei certamente un frustrato, anzi sento dai tuoi commenti che sei intelligente e buono.
    Con Silvio Saura si è creata incomprensione, cercate di capirvi. Ti aspetto alla biennale e avrò così il piacere di conoscerti. Cari saluti . A presto. Maria

  25. Caro Signor Saura,
    per sua informazione, “a” e “per” non sono congiunzioni, ma preposizioni. Per la precisione: preposizioni semplici. Poi ci sono anche quelle articolate, ma visto che ha tanta voglia di mettersi in discussione, le consiglio di consultare il sussidiario della prima elementare.
    Se fosse uno dei miei alunni, le darei una tirata d’orecchi. Anzi due. Una per preposizione.

  26. Caro Silvio….
    Urka! ti ho stancato!… mmmm…
    Allora, visto che sei stanco, rilassati.
    Mi sembri un poco teso.
    Tipico di chi è in difetto, caro ed educato Silvio.
    Ciao, Biz.

  27. beeeeello il sito di Biz…
    io consiglio davvero a tutti di andarlo a vedere. Si capiscono molte cose delle polemiche scatenate sul portale

  28. Non so a quali messaggi ti riferisci, non me ne sono accorto.

    Tuttavia, qualunque cosa sia accaduta, di una cosa sono certo: il nostro Direttore Massimiliano Tonelli non è tipo da censura.
    Ha dimostrato ampiamente, in più occasioni, grande coraggio; caratteristica questa che non è possibile trovare in un censore.
    Ringrazio Silvio per aver suggerito il mio sito, io stesso era da molto che non lo visitavo.
    Ultimamente ho delle difficoltà a mantenerlo e non lo curo molto.
    Cara Maria, spero di poter essere alla Biennale, magari in tua compagnia e con chi altri desideri unirsi a noi.
    Sento il desiderio, sarebbe meglio dire la necessità, di visitare la Biennale in compagnia di qualcuno entusiasta della Biennale stessa.
    Questo perchè la conosco così poco, anche nella sua storia, e quel che so mi ispira sentimenti di sufficienza. Quel che ho visto sin’ora non mi è parso entusiasmante; ma qui difetto io: va da sè che dovrei conoscerla meglio. Mi piacerebbe trovare qualcuno che mi possa aiutare.
    La MIART mi ha colpito favorevolmente. Ho avuto l’epidermica sensazione del brulichìo fattivo di una certa sfera d’Arte.
    Sono anche stato, però, assaltato da una grande vastità di oggetti, di opere le più varie. Un numero così densamente concentrato di opere d’arte e di varia oggettistica decorativa, pigiate nelle poche ore di cui dispone una giornata (solo 24).
    Dolce Anna, è sempre un piacere leggerti. No, non baruffo con Silvio, a cui ho già avuto modo in tempi non sospetti di esternare la mia stima per lui e per il suo lavoro.
    Si tratta di scambi di idee espresse con energia e vitalità a cui, lo ammetto, non mi sottraggo.
    E’ bello trovarci e chiaccherare, ho stima e rispetto per tutti. Se così non fosse sarebbe davvero idiota da parte mia partecipare a conversazioni nelle quali i miei interlocutori sono da me considerati imbecilli.
    Qui di imbecilli non ne ho ancora visti e finchè ci sarete voi non ce ne saranno mai.
    Ciao, Biz.

  29. Il sito ha subito un problema nella serata di ieri (giovedi) quindi è possibile che sia sparito del contenuto (messaggi?). In questo caso segnalatemi tutto. La censura è una parola che su questo sito non ha mai trovato ospitalità.
    Ciao

  30. Biz, i tuoi contenuti complimenti non possono che fare piacere! a dire il ver onon ho mai dubitato della stima che nutri per exibart e i componenti che lo determinano. Sei dannatamente irruente e simpatico e questo non può che giovare alla critica. Non so se sono mai intervenuto nei tuoi confronti (la memoria fa brutti scherzi) però dev odire che stavolta hai catturato la mia attenzione (che sia forse la necessità che provo di un complimento indiretto?). Colgo l’occasione per augurarti un buon week end e ti invito continuare le tue succose diatribe con noi. Per quanto concerne la biennale, devo ammettere che a mio modesto parere non trova il mio favorevole apprezzamento, se non per opere che si contano sulla punta delle dita, e credimi è piuttosto poco dato il numero di artisti e lavori presenti. Vale tuttavia la pena di una visita, anche se il pirotecnico preannunciato dal direttore è presente più nella sua utopia che nei fatti. Auguro una buona notte a te, e a tutti coloro che leggerano questo messaggio in nottata. Adios…

  31. Caro Biz,
    leggo con curiosità i tuoi interventi. In particolare mi ha divertito il duello con la direttrice di Arte in, da te sapientemente strapazzata, ma ho trovato gustosa e pepata anche l’infilzata a Lambarelli, purtroppo non raccolta dall’interessato. Tuttavia, se mi consenti, non posso fare a meno di notare una certa mancanza di incisività e una morbidezza direi quasi sospetta nei confronti dell’intervistatore, che pure ha commentato con inusitato spirito aggressivo i tuoi ultimi contributi.
    Non ti sei accorto che gli interventi del Saura, segretario di Arte in, hanno assunto toni analoghi a quelli usati con te dalla sua direttrice? Sembra quasi che dopo essersi data alla macchia, vista la magra figura rimediata su Exibart, la Pagnucco Salvemini abbia mandato in avanscoperta il segretario a farne le veci. Oppure, ipotesi più probabile, il segretario – debitamente redarguito – s’è sentito in dovere di tamponare in ritardo la figuraccia della signora, utilizzandone maldestramente gli stessi metodi per farti rientrare nei ranghi. Il sedizioso Biz, secondo l’assunto dei due, non sa leggere, né scrivere, è un frustrato e un maleducato: dunque stia zitto e non rompa gli zebedei.
    Naturalmente le argomentazioni della direttrice e del pivello si commentano da sole. Stessa supponenza, stesso tono presuntuoso, stessa megalomania, stessa carenza di spessore e contenuti mascherata da qualche dotta citazioncina. Salvo poi confondere (il pivello) congiunzioni e preposizioni, e sproloquiare su congiunzioni che andrebbero messe “prima della punteggiatura”. E tu che fai? Ringrazi e rinnovi la stima. Nell’ultimo intervento sprizzi buonismo e sei addirittura stucchevole.
    Vuoi vedere, caro Biz, come si risponde ai mandrilletti in foia culturale, che non sanno niente di niente e pretendono di fare le pulci alla punteggiatura e alla consecutio temporum altrui? Si risponde parafrasando opportunamente Cervantes: “Se bastasse conoscere il latino per non essere cretini, fra i latini non avrebbe dovuto esserci nemmeno un idiota”.
    Sappi, per tuo ulteriore conforto, che in genere questi mandrilletti non conoscono nemmeno il latino. Al massimo fingono di saperlo.

  32. Carissima Piccola Ve(n)detta Lombarda,
    apprezzo con entusiasmo la tua arguzia e il tuo acume.
    Tutto quanto dici è da me condiviso e gradito.
    Hai ben colto le non celate parafrasi dei magnifici due, che si citano vicendevolmente con naturalezza.
    Inoltre dici bene quando sveli il buonismo e la stucchevolezza del mio ultimo intervento; tale voleva essere, spero vorrai credermi.
    Non sono qui per far bufera, e quindi non ho voluto esacerbare gli animi, anche per rispetto al nostro Direttore che ha molto da insegnare a quei polverosi e grigi pseudo-intellettuali, i quali solo per il fatto che lavorano in una rivista d’arte pensano di aver trovato la pietra filosofale.
    Per conto mio sono solo dei poveretti, che, ripeto, manderei a vendere pesce nei sobborghi di Calcutta.
    Attaccare Silvio Saura a seguito degli sproloqui che ha impresso ultimamente sulla tastiera, sarebbe stato sin troppo semplice.
    Come vedi, anche tu ti sei accorto che le argomentazioni di Silvio Saura, oltre ad avere poco o punto di originale, in quanto sono la fotocopia delle isterìe della Pagliucco Salvemini Vattelapesca, non eccellevano in contenuti.
    Sono stati solo una pessima lezione di s-grammatica, nulla d’interessante in un giornalista, e una ripetizione dei deliri di onnipotenza della Direttrice.
    Ergo: io avevo già dato.
    Se la Pagliucco Vattelapesca ha bisogno di una rivincita, ritorni tra vent’anni, quando avrà capito qualcosa sull’arte, sulla critica e sulla libertà di pensiero.
    Ti assicuro che non vi è nessun segreto nella mia supposta morbidezza nei confronti del segretario di Arte in, non sapevo nemmeno che lo fosse (ed ora mi spiego molte cose).
    Semplicemente i suoi interventi si commentano da soli, e molti se ne sono accorti, compresi te e me. Tutti, sembra, ad esclusione di lui stesso.
    Inoltre, caro amico Ve(n)detta, il tuo acume avrebbe dovuto almeno far nascere in te un altro sospetto vedendo con quanta acredine il Silvio Saura ha risposto alla mia morbidezza.
    I due sospetti, dunque, si elidono. Dando luogo a una certezza
    Non ho nulla in comune a Silvio Saura, e ne sono ben contento.
    Se non altro per questa sua presa di posizione, dopo una meditata attesa (nemmeno questo mi è sfuggito). Già lo vedo imbracciare l’arco e spronare il cavallo al grido “questo Biz lo sistemo io!” per poi tornare a dare una pacca sulla spalla alla sua direttrice.
    Queste cose non mi interessano. Come non trovo nulla di interessante in chi mi dà del frustrato o chi mi invita a star zitto. Sono ormai demitridatizzato.
    E, caro Silvio, visto che non lo capisci da solo ti aiuto:
    Una persona che dice a un’altra “nessuno ti obbliga a parlare”, è come se mi dicesse di stare zitto (tra l’altro sono le stesse parole della direttrice). Non fare finta di non avere capito, e non invitarmi all’educazione e al garbo.
    Ciò che mi ha trattenuto fin’ora nel rispondere a tono ai vostri megalomani interventi sono proprio l’educazione e il garbo, che non mi sono mai mancati.
    Caro Ve(n)detta, anche per la tua argomentazione sulle citazioni e sul latino devo darti ragione.
    Anzi, devo dire che hai ragione in tutto.
    Ora mi fermo, non vorrei essere stucchevole.
    Ciao, Biz.

  33. Cari Ragazzi,
    vi pare che stia qui a farmi dare del pivello? Non credo proprio.
    Ho già detto che torno alle elementari, no? Ammetto lo scivolone, a differenza di altri.
    Complimenti a Piccola ve(n)detta per il suo acume, ma avevo già premesso di essere in accordo con la direttrice di Arte in. Tanto più che non ho nulla da guadagnarci; rimango sempre il segretario e lo stipendio non cambia.
    Essere accusato di scrivere le risposte per Lambarelli o di espormi per la Pagnucco, trovo sia mediocre e, soprattutto, in contrasto con quanto espresso in favore di Exibart.
    Gli esercizi retorici di Biz sono notevoli ma patiscono la mancanza di propositività. Continuo (quante altre volte ancora?) a chiedergli non di rimanere in silenzio ma di proporre alternative. Il demolire per il gusto di farlo mi sembra una strada chiusa.
    Non ho mai notato negli interventi di colui che vuole liberarci dalla malvagità, un solo tentativo di incentrare la discussione su questioni attinenti all’arte. Ho visto polemiche fini a loro stesse, il denigrare per partito preso. Mi chiedo: sarai mica leghista?
    Ti esprimi con lo stesso savoir faire del senatur, la stessa carica distruttiva e la medesima incapacità di fornire alternative.
    Raccolgo le provocazioni, solo mi piacerebbe vertessero su questioni artistiche. Non ho pretese di multidisciplinarietà, mi occupo di arte, non di psicologia, psichiatria o quant’altro. E non conosco nemmeno il latino. Esistono un sacco di altre cose che non conosco.
    Su un punto, però, mi trovo in accordo con Biz: quando sostiene che non abbiamo niente in comune. E meno male, aggiungo. Per me sarebbe estremamente imbarazzante visto che non ho soluzioni per tutti i mali.
    Silvio Saura

  34. Ostreghéta! Sior Saura, dopo lo schérso del prete,ch’ela ha fàto al Biss, el
    Biss s’è transformà en Bisciòn e l’ha gh’ha dà una morsicàda, ma che
    morsicàda! ohi, ohi!
    Sarìa cossa meliòr, andàr a prender fresco in ciassa dei Meòni, e lassar
    stàr. Mi no me piaxe che se litiga. ‘ndémo a l’Académia, veér qualche bel pintòr
    Veneto, e poi gh’è la Rosina e la Bianca giù dal calle San Salvadòr che la
    consolan ben. Se andarà a scuola a setembre, vegno anca mi, che è una idea
    divertenta, (ma il latin no lo voi imparar). Se poi viene ‘l sior Biss qui nelle Venessie, in quel Gran Baracòn de
    la Bienàl, mi me nascondarìa un po’, e se ela vòl, lo mèto nel canàl, poi lo tiro su e lo legarò sovr’ al campanòn de San Marco, che i Mori le spiegaràn qualche notion musicale, anca contmporària, per suo gradimento.
    Noi gh’avèmo avudo tanti pretàss nella Venessia, tropi, ma almeno un l’era grando,
    il Prete Rosso. E gh’era anca un altro, che scriveva in lengua franzosa,
    Giacomin, esperto anca lu dei canàl, poi, no era prevosto ma gh’era anca Lorénso Da Ponte, ecco, no gh’è più remembransa nel popol venexian dei su antenàdi?
    Ostrega, la tiri fuori Sior Saura, non contr’al Biss,però, che lu l’è bon e
    dixe ‘l ver,( magari un po’ fortemente), ma contro quel lazaròn del Direttorio che la à abandonata sol contro tuti…
    Ostia benedéta!Che béa putéa! Volo, prima che scappa!
    Sciào suo, Sior Saura, m’inchino con svolasso di man!

  35. ti appropri dell’essenza di Arlecchino e improvvisi una situazione….. “diventi” lui…
    perfetta applicazione del metodo Stanislavskij, non sto scherzando…
    Peccato che poi “sparirà” inghiottito dal web.. comunque è spiritosissimo e divertente..
    ciao Arlequin, Martinelli e Biancolelli farebbero tanto di cappello…..

  36. Eta Beta ha fatto scorpacciata di naftalina.
    Il risultato è stupefacente.
    Bellissima arringa dialettale, simpatica e ironica.
    A Silvio rispondo dicendo …. Eh eh eh…. leghista mi mancava!
    Caro Silvio, se tu fossi stato meno distratto, ti saresti accorto delle molte volte che ho parlato di arte, spesso e in molteplici occasioni.
    Certo che, come prosieguo di questa intervista, sarebbe stato un equilibrismo.
    Ciao 🙂 Biz.

  37. Caro Saura,
    su tutto si può polemizzare. Figuriamoci se non lo si può su un argomento come l’arte. Ma la polemica richiede, per andare a segno, almeno due presupposti: che chi l’esercita dimostri di conoscere a fondo l’argomento e sappia guardarsi alle spalle.
    Polemizzare e scrivere, poi, richiede anche un bagaglio tecnico. Altrimenti si è costretti a barare ed è facile incorrere in scivoloni imbarazzanti. Come è capitato a lei, per sua esplicita ammissione.
    Noto che nell’ultimo intervento ha abbassato un po’ la cresta e mitigato i toni, ma continua a confondere le carte in tavola. Puntualizziamo un paio di cose. Nessuno qui, né io, né Biz, né altri, ha mai insinuato che lei scrive le risposte per Lambarelli: dunque si tratta di una sua personale deduzione. Quanto alle difese postume in favore della Pagnucco Salvemini, siamo di fronte a un dato di fatto incontrovertibile. A un certo punto lei s’è incaricato di fustigare Biz con lo stesso stile, la stessa arroganza, le stesse argomentazioni e addirittura le stesse parole usate dalla sua direttrice. Il sospetto di una sonatina a quattro mani sarà anche “mediocre”, ma comprensibile. E quand’anche non si sia trattato di una pifferata a due, e lei abbia agito senza l’intenzione di esporsi come “omeno d’arma”, suona piuttosto strana questa simbiosi con la “superiora”. Non sarete mica parenti?
    E mi creda, signor Saura, non sono considerazioni ispirate a chissà quali teorie psicanalitiche. L’unica ad avventurarsi su Exibart in strampalate teorie freudiane e psichiatriche è stata proprio la sua direttrice. Con la dialettica e i risultati che sappiamo.
    Psicanalisi a parte, fa male a snobbare la “multidisciplinarietà”. Masticare un po’ di letteratura, cinema, teatro, o musica, giova molto a chi si occupa d’arte. Biz si può permettere certe esuberanze perché ha alle spalle una solida cultura generale: qualità che emerge con evidenza dalla sua prosa, per quanto ardita e, a volte, irriverente. Chi lo contesta dovrebbe entrare nel merito delle questioni, non cercare farfalle sotto l’arco di Tito. Come invece fa lei, nel suo ultimo intervento, dove non trova niente di meglio che dargli del leghista. A voler dissertare con simile dialettica, le assicuro che si potrebbero trovare per lei e la sua direttrice ben altri apparentamenti politici.
    Morale: chi è alle prime armi e, mi sembra di capire, ha imparato da poco a mettere penna su carta (che, non lo dimentichi, è un atto intellettuale) dovrebbe non solo riflettere su ciò che scrive, ma domandarsi se il fiele di Giovenale si addice alla sua biro. E non mi risponda che lei scrive al computer.

  38. Piccola ve(n)detta, puntualizziamo pure. Riguarda bene gli interventi di Biz: mi accusa eccome di avere fatto le risposte per Lambarelli. Non faccio personali deduzioni. Il Nostro (Biz) a mio avviso non ha argomentazioni da fornire, rimane nell’ambito del mero esercizio retorico. Ho già espresso, praticamente in ogni mio intervento, la richiesta di proposte che non sono mai arrivate. Solo in un caso ha appena accennato all’argomento Biennale, poi sopraffatto dal tuo scritto teso a polemizzare che ha offuscato il tentativo di passare alla questione artistica.
    Quanto alla Pagnucco: ripeto che avevo già premesso l’essere d’accordo con lei su temi quali rispetto e capacità propositive.
    Sono d’accordo anche con te quando dici che si può polemizzare su tutto, in special modo sull’arte, ma sembra che sull’arte siano nate ben poche polemiche.
    Sono sempre disposto a mettermi in discussione, altrimenti non sarei mai intervenuto. Questo è il mio spirito. Basterebbe solo che la cosa fosse reciproca.
    Caro “vendicatore” potevo anche omettere la parola “leghista”, ma sarebbe rimasto “critica distruttiva e incapacità propositiva”, si trattava di un intercalare un po’ colorito. Ciò dimostra che i contenuti hanno la peggio sulla forma.
    Non snobbo la multidiscplinarietà, solo non ho la pretesa di avere una cultura talmente vasta da potermi occupare con profondità di più argomenti. Nell’arte ci lavoro, il resto sono passioni, curiosità che certo non mi lasciano indifferente e di sicuro influenzano anche la disciplina principale di cui mi occupo.
    Non ho cominciato ieri a fare questo mestiere, diciamo qualche giorno fa, (e adesso tuonerà chi da secoli è su questa terra) e qualcosa l’ho pure imparata: per esempio che gli pseudonimi che una persona si dà sono indicativi di ciò che vorrebbe essere o fare.

    Silvio Saura

    PS Scrivo sempre su carta. Al computer non mi riesce. Sono un ragazzo all’antica.

  39. Sono veramente stufa di vedere usare exibart come un luogo dove sfogare le proprie frustrazioni e dimostrare la propria (presunta)superiorità intellettuale appigliandosi alla grammatica e attaccando frontalmente e in maniera gratuita giornalisti e personaggi intervistati… è bello che ognuno possa intervenire e dire la propria, ma credo che si stia davvero esagerando…Presuntuosi, saccenti ed esibizionisti, ecco cosa siete.
    Non è un gioco di ruolo in cui dimostrare la propria abilità dialettica o il proprio (inutile, visti i risultati) bagaglio culturale. State francamente abusando di questo strumento e in questo modo fate anche fare una pessima figura al sito e a tutta la community che lo frequenta e lo ama.

  40. ci vorrebbe una pubblicazioncina con l’intervento di Torvald (vedi qui in basso) e di EtaBeta/Arlecchino…
    Per il resto ha ragione la Valentina Tanni: approfittare dell’onestà intellettuale del direttor Tonelli, che ha dichiarato inesistente la censura su questo portale, non è davvero di grandissima eleganza.

  41. Sono dell’opinione di Valentina, basta con le polemiche, Exibart è un sito da rispettare, il suo direttore Massimiliano Tonelli una persona intelligente e sa fare il suo lavoro, una persona degna del massimo rispetto.

  42. Caro Kranix, chiedo a te, visto che ne dai accenno, quali sono le opere che ti sono piaciute della Biennale? E a Silvio Saura, (non ho mantenuto la promessa), che ne pensa delle osservazioni di Mork riguardo l’opera di Plessi al Correr? (Mork vede in essa una forte provocazione sulla condizione della città, “ferita” dall’acqua e dal fuoco- cfr. rogo della Fenice). Ci sarà in programma un’intervista a Lodetti di “Arte Incontro in Libreria”?

  43. Cari amici,
    mi permetto di consigliare a tutti un pellegrinaggio artistico verso i fondali del sogno, da dove si riemerge più ricchi, più consapevoli.
    Pierluigi Lavagnino è l’Artista della realtà trasfigurata, seppur di difficile trasfigurazione.
    Nelle sue opere troviamo il naturismo umano, l’idea embrionale dell’umanità in potenza, propostaci con la maestria del suo tenebrismo gioioso e giocoso, positivo, propositivo e ampio, che respira “aria” e della cui aria la sua pittura è strumento pneumatico.
    Giustamente è amplificata la potenza della sua ultima arte, prodromo paradossale per avvicinarci con nostra energia, questa volta, alle sue prime e interessantissime opere.
    I suggerimenti di Lavagnino sono suggestioni di tinte inesistenti, che non troviamo nei manuali degli sciocchi arcobaleni di giorni di sola pioggia o di solo sole.
    Egli sradica dalla tavolozza della nostra anima una luce individuale, personale, intima, soltanto prestata, mutuata sulla tela, utilizzando la maieutica più accattivante e di altissimo valore intellettuale.
    E per quanto retorico possa sembrare, i suoi colori sono i nostri colori.
    Quelli di oggi non sono mai gli stessi di ieri, quasi egli fosse riuscito nell’opera che i tragici greci si sbracciarono a darcene testimonianza: il matrimonio dell’Apollineo e del Dionisiaco.
    I due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro, e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine di “Arte” solo apparentemente supera; finchè da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della “volontà” ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro e in quest’accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca quanto apollinea della meravigliosa pittura di Lavagnino.
    Nella sua pittura è immediatamente percettibile la concezione dinamica della realtà, l’essenza di “qualche cosa” (che sia generata dalla natura o dall’arte è del tutto irrilevante), che è strettamente legata alla funzione cui essa assolve.
    Ma, mentre nelle cose della natura questa funzione non è altro che l’esplicazione della stessa essenza, nell’arte di Lavagnino la funzione è normalmente legata ad un fine ulteriore in vista del quale quel “qualche cosa” è stato prodotto.
    Nelle opere di Lavagnino manca sempre qualcosa.
    E da vero, grande artista quale E’, l’unica componente che egli consapevolmente non dipingeva era il nostro diritto di raccogliere dal fondale del sogno una caratteristica esclusivamente nostra.
    L’apoteosi della libertà nell’arte.
    Pierluigi Lavagnino ci dona opere che ci liberano dalla sudditanza verso prodotti “finiti”, statici, completi, quasi che la realtà reale fosse diversa dalla realtà artistica.
    Egli traspone sulla tela il dinamismo dialettico di atto-potenza-atto che sommuove il nostro gusto, soggiacendolo, seducendolo, appagandolo.
    Per conseguire questo scopo, e questo risultato assieme, occorre soprattutto sottoporre ad esame quelle nozioni di “techne”, “poiesis”, che hanno un significato molto lontano da quello che noi siamo soliti assegnare ai termini italiani correnti di “arte”, “poesia”, “imitazione”, e che pure costituiscono il quadro concettuale entro cui si pone l’intera opera di Lavagnino.
    Poiché altro è “quel che” dicono gli artisti, altro è “come” lo dicono.
    Lavagnino era un sensibile e meraviglioso artista.
    Ciao, Biz.

  44. Caro Biz,
    diciamo la verità, le polemicuzze sono quasi sempre noiose per chi legge, a volte tediano anche le parti in causa. Occorre sceneggiare. Ma non prima di averti fatto una confessione.
    Ebbene sì, lo ammetto, ha ragione il Saura. Io sono da qualche secolo su questa terra. Come diceva l’abate Galliani: “la mia vista se ne va ogni giorno e lo stesso fanno i miei denti. Mia madre è morta, le mie sorelle sono monache e le mie nipoti sono stupide”.
    Non ho più niente da perdere e ho ormai pochi interessi nella vita. Uno di questi: vendicare i puri e i giusti come te. Lo ha capito anche il Saura, che ha imparato dalla direttrice-psicologa, sua madre-superiora, a decifrare gli oscuri significati degli pseudonimi. Ma anche io, dall’alto della mia veneranda età, ho capito due o tre cose di lui. Per esempio che non ha un addestramento sufficiente per rifilare stoccate a chicchessia. E mi dispiace per il gran direttore di Exibart, che forse credeva di avere arruolato un collaboratore agguerrito e si trova invece fra le mani non uno spadaccino, ma un “omeno d’arma”. Anche se temo, in tutta franchezza, che non se ne sia ancora accorto.
    L’“omeno d’arma”, caro Biz, anziché uno spadaccino è uno che fa bau bau. E non lo dico io. Lo dicono Carlo Porta e Tommaso Grossi nella comi-tragedia “Giovanni Maria Visconti Duca di Milano”, nella quale ritraggono l’omeno d’arma Biagio da Viggiù. Il Saura da Viggiù di Exibart invece di fare il moderatore, fa bau bau a chi ha l’ardire di polemizzare, dandogli dello sgrammaticato e del maleducato, salvo poi esigere educazione e atteggiamenti propositivi.
    Vedi, caro amico, secondo Porta e Grossi l’omeno d’arma, sebbene illetterato, vuol parlare toscano: “Mi sonto Biasio de Veggiuto….”. Il toscano dei Biasi de Veggiuto odierni non è solo la s-grammatica di chi crede che “leghista” sia un “intercalare”, ma è il gergo freudian-chic delle Pagnucco-Salvemini e dei loro accoliti. Non nascondo che m’infastidisce leggerlo su Exibart. Mi piacerebbe che la prossima volta anziché parlare di “frustrati”, “psicolabili” e “segrete frustrazioni personali”, le Pagnucco, i Saura e le Valentine Tanni usassero l’immagine “interni affanni”. Cfr. Metastasio nel “Giuseppe riconosciuto”, allorché dice:
    “Se a ciascun l’interno affanno
    Si leggesse in fronte scritto
    Quei che stronca il cane e il guitto
    Ti farebbe gran pietà”
    Sarebbe tutto molto più artistico, non trovi? O Biz mio, che tempi di sorelle monache e nipoti stupide!

  45. Evidentemente il mio metabolismo va proprio contro la velocità che impone un mezzo come internet. Ma così vanno le cose, e allora mi scuso con tutti per il ritardo con cui intervengo, ed anche della maniera in cui lo faccio, dal momento che non risponderò alle tante suggestioni, provocazioni, consigli e richieste contenuti negli interventi.
    Vorrei dire, prima di tutto, che sarebbe bello che tutti si firmassero per nome e cognome. Lo dico pensando soprattutto a E.A.Po, a Franca di non so dove, a Pietro di Roma che, come Maria, è perso come un ago in un pagliaio, e quanti altri amano l’anonimato. E’ di ieri una e-mail, arrivata a seguito di una catena di “santantonio”, che pretende di farci bere la storia che la Ericsson, per fare concorrenza alla Nokia, regalerebbe cellulari. L’ho trovata una idea strepitosa. E tanta gente, ve lo assicuro, ci è caduta. Obiettivo: fare scherzi anonimi. Risultato: intasare la rete, già tanto intasata di merda.
    Ma passando dalla low alla high culture, intendo dire che l’anonimato, la falsa democrazia che governa la rete e che rappresenta la sua vera forza, ha inficiato definitivamente ogni principio d’autorità. Per chi appartiene alla mia generazione, che ha visto i propri fratelli maggiori fare prima il ’68 e poi condividere quanto di più cruento hanno fatto le BR, parlare di principio d’autorità è come nominare il diavolo. Fatto sta che oggi al principio d’autorità si è sostituito il principio di potenza (che, per buona pace di Freud, è soltanto economica). Semmai ci fosse stato bisogno di una prova, l’abbiamo di certo avuta con le ultime elezioni politiche. Per ottenere risultati bisogna essere più che popolari demagogici: “agli intervenuti vorrei dire ciascuno ha la sua parte di ragione”.
    Ha ragione anche Pietro. Mi viene voglia di avere nostalgia di quando gli intellettuali (penso a Croce piuttosto che a Gentile) avevano la forza di determinare il pensiero comune e con esso l’azione sociale, di quando i quotidiani e i settimanali si occupavano di cultura ed in copertina c’era il ritratto di artisti come De Chirico. Mi pare evidente, parlo della nostra italietta (perché altrove questo si fa anche oggi) dove le pagine d’arte più interessanti sono quelle di un quotidiano economico.
    Per il resto non ci sono rimasti che i “Castagna” (miracolati), e il blaterare ostinato che, come un basso continuo, accompagna la vita degli anonimi.
    Biz e gli incazzati della rete sono contro il People’s Seattle? Che vadano… a Genova a manifestare contro il G8.

  46. ti ringrazio Anna per avermi chiamato in causa. Detto questo passo alle opere/padiglioni che mi sono piaciuti maggiormente (non sono in ordine di gradimento!! ma di memoria): S”tudio Azzurro” con Nuvola mi ha entusiasmato parecchio, proprio per via dell’interagire che l’opera pretende (si deve soffiare sulla piuma per poter assistere al cambio di prospettiva delle immagine proiettate) e per il grado di tecnologia applicato (e l’idea del direttore qui viene messa in pratica con ottimi risultati); Il padiglione Coreano credo sia stato uno dei più stupendamente originali (anche se totalmente privo di “effetti speciali”)l’opera di Do-ho Suh che con le piastrine metalliche di militari ha realizzato un abito-corpo squarciato era entusiasmante; quello di Singapore ha reso omaggio sia alla semplicità-originalità che alla tecnologia…l’ opera di Suzann Victor (lampadario frantumato dal movimento di altri lampadari) e i video in moduli di Matthew Ngui sono molto particolari ed interessanti; la preghiera nel padiglione Russo era d’impatto, la raffinatezza new age del padiglione Spagnolo è forse la migliore in assoluto; Ellen Pau (padiglione Hong Kong) è decisamente straniante con il suo video ad arco e con le riprese urbane de caturano una ritmicità scombussolata dalla mano dell’artista; la sintesi invece di quello austriaco (una sala buia pesta dove venivano proiettate immagini sfarfallio -tipo assenza del canale- associate ad un rumore assordante da attacco nucleare…o cmq clima da guerra) mi ha coinvolto; Israele proponeva i video di Uri Katzenstein (persone dal viso tumefatto nelle forme di una maschera fantoccio, eseguivano movimenti ripetitivi e lenti nell’ambiente domestico asettico),che sezionavano su più schermi riprese differenti del medesimo soggetto con zoommate ed inquadrature differenti e sincronizzate con una sorta di differita di pochi secondi. Questi video li ho trovati interessantissimi per tematica e modalità di proiezione (non ti faccio il bla bla sul tempo, la ripetitività, la lentezza..ecc); Le opere di Kulic (padiglione Yugoslavo) mettevano bene in evidenza il rapporto tra osservatore e osservato ribaltandolo più volte (sono foto-finestre molto interessanti); Del padiglione Polacco (credo sia polacco, ma non ci metto la mano sul fuoco..perdona l’eventuale gaffe!) il pavimento bicolore ha catturato la mia attenzione circa la percezione visiva, e quindi l’ho trovato stimolante. Ecco! Credo di aver fatto un breve elenco delle opere che a mio avviso hamnno meritato la visita alla Biennale…ma considerando che avrò citato il 10% delle opere rimango del parere che sia piuttosto POCO. Convieni con me?
    ciao ciao

  47. Alleluja

    Cara Anna,
    il fatto che la mostra di Plessi susciti sensazioni così diverse mi fa credere che i lavori siano riusciti. Penso che un’opera d’arte debba porre domande cui ognuno trova risposte in sé. Maggiori sono le interpretazioni possibili, più ampia è la gamma di domande che pone. Mork si chiede se non sia, appunto, una provocazione e associa al fuoco il ricordo ancora fresco del rogo della Fenice, e all’acqua e al moto ondoso il fatto che Venezia stia sprofondando. Possibile.
    Dipende dalla sensibilità del fruitore dell’opera e dal suo bagaglio. Il percorso e il passato dello spettatore fanno sì che il lavoro sia percepito da ciascuno in maniera diversa.
    Gli elementi scelti da Plessi sono talmente forti da potere essere slegati dal concetto di “omaggio a Venezia”. Questo lavoro, a mio avviso, manterrebbe forza comunicativa e evocativa pure se trasposto in una nuova sede.
    In un altro contesto culturale, in un territorio con un passato diverso da Venezia, potrebbe acquisire nuovi contenuti e, trattandosi di installazione, mutare misure e forme per adattarsi al luogo. Come un libro, pur rimanendo uguale, cambia nel tempo in base a come cambia la percezione dei lettori, così questo lavoro muta, pone questioni diverse a ognuno di noi.
    A chi ama la città, conosce la sua storia chiede di non dimenticare; a chi arriva da fuori di essere guardata nella sua spettacolarità (sia la città che l’opera).
    Per un artista è importante proseguire nella ricerca; fermarsi e preparare una retrospettiva implica il mettere un punto d’arrivo da cui, poi, non sempre è facile ripartire.
    Ho notato un uso esagerato di video (specie alla Biennale in cui 2 hanno vinto i premi della “giuria internazionale” – i “Leoni” li assegna l’Ente Biennale) che propongono immagini di una banalità sconcertante. Il semplice uso di tecnologie non conferisce contemporaneità al lavoro.
    Il mezzo senza il pensiero non basta, così come non è sufficiente avere un’idea forte se non si riesce a esprimerla attraverso il tramite più appropriato.
    In Plessi l’uso del video è una scelta conseguente alla riflessione; unisce pure una ricerca che si muove nell’ambito del materico: il legno che accoglie i monitor è vivo, pulsa e espelle ancora resina creando un rapporto che è anche tattile e olfattivo, non solo visivo. Così l’installazione di piazza San Marco ha una parte di sonoro che riproduce il rumore dell’acqua scrosciante e del fuoco ardente. Che gli occhi siano chiusi oppure aperti o le orecchie tappate e la mente offuscata, tutti i sensi sono toccati da questo lavoro.
    Silvio Saura

  48. Direttoire LAMBARELLO, ancora uni volti le devi dari racioni!!! Brafo, brafo brafo…che diri di più??? Io lo dico sempri a tuti li amiconi que a fortsa di leggeri i libroni di carta si capiscono tante cose che tuti li altri cretini che guardano troppo lo screen de lo computer…eh,eh,eh….proprio non ci arifano!!! Mi ricordo (ah, que rideri, ih,ih,..) di quela folta che mandai una mail al mio amicone Biorg dell’universitet di Oslo, firmando con un nome infentato, e l’ho invitavo a scrivere una relazione di 310 pagine sulla intefaccia grafica nei calabroni del Madagascar…Lui ci si arrovellò per giorni e giorni…e poi…solo a pagina 299 capì che era tutto uno sgerzo (che ridiri!!Ih,ih,ih…). Per non parlari poi di quando intervenifo nei Forum di informatica dicendo: “Attenzioni, attenzioni…il Kernel 2.3…se utilizzato con dischetti Machintosh riesce ad asciugare la biancheria bela zuppa….” Che ridiri!!! Tutti a profarci. Qualcuno dicefa…ma insomma, chi sei tu per diri questa gran baggianata?
    Chi soni io? IO SONO IL GRAN LINUS TORVALD…e queli, poverini, tutti a tremar come le folie…eh,eh,eh….Adesso però certe cose non funzionano più. Chissa perchè…
    Ogni tanto mando in giro delle email, con cose bufe e ben pensate…tipo che la Nokia regala tre telefonini al primo che starnutusce di fronte al notaro, ma purtropo solo pochi ci cascano, e si ride sempre di meno. Che tristessa…. !!!! Eh si, la rete non essere più quela di una volta…. Adesso tuti vogliono essere persuasi de le cavolate che li si propina (quanto è più difisile!!!), e anche se il nome e cognome è quelo giusto se ne straipippano ala grande. Per fortuna directoire che ci sono li libroni de carta, et lo inchiostrone profumato perchè li ancora un po’ de risate si riescono ad organissare…
    Un saluto da Fillandia
    LINUS TORVALD

  49. Grazie Kranix del resoconto, è da molto che non vado alla Biennale, ma forse, poco è cambiato. Mi fa piacere che sia tornato il direttore Lambarelli, anche se, il suo intervento non l’ho capito (ma ho più volte ammesso la mia limitatezza). Chi vuole venire a Genova, venga, perché è una città molto bella, e il suo centro storico, nonostante (o forse anche grazie ad esse, dipende da cosa si vada in cerca)le zone più degradate, resta uno dei più affascinanti e misteriosi d’Italia: per il suo rapporto ombra-luce, e per la sua caratterisica che porta alla continua scoperta). Però consiglio di evitare il periodo indicato dal direttore, perché sono “emozioni” diverse quelle, forse adatte alla televisione, o ad una nostalgia ripetitiva e anche un po’ pericolosa d’anarchismi (i cattivi maestri restano vivi ed impuniti, magari espatriano alla Sorbona, chi ha creduto loro, purtroppo, molto spesso ha rovinato la propria vita, se non l’ha persa) , e Genova sarà popolata da poliziotti e militari. Non so, vedete voi cosa preferire. A Biz chiedo perché ha voluto ripetere qui il bellissimo testo che ha dedicato a mio padre, con ciceroniana introduzione. Se è per la mia lentezza nel mantenere una promessa, ha ragione, ma è cosa difficile e i tempi, soprattutto per me, che non sono mio padre, si allungano. Se è per la sua grande generosità, non posso che ringraziarlo ancora e rinnovare tutto l’affetto e la stima che provo per lui, che, penso, nonostante il continuo redarguirlo, come persona che da vita e inventa questa straodinaria rivista, laboratorio unico nel suo genere,cui voglio molto bene anch’io.
    P.S. mi scuso per la ripetizione, ma ho sbagliato il luogo cui inserire questo messaggio.
    Grazie a Silvio a Saura per la risposta

  50. Prima di tutto i complimenti per il direttore per quello che fa. Lui non lo sa ma su Exibart sono state anche pubblicate alcune opere di mia proprietà, e visto che ho un piccolo disegno di Plessi e amo l’artista, ho deciso di intervenire qui (perchè c’è più “movimento”). Da quando mi è stato segnalato questo sito ho smesso di acquistare le riviste d’arte che trovo a confronto superficiali e spesso incomprenzibili; mi piace che quando vedo un bel servizio la mostra sia ancora in piedi e poterla andare a vedere, non che trovo l’articolo di una mostra, magari bella, che ormai non posso visitare. Sono un semplice pensionato appassionato d’arte, non so tante cose però mi piace l’arte e ho trovato nell’articolo e nell’intervento del signor Sauro un motivo in più per affezionarmi maggiormente alle opere da me possedute, specie di Plessi. Parlare di un artista non è facile, sapete, proprio qui c’è il sig. Saura e il sig Biz che parlano di due artisti e sono tutti e due molto belli, ed è molto bello che a parte le polemiche Saura riesce a esporre questo artista in modo che tutti possono capire, anche chi non è “dentro” ma solo un appassionato. Anche Biz ha tanta passione, però tutte le persone istruite usano paroloni per dimostrare la loro cultura e capita che quando leggo certe cose mi sento più ignorante, non proprio nel suo caso, sig.Biz, ma quello che ho letto su Plessi mi è rimasto come più impresso, poi è questione di gusti.
    Ora lascio il dibattito a voi che avete cose più interessanti da dire. Grazie

  51. Dopo tanta e paziente attesa (mai un editoriale era stato tenuto per tre settimane in prima pagina) si aspettava forse una risposta più circostanziata. Anzi, si aspettava semplicemente una risposta.
    Se l’amico Lambarelli pensa che qui, in internet, tutto sia – come lui afferma – ‘MERDA’ almeno ci consenta di parlarne e discuterne con lui.

  52. No, Signor Piccolo Collezionista, non ci abbandoni (mi scuso se prendo le veci degli altri)!
    Non la voglio trattenere perché diventi collezionista anche di mio padre, perché come ha ben detto è una questione di gusti e affinità, ma perché vorrei che ci raccontassse, sempre se ne ha voglia, quando e come ha cominciato, se va in galleria o predilige le aste o direttamente nello studio dell’artista, insomma qual’è la vita di un collezionista appassionato. E se a suo parere esiste ancora, tra i giovani, la stessa passione del collezionare opere d’arte.
    Mi scuso se sono indiscreta e comunque mi ha fatto molto piacere leggere il suo intervento.
    Un saluto

  53. Cari amici,
    Ho ripubblicato quella pagina con la consapevole determinazione di riproporre una tra le “cose” d’arte che ho scritto in questo superbo sito d’arte.
    Ed è davvero singolare che in un primo tempo mi si accusi del fatto che le mie argomentazioni sono sterili e non affronto mai argomenti d’arte, per poi domandarmi, o pensare di domandarmi, con sarcastica sfumatura, “perché lo hai ri-scritto?”.
    Quanto al rispetto e alla stima che nutro per il nostro Direttore Massimiliano Tonelli, bhè, credo d’averla espressa da diverso tempo, e in tempi non sospetti.
    Anzi, credo di esserne stato il precursore. Chissà se come esploratore sono degno di nota.
    Solitamente, Signor Lambarelli, la parola “merda”, è poco usata nei siti d’arte in rete.
    Ha più familiarità con la carta.
    I suoi richiami a Croce e a Gentile, dei quali, a giudicare dalla contestuale disinvoltura con cui li ha citati, dubito lei conosca le dicotomie in fatto di dottrina estetica come in quella sociale, sarebbero interessanti se avesse la bontà di spiegarli.
    Apprendo solo oggi che è cambiata una moda: non si dice più sei “in” o sei “out”.
    Oggi si dice “low culture” e “high culture”.
    Non mi domando nemmeno a quale appartengo.
    Se mi permette vorrei anche ricordarle (visto che ha avuto un fratello che ha fatto il ’68 presumo sia dotato di ottima immaginazione), che le riviste d’arte dei tempi d’oro a cui fa riferimento, consideravano raccapriccianti le opere di De Chirico.
    Dire De Chirico significava dire pessimo gusto, e gli illustri mercanti, imboccati da illuminati critici d’Arte, si dirigevano altrove.
    Trovo sia davvero ripugnante questo senso paternalistico così diffuso in certi ambienti.
    “La falsa democrazia che governa la rete e che rappresenta la sua vera forza, ha inficiato definitivamente ogni principio d’autorità”.
    Questa è una delle frasi più spaventose che si possano sentire, le altre le ha dette la sua collega.
    Quanto alla mail “fresca-fresca” sulla Nokia….. mi dicono che ha cambiato cellulare.
    Buon lavoro, Biz.

  54. Penso anch’io che gli inkazzati della rete non andranno a manifestare contro il G8. Sono troppo impegnati a sfogarsi sulla tastiera del loro computer. Che colpe ha una povera, piccola e tenera tastiera?
    Mi sono posto pure io il dilemma ma, tanto, non ci andrò perché sarò a lavoro. La questione, credo, riguarda piuttosto la morale di ognuno di noi. Dovrei andare alle mostre organizzate per l’occasione? Essere presente come addetto ai lavori, anche se fuori ci saranno persone di cui condivido il pensiero (non le azioni violente)?
    Se vado, mi dico, starò fuori a manifestare. Non credo nella globalizzazione, nel mio piccolo boicotto Nike, Nestlé, Barilla ecc., non mangio carne, ma non basta. La amata-odiata Beecroft realizzerà una delle sue performance (le modelle, tanto per cambiare) come omaggio – non credo come denuncia – ai Grandi del Mondo; ha chinato la testa davanti alla ghigliottina a forma di “M”. Che cosa fare? L’arte, mi dico, non deve avere nulla a che fare con il sociale, non è più un mezzo di denuncia come una volta (penso al Quarto stato di Pellizza Da Volpedo o a tanti altri esempi che qui sfuggono); e allora che cosa ci fanno gli artisti al G8? Sono diventati anche loro politically correct, il loro comportamento che dovrebbe distinguersi si uniforma. O forse si distinguono perché la maggior parte della gente è contro e loro favorevoli? Personalmente penso sappiano che ai posteri non resteranno ricordi delle problematiche che viviamo oggi, ma solo i valori di aggiudicazione delle aste.
    Silvio Saura

  55. Gentile Signor Piccolo Collezionista,
    la ringrazio molto per il bellissimo commento. Sapere che la pensa così mi dà fiducia, significa che, almeno in parte, ho raggiunto un mio obiettivo. Conosco un ex giornalista de La Nazione (ora in pensione, ha 80 anni ma è più vispo che mai) il quale consigliava di far leggere i propri articoli alla portinaia sotto casa. Se capisce lei, diceva, allora l’articolo è un buon articolo perchè possono capire tutti.
    La sensibilità artistica del fruitore – collezionista o spettatore che sia – non va frustrata. In questa bagarre comunicativa vince chi urla più forte e è il pensiero a farne le spese.
    Forse c’è sintonia perché la Sua sensibilità viene più dagli organi interni, dallo stomaco, che dal cervello.
    Sperando che Anna sia riuscita a convincerLa a rimanere con noi, La saluto e ringrazio nuovamente.
    Silvio Saura

  56. E certo, adesso il costoleccio di maiale è diventato globalizzato? la rostinciana è capitalista? la fiorentina è imperialista? la salciccia berlusconiana?
    Sei più terrorista te di quelli che spaccheranno genova. Pure contro la dieta mediterranea vai…che è l’unica cultura condivisa che ci abbiamo!!!

  57. No, no. Ma che scherziamo? Ora passo per campanilista, ma evviva la pasta e la pizza!
    La “M” sta per McDonald’s. Eh!

  58. Salve a tutti. Solo per leggere i commenti sotto l’editoriale di Lambarelli ci ho messo tre quarti d’ora. Alla fine mi sono detta che in realtà l’80 per cento degli interventi era aria fritta, un’autosbrodolarsi senza fine. Volevamo-almeno credo silvio no?-aprire un dibattito e dialogare con lambarelli. Mi sembra che ciò non sia avvenuto. Allora visto che probabilmente non si è in grado di aprire un dialogo serio e mirato lasciamo stare e cambiamo editoriale, per favore. Perchè dopo tre settimane credo ci si inizi un pò a stancare e forse chissà, la prossima volta si sarà più produttivi. Per amore di cronaca, visto che qualcuno sembra detestare l’anonimato (non capisco perchè, conta ciò che si ha da dire o un nome e cognome?), mi firmo:Paola Capata.

  59. Sono ancora qui, grazie alla signorina Anna e il sig. Saura.
    Ho capito di che giornalista parla, è uno che in Toscana fra i “vecchi” è famoso, ma se non rivela l’identità Lei, perchè dovrei farlo io?
    Io non ho grandi cose da dirvi, la mia passione per l’arte nata una volta quando un amico mi ha portato a vedere una mostra di Mario Schifano tanto tempo fà, e ho voluto acquistare un’opera era un omaggio al futurismo, e da allora ho cominciato a girare per conto mio per mostre ed a comprare giornali di arte. Così è nata la mia passione e oggi non ho preferenze per galleristi o aste (che non ci vado alle aste), ma compro quando posso anche da amici che in tanti anni ho convinto a smettere di attaccare alle pareti i merletti e i vasi di fiori e adesso hanno più possibilità di me di far girare i quadri delle loro collezioni. C’è molta gente, signorina Anna, che possiede dei bei quadri di Suo padre, io mi auguro di imbattermi al più presto nell’opportunità di innamorarmi di uno di quei lavori.
    Grazie e buona fortuna a voi.

  60. Non dimenticate che fare il direttore di una rivista in Italia non è per niente facile e se a quasto aggiungete il problema della assoluta mncanza di interesse verso l’arte da parte della cosidetta gente comune……

  61. Grazie ancora Piccolo(ma grande)Collezionista per essere tornato, e per aver così caramente risposto. E mi è ancora più simpatico quando dice di non andare alle aste, che son quelle, (questo è un mio parere almeno per ora) che rovinano gli artisti. Da bambina ho conosciuto Jesi(parte della sua collezione è a Brera), me lo ricordo come un piccolo signore, un po’ rotondo e buffo, che si faceva amare per la sua semplicità e spontaneità, e i bambini capiscono le persone. Ora sono più grande, però lei un po’me lo ha ricordato(non per il rotondo e buffo). Un caro augurio.

  62. Gentile Direttore,
    ho riletto la sua risposta e forse ho capito quello da lei affermato riguardo la differenza tra mondo cartaceo e mondo telematico (dico forse, perchè sono una che tentenna, non avendo sicurezza, e avendo molti dubbi: è una vita un po’triste la mia). Allora, se avrà pazienza di leggere, le farò ancora qualche domanda, vedrà poi Lei se rispondere (io naturalmente spero di sì, spero che ritorni qui). Certo non sono un grande interlocutore, e me ne scuso.
    E’ vero che si è persa quella buona umiltà (non mi riferisco a quella predicata chiesa cattolica, volta ai suoi intenti dominatori ed espansionistici, piuttosto a quella di Socrate, Francesco di Assisi e di chi vuole veramente capire, senza pretendere di insegnare)da parte di varie umanità, in queste sono compresa anch’io. Da quando sia cominciato questo tipo di atteggiamento, o per quale ragione non lo so: forse la televisione, forse le mode, le ideologie e i fondamentalismi mal appresi, mal interpretati e male restituiti, la mancanza di moralità (non moralismo), il “benessere” e il pressapochismo, il “salottismo”,la dipendenza dal modello consumistico statunitense, il diffuso parlare senza cognizione dovuto alla presunta conquista di protagonismo e alla capacità d’imitazione della “ggente”.
    Forse Lei che ha più esperienza e che copre la funzione del critico può darci un’interpretazione più puntuale.
    Sì, si parla di critica d’arte, ma siccome essa è la “traduzione” di una civiltà, un buon critico analizza anche la società contestuale restituendone in sintesi la sua visione, intrecciandola al commento sulla produzione artistica, facendo da filtro al filtro dell’artista che in quel momento sta osservando.(ora mi viene in mente, ma non centra niente, quando Roberto Longhi parlava di bardotismo)
    Per esempio, tra i testi di Edoardo Sanguineti che ho in libreria, ce n’è uno cui sono molto affezionata, è intitolato “La missione del critico”: l’avevo acquistato proprio per il suo titolo. E anche lei parla di missione: perché infatti tale è. Restando in ambito “religioso” l’autore è dio e il critico il suo messaggero, oppure dio è il messaggio e l’artista e il critico sono messaggeri. Ed è un rapporto anche ambivalente: l’autore ha bisogno del critico, come il critico dell’autore, nello stesso tempo è l’opera che parla già autonomamente, alla quale, almeno secondo gli autori, a volte, le parole fanno male. Insomma, il critico è anche quello che si vuole presentare come opera, come dio. Vorrei che lei, visto che è più addentro ci descrivesse la sua visione del critico e anche che strada sta prendendo la critica e qual è la sua funzione anche dal punto di vista del mercato. Ne è succube, lo domina?
    Perché una tra le cose che capisco di meno, (qui sì entra in gioco la frustrazione) è la ragione per la quale vengano ignorate o dimenticate certe presenze ed esaltate altre, che al di là del gusto personale, sono rappresentative del nulla.
    Non parlo solo di mio padre, non è solo una cosa personale, di amore filiale, parlo anche di figure totalmente diverse nell’espressione, ma ugualmente degne, (Della Torre, Forgioli, Savinio, Raciti, Vago, Olivieri, Ajmone, Manfredi, Francese, Romiti, Bergolli, Milani, Chighine, e tanti altri), parlo di un sistema di Potere anche nell’arte.
    So che poi è il Tempo che decide la sorte di un’ opera, che può resistere, riaffiorare o venire del tutto inghiottita e persa come non fosse mai esistita, però, anche se gli artisti e pure i critici “dimenticati”, continuano a fare il loro lavoro, perché è questa la loro missione e sono consci di cosa comporta, senza preoccuparsi più di tanto della loro affermazione e del loro mercato (a parte quando non riescono a pagare le bollette e il conto della banca raggiunge il rosso), questa sensazione di fine e di vuoto da dentro, sotterraneamente, s’insinua e può arrivare a spegnere, a offuscare e portare alla resa, all’afasia. Come anche può succedere a molti giovani valevoli, che non trovano via d’accesso alla possibilità della loro espressione, non per loro mancanza.
    Ecco la globalizzazione(americanizzazione) anche dell’arte.
    Vorrei ci parlasse di questo.
    Non ho il dono della sintesi, la saluto qui, anche se vorrei sapere tante altre cose.
    La ringrazio tanto se vorrà rispondermi e la saluto.
    Anna Lavagnino, (mi firmo per intero per farle piacere).
    P.S. Un appunto sull’anonimato: forse è la coscienza di essere anonimi (non perché sia una vera condizione dell’animo, ma perché si sa di non avere borghesemente “un nome”) che porta a scegliere nomi fittizi, o anche per fare più presto a scrivere, non per falsità: qualcuno potrebbe firmarsi con un nome illustre e riconoscibile, attribuirgli il suo pensiero, questa sì è falsità, ma qui non l’ho mai riscontrata)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui